mercoledì 23 ottobre 2013

Padroni e servi sullo schermo

Gosford ParkGosford Park è un film di Robert Altman del 2001. Racconta la vita in una villa di campagna inglese nel 1932. Ci sono una battuta di caccia e un omicidio con relative indagini, ma la forza straordinaria del film è nel descrivere le vite dei padroni e della servitù, divise da un muro sociale molto più imponente e spietato di quello di Berlino. Di qua signoreggiano i nobili (o i ricchi, c’è anche un produttore cinematografico americano cooptato dalla classe dorata inglese a causa, evidentemente, del cospicuo conto in banca): viziati, arroganti, vuoti, sleali, stupratori, non solo figurativamente, della servitù; di là aleggiano i domestici, in un mondo del tutto separato, senza alcuna possibilità di vera comunicazione con l’altro mondo se non a letto (il padrone si sollazza con la servetta finché non si stanca o la esilia a causa di gravidanze indesiderate). I nobili (e ricchi) vivono la loro vita come se la servitù fosse invisibile e nemmeno appartenente al genere umano. I domestici sognano il mondo scintillante dei loro padroni, aspirano a condividerne un brandello sia pure infinitesimale, e in ogni modo giudicano già appagante ammirare da lontano i fasti delle classi alte. La vita dei nobili per la servitù, con qualche lodevole eccezione, è come un film affascinante (e vagamente pornografico nella sua perversità sociale). Guardare quel film pornografico sembra dare significato alla vita di un antico domestico.

Downton Abbey è una serie televisiva inglese del 2010. Ispirata al precedente film di Altman, descrive la vita in una villa inglese a cominciare dal 1912. Ci sono il lord, la moglie ereditiera americana e tre figlie più o meno frivole, pettegole e testimonial della peggiore capricciosità aristocratica (una delle tre però col tempo svilupperà idee moderne e democratiche). Ci sono i servi, inamidati in abiti e pensieri formalissimi (i valletti, le cameriere, la sguattera, la governante, il maggiordomo alla tutto è perduto fuorché l’onore). Maggie Smith fa il ruolo di una vecchia aristocratica bisbetica, vanesia e sostanzialmente fascista, più o meno lo stesso ruolo che svolgeva in Gosford Park. Anche in “Downton Abbey” l’apartheid sociale delle due classi sociali è molto ben descritto. Qui non c’è bisogno di calcare la mano sulla volgarità e spietatezza delle classi alte; basta solo la tranquilla descrizione della quotidianità dei piani sociali separati per indignare e far riflettere. Dopo una prima stagione molto efficace, la carica di denuncia sociale della serie si è peraltro annacquata. Maggie Smith è quasi diventata una brava e simpatica signora aristocratica un pochino svampita. Il lord si è trasformato in un manichino dedito al politicamente corretto. La moglie e le figlie giocano spesso a fare le crocerossine. E la servitù inclina pericolosamente verso il romanzo d’appendice. Ma rimane un ottima serie.

Ho visto poco dell’appena uscita serie televisiva Devious maids, ma è abbastanza. Cinque cameriere messicane lavorano ai giorni nostri nelle ville dei paperoni di Beverly Hill’s. I ricchi sono volgari, arroganti, falsi, ridicoli, vigliacchi e a volte malvagi. Nella prima scena una cameriera che poi verrà assassinata è accusata dalla padrona di aver sedotto il marito per avidità economica (mentre invece era stata stuprata da questi, e poi confusa da false promesse d’amore). L’uomo fa scena muta mentre la consorte ingiuria la domestica con perversione. In altre scene abbiamo padroni del mondo del cinema o degli affari che si comportano con maleducazione, egoismo, infantilismo, arroganza. A fare da sfondo a tutto, soldi, soldi e ancora soldi.

I ricchi di queste tre storie son tutti negativi, prepotenti o peggio. C’è da chiedersi perché. In un celebre esperimento degli anni Settanta in America fu chiesto a dei volontari di interpretare le parti di guardie e carcerati in una prigione creata per l’occasione. Si vide che dopo un po’ di tempo i soggetti tendevano ad assumere i comportamenti dei ruoli interpretati. Le guardie si facevano prepotenti, con propensione a diventare aguzzini. I carcerati sviluppavano una coscienza sociale e tendevano a far gruppo per non farsi schiacciare. Il ruolo, in sostanza, forse sviluppava il comportamento. Forse anche il ruolo del padrone, come mostrano queste tre fiction televisive, ti spinge a diventare una carogna o un essere meschino.

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