mercoledì 26 dicembre 2007

Cruciblogger 3

A più di un anno dalla seconda edizione, ecco il terzo cruciverba dei blogger. Vi lascio lo schema con le definizioni (quelle che riguardano blogger sono in corsivo) che potete divertirvi a risolvere. Da domani sarò assente per qualche giorno: al mio ritorno pubblicherò lo schema risolto. Il mio cruciverba contiene 23 nick di blogger più un personaggio comparso alcune volte nei miei post, per un totale di 24 termini da blog. E' ovvio che in un cruciverba ci si può infilare solo un numero limitato di nomi. Sono stati tralasciati i blogger già inseriti in miei precedenti schemi di parole crociate; gli esclusi sono dovuti solo a miei limiti intellettuali.

Buon divertimento e ci risentiamo presto, lasciate pure un segno del vostro passaggio in questa casa virtuale. :-)

Orizzontali. 1. Aspira a diventare Lady come in una canzone di Roberto Carlos. 5. E' per metà strega. 10. L''Inenarrabile. 11. Carattere romantico, ma non chiamatela Verdana. 12. La penna più veloce e appuntita del West virtuale (iniz.). 13. Banca Commerciale Romana. 15. Utile per volare. 16. Esercito Italiano. 17. Saaaaancheeezzzz!!! Yeaaahhhh!!! (musa della tenzone virtuale). 19. Dentro. 20. Storpia? Giammai. 22. Congiunzione negativa. 24. Lo sono i feromoni. 27. Liquidi energetici. 29. La Cat ammiratrice di fumetti Marvel. 31. C'è molto Rhythm anche senza Blues dalle sue parti. 35. Gonfia le vele del blog. 36. Scrittrice erotica adepta di Afrodite. 39. Il fiume Ems per il generale Germanico. 40. Commenti lunghissimi i suoi! 42. Senza blog, ma non senza gentilezza.

Verticali. 1. Articolo femminile. 2. Prima era Aladiah, poi è diventata Jolinne. 3. University of Nebraska at Kearney. 4. Divinità egizia. 5. Kasparov lo scacchista. 6. Andata e Ritorno. 7. Sigla di attacchi ischemici transitori. 8. Spagnola caliente olé! 9. Zivojinovic. 13. Sergio attento osservatore del blog. 14. E levati l'ombrellino - e l'ombrellino ‘gnor no ‘gnor no. 16. Suprema del blog. 17. Antico strumento a corde. 18. Gloria che si augura gloria letteraria. 21. National Australian Bank. 23. Con Eller nella più significativa opera di Kirkegaard. 25. Lo è di Saturno. 26. Ci si va quando si è sfasati. 28. Credeva nell'amore a prima vista. 30. Complimento. 32. Punk giovane blogger assente da un po'. 33. Località svizzera. 34. Città etrusca. 35. Iniziali della diva Lake. 37. Isimaro confidenziale. 38. Lega antivivisezione. 40. Stagno. 41. A te.

Altri miei cruciverba: blogger 1, blogger2, dell'amore, del ca**o.

Personaggi estremamente audaci e sprezzanti della morte enigmistica potrebbero cimentarsi con il mio mai domato supercruciverba, ma vi avverto quella è roba per intrepidi temprati a ogni avversità da parole crociate.

sabato 22 dicembre 2007

Voglio un Natale di quei Natali fatti così


Tanto per cominciare, quest'anno Natale mi piace e ho tutte le intenzioni di passare belle feste, e se a qualcuno il Natale non piace o ne vuole parlare male, se questo qualcuno attacca con la solita solfa che nelle Feste è tutta una rottura di scatole con parenti desaparecidos, noia, atmosfera consumistica degli altri (come se chi si lamenta fosse un essere sovrumano ottenuto con il meglio di Medici senza Fronterie, Gandhi, Madre Teresa e quant'altro, invece di essere un lagnoso seccatore che lastrica il blog e l'inferno con le migliori intenzioni e i peggiori comportamenti), be', se costui vuole fare geremiadi, sono affari suoi. Voglio il presepe quest'anno, l'albero di una volta, il Natale in casa Cupiello, quello del primo atto della commedia, Tommasino il Nennillo che si mangia i maccheroni scaldati avanzati che sarebbero dovuti spettare a Eduardo, si vende le scarpe dello zio e non dice nemmeno sotto tortura che il presepe del padre è bello, Natale con Totò e signori si nasce, con Jimmy Stewart e René Clair, la Freccia Nera che fischiando si scaglia e la sporca canaglia un saluto ti dà, Natale di Alan Ford in "Santa Claus story" e Bob Rock che cerca di apparire più alto e col naso meno grosso, di Tex Willer alle prese con El Diablero e della sigla notturna della Rai con le immagini delle nuvole, Natale con il cartello sulla trasmissione che sarà ripresa il più presto possibile e scusateci per questa rottura di balle dell'intermezzo televisivo con l'arpa. Natale a giocare a pallone sotto casa tre contro tre o quattro contro quattro, Natale a fare collette per comprare palloni più economici del Super Santos, a rincorrere lo zio, il vicino di casa, il passante simpatico per farti dare l'ultima moneta necessaria per l'agognato acquisto, a fare il turno di portiere ciascuno per due gol perché in questi giorni siamo tutti più buoni, a girare in strada ascoltando gli zampognari, a nascondere la paura che ti prende quando sei obbligato dai compagni a far esplodere certi petardi rumorosi e pericolosi quanto una granata vietnamita, a scrivere lettere alla Befana, per avere la pistola del West o le costruzioni della Lego o meglio ancora di quella sottomarca che costa la metà, a scambiare figurine dei calciatori quando c'era Pizzaballa in porta, a sognare la bicicletta Safari da dividere con almeno due fratelli più grandi, che di certo te la faranno usare solo dopo essere stati entrambi impallinati dalla più terribile influenza abbattutasi sul globo dal tempo della spagnola. Ad affrontare lamantini, babirussa, kriss avvelenati di thugs, con Giro Batol, Sambigliong, con Carmaux e Wan Stiller, a pescare trepang, e a illudersi di essere abbastanza grande da stringere tra le braccia Capitane dello Yucatan e Jolande figlie del Corsaro Nero, a fare il tifo per il cane Buck contro quella carogna di Spitz, a conoscere per nome come fratelli tutti i cani che trainavano una certa slitta nel Klondike, ammaliato pure tu dal richiamo della foresta. Natale di quando diventavi color peperone mentre antichi divi si baciavano in bianco e nero nei 24 pollici del tuo valoroso Telefunken, di quando eri lontano secoli dal pensare alle ragazze, perché la biondina che ti voltavi a guardare alle elementari era solo una mocciosetta carina, anche se non la scorderai più per il resto della vita. Natale del camino, del fuoco, della speranza, del mondo giovane e di questo giovanissimo padrone del mondo, dei sogni grandi quanto l'universo della Marvel.

Quest'anno Natale mi piace e non me ne vergogno.

mercoledì 19 dicembre 2007

Babbo Natale in libreria


Uno pensa, ho scritto un libro, un vero libro, e sembra pure non troppo malvagio. E' stato un lavoraccio, ma ormai è passata. Ci ho lavorato un sacco a quel romanzo, pensa uno, un tempo inenarrabile a ideare la storia, plasmare i personaggi, arricchire l'ambientazione e a scrivere dialoghi e poi a cancellarli, a spremerti le meningi per trovare un parolone trombone destinato a finire cestinato dopo due secondi, a modificare frasi e concetti e a revisionare, revisionare, revisionare ogni singola parola, a tonificare questo o quel verbo, a sostituire le tue originarie virgolette francesi con l'eleganza delle inglesi per poi scoprire che nelle bozze librarie le sopravvissute solite virgolette francesi ti spernacchiano alla grande. E' stata una faticaccia, ma ormai è andata. Ho trovato il titolo adatto, rimugina sempre quell'uno, e ho perfino prodotto, dopo secoli di astinenza dalla matita, un discreto disegno in bianco e nero da usare all'occorrenza per la copertina del romanzo. E' stata una sfacchinata da isola dei ciclopi, ma è finita, no? Ora tocca gli altri, no? Ormai sei fuori, non è vero? Ti puoi godere il riposo dei giusti osservando come gli altri ti vendono il romanzo partorito con tanto sudore della fronte e di altre parti del corpo. E' così, vero?

venerdì 14 dicembre 2007

Dieci volte cinema

In questo post non si fanno classifiche di film, più o meno belli, più o meno intellettuali. In realtà in questo post non si parla neppure di film in quanto tali, ma solo di scene particolari, o meglio di sequenze, istanti cinematografici rimasti scolpiti nell'immaginario collettivo, come descritto qui, dove ho parlato pure dei criteri personalissimi usati nell'elaborare la seguente classifica.

Primo posto. Un soffio di aria calda proveniente da una griglia di aerazione solleva la gonna a Marilyn Monroe nel film di Billy Wilder Quando la moglie è in vacanza, 1955. C'è poco da dire su questa scena. E' conosciuta pure da lattanti e ciechi dalla nascita. Qualsiasi ragazzino moderno l'ha vista o meglio ha visto qualcuna delle situazioni similari ispirate allo spettacolo sublime delle sottane svolazzanti della Monroe. Hanno girato la stessa scena millanta volte in tutte le salse. Hanno utilizzato coscelunghe da sballo, stangone e watusse alte il doppio di Marilyn, perfettissime fotomodelle, pornostar, ragazze della porta accanto, trans, cis o intersessuali, femmine virtuali, fatalone fotoritoccate, secche, grasse, signore esquimesi, tuareg o isolapasquane, donne in rosso e in altri colori... ma la verità è che nessuna delle epigoni di Marilyn è mai riuscita ad avvicinarsi al miracolo erotico causato da quel soffio di aria calda che solleva le sottane più ammirate nel mondo. Come ho ricordato in Alza la gonna, Marilyn, quando la Monroe girò la celeberrima scena in questione tutta Manhattan si bloccò a causa delle decine di migliaia di curiosi accorsi sulla scena del ciak. Pare si fosse diffusa la voce che Marilyn sotto la gonna non indossasse niente e pare che quella voce fosse vera, almeno in un primo tempo.

Secondo posto. La camminata solitaria di Gary Cooper nella vana ricerca di aiuto in Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann, 1952. Onore, dove sei finito? Idealismo, chi ti ha ucciso? Schivo e silenzioso eroe di un tempo, come ti avvelenarono? Il giorno del suo matrimonio, lo sceriffo Will Kane è avvisato dell'arrivo, col treno di mezzogiorno, di un bandito intenzionato a vendicarsi di lui con l'aiuto di tre scagnozzi. Kane/Cooper potrebbe eclissarsi con la giovane moglie Grace Kelly, ma non è mai fuggito in vita sua e non inizierà ora. Chiede aiuto alla cittadinanza, ma amici veri o presunti si defilano uno dopo l'altro: tutti tengono famiglia pure nel West. Filarsela davanti al pericolo? Il retto Cooper non l'ha mai fatto, né ai tempi dei Lancieri del Bengala (1935), né nella Fonte meravigliosa (1949) in cui, architetto idealista, faceva esplodere i palazzi da lui progettati e quindi involgariti a sua insaputa... né inerme e non violento quacchero nella Legge del signore (1956). La camminata del nerovestito Gary Cooper nelle polverose strade del West, accompagnata dalla memorabile canzone cantata da Tex Ritter (chi l'ha sentita una volta non la scorderà finché campa) è uno dei momenti più alti e suggestivi della cinematografia mondiale. Western anomalo che dà sul thriller sociale (niente indiani, praterie e cavalli), la storia si svolge in tempo reale e dura gli ottantasei minuti che servono a Cooper per vedere gli amici squagliarsi alla chetichella, sistemare in orizzontale i banditi venuti a farlo fuori e buttare quindi nella polvere la sua stella di sceriffo tradito. Nota finale: in Mezzogiorno di fuoco si sono viste critiche al maccartismo allora imperante in America, soprattutto per i guai politici occorsi agli sceneggiatori e allo stesso Zinnemann. A me questa storia è sempre parsa ciò che era: uno schietto film di onore e idealismo.

Terzo posto al "Francamente me ne infischio" rivolto da Clark Gable a Vivien Leight nel finale di Via col Vento, 1939. Anche questa scena è universalmente nota. Come ho detto in un mio recente commento, Via col vento può piacere o non piacere, ma è l'essenza stessa del cinema, la grandiosità delle scene di massa, l'amore, la vita, la morte, la caduta e il domani è un altro giorno. Tuttora penso che sia il film che meglio rappresenti, nel bene e nel male, il cinema. Negli anni Settanta questo film si trasmetteva ancora nei cinema di prima visione, in Russia si è proiettato nelle sale fino allo scadere del secolo. Due aneddoti sulla grandiosità della pellicola. A chi gli chiedeva perché sprecare soldi per le sottovesti di attrici e comparse quando nessuno si sarebbe accorto di niente, lo spendaccione produttore Selznick rispondeva "Se ne accorgerà chi le indossa". Un politico del Sud, guardando il numero delle comparse dell'esercito secessionista, dichiarò: "Se avessimo avuto tanti soldati avremmo vinto la guerra".

In breve gli altri titoli della mia top ten di istantanee cinematografiche.

4. Casablanca, 1942, di Michael Curtiz. Scena finale. Humprey Bogart dice a Ingrid Bergman di partire in aereo senza di lui, rinunciando all'amore per senso del dovere (siamo in piena guerra mondiale).

5. 2001 odissea nello spazio, 1968 di Stanley Kubrick. L'astronauta sopravvissuto al tentativo di omicidio del sofisticato computer Hal 9000 (così sofisticato da ricorrere all'omicidio per autoconservarsi) lo disattiva, mentre il computer inventa scuse molto umane per impedire lo spegnimento della sua mente artificiale.

6. Il gigante, 1956, di George Stevens. La scena di James Dean con cappello country e stivaloni western seduto a piedi spaparanzati su una staccionata. Questa immagine è immortalata su poster presenti nelle camere di adolescenti di ogni epoca, perché Dean ha dimostrato di essere un mito giovanile resistente all'assalto del tempo.

7. Il padrino, 1972 di Francis Ford Coppola. Il produttore cinematografico Woltz si risveglia nella sua villa hollywoodiana in compagnia della testa insanguinata del suo amatissimo purosangue Karthoum. Il messaggio di don Vito Corleone è chiaro: possiamo ucciderti come e quando vogliamo.

8. Il laureato, 1967, di Mike Nichols. Dustin Hoffman piomba nella chiesa dove si sta sposando Katharine Ross e la rapisce con tutto l'abito nuziale. Minaccia i parenti serpenti di lei (tra cui la nota Mrs. Robinson) con un crocifisso gigante.

9. Cantando sotto la pioggia, 1952, di Stanley Donen. Gene Kelly, innamorato, prende a calci le pozzanghere. Ha l'ombrello aperto, ma quasi mai lo usa per ripararsi dalla pioggia battente.

10. Viale del Tramonto, 1950, di Billy Wilder. La scena iniziale in cui la voce fuori campo del morto William Holden dice grossomodo: "Quello che galleggia nella piscina è il mio cadavere e questa è la mia storia".

lunedì 10 dicembre 2007

La fabbrica dei sogni


Quali sono le scene di maggiori impatto visivo della storia del cinema? Si parla proprio di flash cinematografici, immagini, gesti rimasti scolpiti nell'immaginario collettivo. Fotogrammi filmici che hanno fatto la storia forse più della Storia vera, che hanno lasciato un'orma duratura nella fantasia e nei sogni popolari. Si parla di schizzi filmici, sequenze, istantanee della settima arte che hanno modificato, di poco o di molto, il comune sentire della popolazione di questo pianeta.
Di recente mi capita di leggere classifiche stilate da riviste specializzate riguardanti i fatti più disparati, dai gol più belli della storia, alle frasi più riuscite del cinema. Quasi sempre mi sembra che gli autori di queste classifiche commettano svarioni marchiani e, insomma, ci ammanniscano fesserie spacciandole per vaticini di maestri del pensiero. Non credo quindi che farò danni maggiori dei loro. Ah, per la cronaca un paio di mesi fa un grande giornale inglese, forse il Times, pontificò sui gol più belli di sempre. Al primo posto c'era un tiraccio di un tal cialtrone giocatore inglese ignoto pure alla mamma; mentre l'universalmente ammirato gol di Maradona in Messico era, per ovvi motivi politici, relegato in posizioni di rincalzo.
Ecco i criteri di scelta a cui mi sono attenuto nello scegliere i momenti cinematografici a mio avviso più evocativi. I film inerenti alle scene che citerò non sono necessariamente i migliori in assoluto, pur trattandosi di prodotti spesso ottimi e curati. In molti casi i critici cinematografici, specie quelli affetti da snobismo culturale, e cioè la maggioranza, li guardano con sufficienza o sospetto. Inoltre mi sono adeguato, nelle mie riflessioni, alla differenza esistente tra cinema e sogni. Il cinema è quello che si fa in tutto il mondo e talvolta produce capolavori. Il cinema dei sogni, quello che ti fa vivere avventure mirabolanti e amori perfetti o quasi, a mio parere si è fatto perlopiù in una sola parte del mondo, Hollywood. Solo lì noi spettatori abbiamo pensato di combattere da eroi asserragliati a Forte Apache, di sfidare le aliene minacce del Pianeta Proibito, di fare l'amore con Atomiche Rite o con timide Sabrine. Solo lì ci siamo trasformati in pirati all'arrembaggio: beninteso nelle vesti dello Sparviero del Mare Errol Flynn, non già del rammollito Johnny Depp che ci propinano adesso.
Inoltre è noto che non sempre si sogna allo stesso modo. Ci sono periodi della notte, come della Storia, in cui le nostre avventure mentali si sviluppano con maggiore intensità e durata. Anche per il cinema è stato così. Io credo che il maggior impatto sull'immaginario collettivo il cinema, e quindi soprattutto quello hollywooodiano, l'abbia avuto dagli anni Trenta ai Cinquanta, cioè dall'avvento del cinema sonoro al dilagare del colore e degli schermi del cinemascope. E' dimostrato che l'essere umano sogna di più quando è giovane. Allo stesso modo quella grande fabbrica di illusioni e incanti in formato celluloide ha fatto sognare di più quando essa era giovane. Quando si credeva agli eroi del grande schermo. Quando si credeva a tutto e quando si credeva che tutto ciò che si proiettava nelle sale buie potesse succederci davvero.

mercoledì 5 dicembre 2007

Intervista sull'uomo dei sogni


- Sono lieto di intervistarti sul mio blog sull'uomo dei tuoi sogni. Un tema che va forte in questo periodo. Immagino che tu, come ogni ragazzina che si rispetti, abbia avuto un bel tenebroso che ti ha fatto spasimare di un amore bello e impossibile. Già vedo i poster con la sua immagine con cui tappezzavi la tua cameretta da adolescente.
- Certo che ce l'ho avuto, Capitano. Ah, sapessi quanto mi ha fatto sospirare! Ah, che trepidazioni! Voi, piccoli uomini, voi poligami senza passione, non potete capire quali sublimi emozioni si agitino nel cuore tempestoso di una giovane donna.
- Soprassediamo un attimo sulla mia nota natura prosaica e veniamo all'uomo dei tuoi sogni. Dunque parliamo degli anni Ottanta. E allora non ci può essere che una risposta. Il bel tenebroso delle tue fantasie era Sean Connery, il solo e il vero James Bond. In genere i bellimbusti hollywoodiani mi fanno rabbia, soprattutto perché se pappano le meglio fanciulle del pianeta riducendo alla fame noi disgraziati Uomini Qualunque. Ma Sean Connery! Be', quello è davvero un uomo affascinante e non permetterò alla mia meschina indole di
conquistatore fallito di negare l'evidenza.
- Ehm, guarda che c'è un errore. L'uomo dei miei sogni non era esattamente Connery. Cioè era quasi lui. Ma non proprio.
- Ho capito. Forse inclinavi più sull'avventura o magari sulla fantascienza. Senza dubbio non hai resistito alla malia di Harrison Ford in Blade Runner o, meglio ancora, a quella del replicante Rutger Hauer. Anch'io se fossi stato una donna o perfino un gay non avrei resistito al mitico Roy quando proclama "Ho visto cose che voi umani..."
- Acqua. Nessuno dei due mi piaceva. All'epoca ero troppo piccola, di Blade Runner non ci capii una mazza. E a dire il vero pure oggi...
- Mi è tutto chiaro. Ora visualizzo il candido volto della ragazzina che eri. E quella fanciulletta doveva avere un debole per modelli maschili non dico pappamolle, ma più rassicuranti, diciamo soprammobili carucci alla Johnny Depp. Senz'altro ti vedevi nei panni non già di una Pretty Baby, ma perlomeno di una Pretty Woman che tira scemo il Richard Gere che fu.
- Non ci siamo ancora. C'è ancora qualche lieve differenza con il maschio da favola per cui me ne morivo.
- Ci sono, il campo delle tue fantasie non era il cinema, ma la musica. E gli anni Ottanta ne avevano di fustacci! Forse avevi perso la testa per Simon Le Bon dei Duran Duran o per Bruce Springsteen. Ti ricordi come era figo il Boss con le maniche della camicia arrotolate sui bicipiti, nel video di "Dancing in the Dark"? C'ho preso?
- Non proprio, il maschione dei miei sogni non era straniero, ma italiano.

- Brava, basta con tutta questa esterofilia da strapazzo! Nel nostro magnifico Stivale abbiamo fior di guaglioni e giovanottoni. Ti propongo questo trittico d'epoca. Il giovane Eros Ramazzotti al suo esordio a Sanremo, Cabrini il bellissimo giocatore della Juve e Adriano Panatta in chiusura di carriera.
- Ti voglio aiutare. Diciamo che era un cantante un po' speciale. Di un genere particolare
- Basta mi arrendo.
- Eppure era facile. L'uomo dei miei sogni da ragazzina era Pupo. Lo vedevo ogni settimana in edicola su un giornaletto per teenager intitolato, mi pare, "Ragazza in".
- Cooooomeee hai detto, prego???
- Pupo, il cantante che ora fa il conduttore televisivo!
- PUPO, HAI DETTO PUUUUUUUUU....?
- Ammetto che era una fantasia un pochino ardita...
- Puuuuuuupoooohhhhhhhhh?????
- ... ma ricorda che all'epoca avevo solo quattord... cioè tredi... magari persino dodic...

- P-puuuuuuuuuuuuu-poooooooooooooohhhhh... uuuuuuooooooooohhhhhhh???

- Aspetta, non fare così.

- Uuuuuhhhhhhhhpooooooooooooo-uuhhhh... aaaaaaaahhhhhhhhhhh!!!!!!!!

- Cerca di controllarti, ti sentirai male.

- Uuuuuuuuupppppooooooooooppppppppp-ffffffffsssss... uuuuuuooooioooooohhhhhh...

- Capitano! Mio Capitano!

- Ppppuuuuu-aaaahhhh-uuoooiiooohhhhhhhhh...

- Parla, ti prego!!!
- ...
- Non fare quella smorfia come se fossi morto.
- ...
- Mi farai preoccupare.
- ...
- Oddio, non sarà mica stecchito? E ora chi risponde ai commenti?
- ...
- Chiamo a testimoni gli osservatori del blog. Io non ho ucciso nessuno. Si parlava del più e del meno. Non ho nessuna colpa.


Il mio Capitano non risponde,
esangui e immobili le sue labbra,
non sente il mio braccio, non ha battiti, volontà

(Walt Whitman)

mercoledì 28 novembre 2007

Cinque domande sul blog

Dall'amica Anna Inenarrabile ricevo la seguente catena di sant'Antonio. Due note introduttive. Ho sintetizzato alquanto le domande, senza alterarne il succo e il numero. A differenza di ciò che potrebbe credere qualcuno, non ho niente contro le catene blogghifere di sant'Antonio; anzi i post di questo genere di solito mi paiono più piacevoli da leggere di quegli altri (dipende sempre, si sa, da chi scrive).
Che cosa ti ha spinto a creare un blog?
Mentre prendevo un caffè in cucina vidi per caso una blogger intervistata nella trasmissione "Piazza grande" di Giancarlo Magalli. E' una blogger molto famosa e brava di Tiscali, anche se di recente non scrive molto e pare stanca del virtuale. Incuriosito, cercai il suo blog e lo lessi. Le scrissi che mi piaceva il suo stile, ma che quella strana faccenda dei commenti mi pareva una stupidaggine. Proprio non riuscivo a capire come gente sana di mente perdesse tempo in commenti narcisisti che perlopiù non significavano niente. Soprattutto mi dava fastidio il fatto che tutti cercassero di apparire più trasgressivi di ciò che probabilmente erano. Le donne grossomodo si spacciavano per mangiauomini alla Sex and the City, i maschi sembravano dei fricchettoni alla Woody Allen presi a mattarellate dalle mogli al ritorno a casa. Credo di aver detto pure a quella brava blogger che non avrei perso nemmeno un secondo a fare cose tanto idiote. Un paio di giorni dopo avevo già scoperto di aver mentito.
Parlaci del tuo primo post.
Il mio primo post si chiama L'amore mi uccise molti anni fa e parla di una ragazza di cui ero invaghito al liceo. La solita storia che ti rende simpatico: ami una fanciulla, ma non hai il coraggio di fiatare in sua presenza. In realtà avevo già scritto il nucleo del post per un forum sugli anni Settanta a cui avevo partecipato per un paio di settimane. Ebbi un certo successo su quel forum; poco prima che me ne andassi uno dei redattori si preparava a intervistarmi come se fossi una personalità. Purtroppo proprio in quella l'amministratore del forum ebbe l'incauta idea di censurare un mio scritto e di farmi una scenata pubblica. Risposi grossomodo sfidando a duello l'invidioso censore, dove e come volesse. Credo di avergli detto pure che il giorno in cui mi sarei fatto censurare impunemente da un deficiente ominicchio del suo calibro sarei stato cadavere da un pezzo. Quando scrissi il testo di "L'amore mi uccise molti anni fa" sul forum, la gente quasi mi portava in trionfo.
Il post di cui ti vergogni di più.
Non c'è un post di cui mi vergogno. Quasi sempre mi impegno molto per scrivere. Correggo, revisiono molto, perdo tempo, limo le parole. Probabilmente certe volte scrivo un articolo da zero soldi e pochi lettori con più impegno di un giornalista professionista lautamente remunerato. E' vero che ora forse non scriverei più alcuni post dei primissimi tempi. In qualche occasione mi è capitato di pubblicare post scritti più fretta del solito per coprire un articolo rovinato da polemiche spiacevoli.
E quello di cui vai più fiero.
Il post di cui vado più fiero è senza dubbio Il cruciverba dei blogger. E' un cruciverba che ho creato io inserendo vari nick di blogger. Non so neppure io come mi sia venuta un'idea tanto pazza, anche se sono stato un appassionato di parole crociate. In passato compravo addirittura una rivista chiamata "Il campione enigmistico", roba tosta. Tra i post normali quello che mi fa ridere ogni volta che lo vedo è Le mutande delle ragazze sono vere o no? Ho un legame speciale con Emma credeva nell'amore a prima vista, anche se non penso che sia il mio post venuto meglio, mi commossi scrivendolo.
Quanto tempo credi che resterai sul blog?
Difficile rispondere. Posso dire questo. Nei primi quattro o cinque mesi della mia permanenza sul blog non passava giorno senza che pensassi di chiudere baracca e burattini, anche diverse volte nell'arco di una giornata. Una volta ho messo anche un annuncio di abbandono, prima di rimangiarmi la parola dopo qualche giorno di astinenza dal blog e dopo i soliti appelli a ripensarci da parte di compagni virtuali ormai quasi del tutto spariti. Mi sentii parecchio gratificato dalle molte persone che si dicevano rattristate dalla mia decisione; sennonché ho poi scoperto che pure il più sfigato dei blogger può contare su diversi bravi guaglioni disposti a stracciarsi le vesti per lui, specie dopo un accorato post in cui si ringraziano gli amici come se si partisse volontari contro le orde alemanne di Radetzky ("Addio, mia bella addio, che l'armata se ne va"). Dopo quella volta feci una promessa. Non avrei mai più messo un annuncio di abbandono, pur dovendo lasciare davvero il blog. In ogni modo da molto, molto tempo non mi sfiora più l'idea di allontanarmi da questo mondo, anche se talvolta, come tutti, sono stanco del virtuale.
Mi astengo dal nominare chicchessia per proseguire questo post. Mi limito a citare Cleide, che so essere interessata all'argomento. Comunque consiglio pure ad altri amici di scrivere un pezzo su questo tema. Sono certo che ne verranno fuori cose interessanti.

lunedì 26 novembre 2007

Cellular

Conoscete il caso classico. Siamo in un tram superaffollato, oppure nella più gremita carrozza della metropolitana, o infine in fila all'ufficio postale con la gente che ti pressa dappertutto per camminare sul tuo cadavere. Qualcuno ti tocca il culo forse perché non ha a portata di mano le chiappe di una fanciulla che respira, forse perché un culo è sempre un culo o magari perché sul culo in genere sono situati i portafogli. Cerchi di uscire dal raggio di azione di quelli che ne mollano qualcuna all'effluvio dei sette formaggi, che ti impestano di eau pour homme all'apparenza ottenuta dalla fermentazione di topi morti o che ti tossiscono addosso cercando di trasmetterti germi appena un po' meno virulenti del virus dell'Ebola.

Nel mezzo di questo scenario apocalittico, mentre cerchi di difendere culo, portafogli, vie respiratorie, costole e la tua stessa vita, reggendoti alla meglio a un sostegno situato oltre la portata del tuo braccio anchilosato, ecco che suona un telefonino. Non si tratta di uno squillo normale, che già ti infastidirebbe, ma di una suoneria ottenuta con sigle di film di James Bond o Sergio Leone, sambe brasileire, lambade, o perfino basate su un libero arrangiamento da Ciajkovskij o Kid Creole and the Coconuts. La scicchissima e delicata suoneria rintrona a volumi consoni a casse stereo da 500 watt e non per poche volte, ma decine, causando sguardi ansiosi tra i passeggeri dell'autobus. Infine c'è uno stronzo che si decide a rispondere, con il tono di voce più potente e volgare di cui dispone, senza alcun sospetto di disturbare gli altri e senza il minimo disagio di venire ascoltato da centinaia di orecchie ostili.

Naturalmente ogni disgraziato inscatolato nei dintorni spera che il rompiscatole la finisca presto. Speranza vana. Il seccatore intavola a volumi adeguati ai 500 watt della sua suoneria una conversazione che ha l'aria di dover finire il Giorno del Giudizio. Descrive nel dettaglio i suoi rapporti di lavoro ironizzando su colleghi dai nomi astrusi e su un capoufficio iena, sulla ragazza che ha rifiutato di venire al letto con lui l'ultimo sabato sera, sul bonifico bancario da lui effettuato, persino sull'ultimo film di Lars von Trier che giura di aver visto e apprezzato anche se sbaglia la trama e i nomi degli attori. Se il disturbatore è una signora, è facile che si metta a disquisire con il suo avvocato divorzista, raccontando per filo e per segno, nel luogo con la maggiore densità abitativa del mondo, delle zoccole che il suo ex congiunto si portava a casa, del fatto che non abbia pagato l'ultimo assegno, del modo in cui impedirgli di vedere la figlia, sbatterlo in galera e possibilmente sottoporlo a trattamento di castrazione chirurgica o perlomeno chimica. Naturalmente i primi due cellularisti potrebbero essere sostituiti pure da un medico stronzo quanto loro che ciancia a telefono con i suoi pazienti come nelle gag di Carlo Verdone, da quelli che dissertano sull'ora in cui buttare la pasta o sulle smorfiosette quindicenni che spettegolano su smorfiosette quindicenni con altre smorfiosette quindicenni.

L'altro giorno ero all'ufficio postale per pagare una bolletta. A uno sportello, c'era un ragazzo sui vent'anni intento in un'operazione postale piuttosto complicata, deposito o prelievo di soldi. Il ragazzo parlava al cellulare con voce altissima, imprecando, sghignazzando e raccontando fatti personali di cui a nessuno fregava niente; apparentemente non lo sfiorava il sospetto che parlare a telefono in un luogo pubblico frequentato da gente stanca di aspettare, davanti a una mesta impiegata bisognosa di un minimo di serenità per svolgere le operazioni richiestele... fosse un'azione non del tutto lecita.
Osservavo questo scostumato intorbidire con le sue vuote chiacchiere l'atmosfera della posta e lo stato d'animo dei presenti e mi sono reso conto che il mio essere emanava calde ondate di simil odio. Quasi di certo avrei goduto se un miracoloso oggetto pesante, diciamo un meteorite capace di una piccola estinzione animale, fosse piombato in testa al disturbatore spiaccicandolo.

Anche il maestro dell'horror letterario Stephen King sembra pensarla come me, dato che in un suo recente romanzo, Cell, ha ipotizzato che morissero o regredissero a uno stadio animalesco tutti i possessori di cellulari. E che si salvassero gli altri. Naturalmente ho un telefonino pure io.

giovedì 22 novembre 2007

Grande figlio di dentista


Mi sono svegliato alle tre di stanotte in preda a uno stato d'animo non precisamente sereno anche se creativo. Meditavo di scrivere un nuovo post così intitolato: "Piscio sul mio dentista - Ode pop". Mentre mi agitavo nel letto ho pure buttato giù mentalmente alcuni versi della mia composizione poetica, devo dire che c'era un certo brio nella costruzione dei versi, c'era persino qualche eco della beat generation letteraria, si intravedeva un antico sottofondo di blues non alieno da un certo rhythm. Poi stamattina sono rinsavito. Insomma, mi sono detto, il Capitano è il Capitano. Ha una sua figura intellettuale da difendere. Non può scrivere un post intitolato "Piscio sul mio dentista". Anche se è un ode pop, magari poco ode e abbastanza pop come è nel suo stile. Anche se ha lontani echi di Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti. Anche se nella sua costruzione poetica si intravedono la dannunziana "Pioggia nel pineto" e ombre del bobdylaniano Mr Tambourine Man. Anche se il suo dentista in realtà è ormai il suo ex dentista. Anche se questo suo ex dentista meriterebbe di essere deportato a Guantanamo o perlomeno di essere preso a calci nei cosiddetti con le scarpe più appuntite tra le migliaia di paia in dotazione a Elton John. Anche se qualcuno dovrebbe trivellargli il didietro come lui cercava di massacrare il suo assistito. No, davvero, il Capitano non può scendere così in basso, mi sono detto stamattina emergendo dalle spettrali suggestioni dei domini di Morfeo.

Tuttavia c'è stato un figlio di buona donna in camice che ieri ha cercato di uccidermi, no? C'è stato questo prode Capitano che ha rintuzzato il proditorio attacco come un Aiace junior se non senior, no? Il sanguinario drago armato di tenaglie, trapani e strumenti di tortura di ogni tipo non ha vinto, non è vero pure questo? Quindi?

Quindi sono qui che aspetto l'ispirazione per scrivere l'ode pop. Non c'è fretta.

martedì 20 novembre 2007

In fondo all'anima cieli immensi

Mio Capitano. Cielo grigio su, foglie gialle giù, zaino in spalla e tanta voglia di lei, madama avventura. La domanda non è se, ma dove. Non se abbiamo fantasticato un giorno - quando in testa avevamo più sogni che capelli - di piantare tutto e inseguire i capricci della nostre mente smaniosa, ma dove desideravamo andare.
Per me la risposta è semplice. America. La sola America possibile, quella del West, del detective Marlowe e di Hollywood, ossia dell'unico posto al mondo, lo pensavo tanto tempo fa e lo penso tuttora, in cui il cinema diventa talvolta magia. C'era un tempo in cui mi vedevo aggirarmi per le lunghe autostrade del West, in mezzo ai grandiosi paesaggi che facevano da sfondo ai film di John Ford, o vagare tra i grattacieli di New York a naso in su, sperando di cogliere le capriole dell''Uomo Ragno alle prese con la perfidia di Elektro, Octopus o Goblin padre. Idolatravo l'America, anche se ne vedevo i difetti. Egoismo, arrivismo, magnati succhiasangue, scandali politici e guerre sbagliate. E però c'erano pure l'idealismo di Kennedy o del New Deal, i movimenti dei diritti civili, le rivolte universitarie, la contestazione alla guerra del Vietnam, il rhythm & blues.
Ebbene avevo e ho tuttora una zia in America. Per molti anni il fatto di poter contare nella mitica New York di una base in cui farmi ospitare ha scatenato la mia immaginazione. Davo per certo di far visita un giorno alla mia parente, magari in compagnia di amici con cui mi sarei poi avventurato in un attraversamento da costa a costa fino a Los Angeles. Mi vedevo arrivare zaino in spalla nelle cittadine del West e fare colpo sulle procaci ragazzone americane con la mia zazzera partenopea e la maglietta arrotolata sulle robuste braccia abbronzate. Certe volte ho proprio sognato di notte di andare a casa di mia zia, di muovermi da solo per le strade di New York. A quel tempo mi informavo quasi ogni giorno sul costo del biglietto aereo per una trasvolata oceanica. L'ho trovato sempre ben superiore alla capacità delle mie tasche, anche quando c'erano offerte e sconti. Poi un giorno ho smesso di pensare al costo del biglietto aereo. Semplicemente sapevo che non sarei andato più in America. E anche se ci fossi andato, la mia vacanza non sarebbe stata mai quella vagheggiata da adolescente. C'era un tempo per ogni cosa e quel tempo era passato. Ci sono molti sogni nella vita. Solo pochi si realizzano. Be', non si può avere tutto e forse è bene che sia così.
Cleide. Io non ho avuto la zia d'America, ma voglia di avventura tanta. Sogni grandi come case e coraggio e forse sconsideratezza da vendere. Colombia, Perù, Cile per arrivare in Patagonia. Tutta l'America latina. Il Messico, i paesi centroamericani. Nella mia mente solcavo nazioni come se fossero strade. Forti le gambe e ancora più forti i sogni. Però mi vedevo con il mio fedele zaino in spalla soprattutto sui terreni accidentati del Cile, in mezzo alle andine facce scolpite dei discendenti incas, su montagne dove il tempo pareva essersi fermato insieme con le tue angosce. Sapevo di avere la forza e l'ardimento necessari per percorrere il continente sudamericano da cima a fondo, magari accompagnata dalle struggenti melodie degli Inti llimani o dalla voce unica Violeta Parra che ringraziava la vita al mio posto per avermi condotto in terre dove il cuore degli uomini batte più forte.
Non so da dove nasca la mia passione per l'America latina. Magari dal fatto che il solo dialetto parlato nel mio angolo di Sardegna è la lingua catalana. Magari dal fatto che ho mangiato pane e spagnolo fin da quando ero alta così. Spesso penso che in un'altra vita quel lontano continente mi apparteneva. Forse sono stata una sacerdotessa maya o un'umile lavandaia azteca, chissà. Sono tuttora iscritta al sito di Gianni Minà e niente mi rende più felice che impossessarmi dell'ultimo libro di Isabel Allende, Angeles Mastretta e Marcela Serrano o crogiolarmi al caldo e luminoso canto di Gloria Estefan.
Ricordo l'emozione di quando il mio professore di letteratura spagnola e ispanoamericana - un romanzesco personaggio peraltro amico fraterno di Pablo Neruda - mi presentò Luis Sepulveda. Mi trasformai in un attimo in un'ebete a bocca aperta. Qui davanti a me c'era questo straordinario essere dallo sguardo magnetico che mi fissava di tanto in tanto come se mi conoscesse. E qui pendeva dalle sue labbra una fanciulla pietrificata che si chiedeva se avrebbe mai riacquistato il dono della parola. Sepulveda parlò a me e ai miei compagni di corso di suo nonno Gerardo, un anarchico Andaluso fuggito in America latina per scampare a una condanna a morte. Ci disse di quand'era guardia personale del presidente Allende. Dio mio, quell'uomo era stato a braccetto con Allende, era stato arrestato durante la dittatura di Pinochet subendo le infami torture il cui ricordo echeggiava in quell'aula universitaria sassarese! La storia siamo noi, cantava De Gregori. Può darsi, ma la storia per me quel giorno era soprattutto quest'uomo placido che aveva visto in faccia una delle peggiori dittature del secolo e non aveva avuto paura. Ho ancora il romanzo Il mondo alla fine del mondo con una sua bellissima dedica, scritta dopo chiacchiere, caffè e tequila.

Questo post è stato scritto anche da Cleide.

lunedì 19 novembre 2007

Il bellissimo sedere della figlia del tarallaro

Riporto una conversazione avvenuta nell’ufficio postale del mio quartiere, situato in quel di Napoli. Non ho aggiunto o modificato niente. Non ho accentuato il lato folkloristico. La conversazione, intercorsa fra tre signori ultrasettantenni, è stata praticata a voce alta o altissima, talché solo un sordo situato nel perimetro dell’ufficio postale avrebbe potuto non udirla.

Primo signore ultrasettantenne guarda il deretano francamente vistoso di una ragazza che paga alla cassa e proferisce, rivolto agli amici non adolescenti: "Che culo, avite visto che forma e mazzo? Chi sa che se magnene, sti guaglione e mo', tenene tutte quante 'o culo gruosso e belle."
Secondo signore replica imbarazzato con voce che vorrebbe essere bassa, ma che risulta udibile in gran parte del quartiere: "Sssss, chella è a figlia e Giggino o tarallaro" (il tarallaro in questione, ossia un venditore di speciali biscotti pepati chiamati taralli, è un personaggio con cui evidentemente i tre protagonisti del nostro racconto hanno non poca familiarità).
Terzo signore (intervenendo con tono saggio a voce altissima): "Che significa, po' essere pure figlia a me, si tene ‘o culo belle, tene ‘o culo belle".
La ragazza dal culo pieno e provocante che fa venire il prurito alle mani a qualunque maschio dotato di alito vitale, avendo finito di pagare alla cassa e riconoscendo uno dei tre ultrasettantenni, dichiara: "Bonasera, don Vince'."
Don Vincenzo saluta senza esternare la sua ammirazione alla fanciulla retrodotata, malgrado i timori dei numerosi ascoltatori della Posta (cioè tutti i clienti ivi presenti). Dopo che la ragazza retrodotata si è allontanata, così medita: "Chi s’’o penzava, ch'a figlia e Giggino ‘o tarallaro faceva nu mazzo accussì bello!"

Traduzione dei dialoghi napoletani quivi riportati:
1 - Che culo, avete visto che forma di paniere? Chissà che mangiano queste ragazze moderne, hanno tutte il culo grande e bello.
2 - Sssss, quella è la figlia di Giggino il tarallaro.
3 - Che significa! Può anche essere mia figlia: se ha il culo bello ha il culo bello.
4 - Chi se lo pensava che la figlia di Giggino il tarallaro faceva un didietro così bello!

L'invasione degli ultracorpi virtuali


L'invasione letteraria inizia così. Ci sono la moglie, l'amico di sempre, il fratello, il salumiere sotto casa che non sono più loro. Cioè sembrano la moglie, l'amico, il fratello, il salumiere sotto casa. Ma non sono qualcosa d'altro. Lo sai, lo senti. Hanno la stessa faccia, lo stesso sorriso, la stessa cicatrice sulla caviglia o sullo stesso preciso angolo di spalla. Ti sanno raccontare persino particolari della tua vita che nessun altro potrebbe conoscere. Ma non sono loro. Sono entità aliene e probabilmente ostili.

Questo è il tema del mio preferito romanzo di fantascienza, L'invasione degli ultracorpi. Da ragazzo devo averlo letto qualche decina di volte. Non avrei mai pensato che un giorno, nella vita reale, si sarebbe potuta creare una situazione analoga. In effetti, lo sappiamo, anche nel virtuale, soprattutto blog e chat, non tutti i nostri interlocutori sono quelli che dicono di essere. Magari uno giura di vivere in un posto e invece staziona agli antipodi, dice di essere maschio e si scopre che ha qualche curva in eccesso, lancia gorgheggi giovanili pur essendo in età pensionabile, si dice bello, alto, magro, ottimista e di sinistra o squassato da un drammatico problema personale o familiare quando invece... La situazione è tale che spesso ci poniamo interrogativi pure su persone virtuali conosciute da tempo e con cui magari ci siamo fatti un mucchio di risate da compagnoni di bisboccia. Quel tipo, sì, il simpaticone che snocciola tutte quelle battute briose, sarà chi dice di essere? O ancora, sarà maschio o femmina, uno o trino (nel senso che interpreta almeno tre o più diverse personalità sul blog o in chat)?

Per molto tempo sono stato convinto che sì, esistevano gli ultracorpi da internet, cioè trasformisti virtuali che si spacciano per chi non sono. Ma dovevano essere casi sporadici. Dopotutto, mi dicevo, magari può essere divertente per un po' prendere i panni di un personaggio interessante o bizzarro, apparire più affascinanti o misteriosi di come ci percepiamo. Però mentire sul blog o sulla chat dovrebbe essere una pratica di cui ci si rompe le scatole in fretta. Al contrario una mia conoscente un giorno mi fece capire che forse mi sbagliavo. Un suo amico stimato professionista, mi raccontò, si aggirava da mesi sulla chat fingendosi donna, pur non essendo in alcun modo omosessuale. Non ricordo quale fosse la giustificazione di questo signore. Forse voleva esplorare lati remoti della sua personalità o divertirsi come se interpretasse un eccitante ruolo a teatro... forse era soltanto un poveraccio che non c'aveva ‘na mazza da fare. Il mio commento nella circostanza credo sia stato più o meno: questo è un mondo di pazzi!

Mi resi conto che forse ero troppo ottimista sul tema qui trattato quando scrissi il post L'identità segreta dei blogger, in cui sostenevo che alcuni blog aggiornati con poca frequenza nascondevano una seconda o una terza identità di personaggi virtuali magari altrimenti noti. Il mio post ebbe un'accoglienza caldissima. In realtà è il post in cui ho ricevuto più commenti, oltre cento. Soprattutto si trattava di commenti non taroccati, cioè non prodotti da un paio di persone che usano il blog come una chat, ma da molti blogger spesso sconosciuti, che scrivevano riflessioni lunghe e meditate, come se l'argomento in questione fosse da loro molto sentito (cioè come se si fossero spesso imbattuti in interlocutori virtuali che gli avevano mollato qualche fregatura).

Da quel momento ogni tanto mi arriva per mail o per altre strade qualche soffiata sul fatto che il tal personaggio o la talatra tizia potrebbero essere tutt'altra persona. O mi si informa che alcuni blogger, di sesso, età e personalità opposte, in realtà ne potrebbero essere uno solo. Alcune valenti investigatrici del web sono alacremente all'opera per svelare i misteri dei sotterranei non del Louvre, ma del blog. E pare che le vicende e i personaggi di questi paraggi virtuali diano loro sempre materia per dubitare del prossimo.

Chiudo con un appello e una sfida: spettro trasformista del blog, fantasmino dispettoso dalle cento web-personalità, se ci sei batti un colpo, anche due, in questo blog. Manifestati a me, che ti evoco! :-)

mercoledì 14 novembre 2007

Io che sono Dio, io io


Io che sono Dio, io, io , io, io, io.
Io che sono così sofisticato da non poter usare nemmeno il pronome io, io, io, io.
Io perfetto, io giusto, io buono.
Io onnisciente, io onnipotente, io onnipresente.
Io che sono sopra l’amore e la vita, il fato e la predeterminazione.
Io che tutto ho visto e tutto conosco,
Io che ho creato ogni cosa e pure chat e blog, log, log, log, log.

Io che mi manifesto anche se voi fate di tutto per non vedermi. Io che vi ho indicato la Strada, anche se vi impegnate per ignorarla. Io che ho creato, in un tempo che non era un tempo, quel frivolo pensiero che vi attraversa la testolina in questo preciso istante. Io che in quel tempo non tempo ho determinato sul vostro viso quel sorrisetto sarcastico o quell’impercettibile inarcare di sopracciglio, iglio, iglio, iglio.
Ma se vi ho generato io, potreste domandarmi cari figli mortali, perché vi avrei fatto così arroganti, ignoranti, prepotenti, furbi e codardi? No comment, omment, omment, ent, ent. O forse il quesito era perché voi mi avete creato così imperfetto e vendicativo? No comment. E perché mi presenterei a parlare proprio su questo blog? No comment, ment, ment, ent, ent.
Perché non mi presento su blog più frequentati come quello di Beppe Grillo o di qualche altra star virtuale? E chi è questo Grillo, illo, illo, illo…?

Ultima domanda: per quale motivo avrei creato l’universo? Che cosa ci guadagno? Potrei avvalermi della facoltà di non rispondere o appellarmi a qualche Quinto Emendamento, potrei persino argomentare che sono così perfetto che nemmeno io talvolta capisco gli scopi delle mie azioni, né se scopi vi siano. Ma vi dirò, cari e manchevoli figli terreni, pensate di essere immortali, eterni, onnitutto e onnisempre. E poi pensate di dovervene restare soli per sempre ad ascoltare l’eco dei vostri pensieri, anche perfettissimi, issimi, issimi, issimi, issimi.
Non è certo una prospettiva, iva, iva, iva, allegra, egra, egra, egra.

domenica 11 novembre 2007

Accadde domani

Oggi è il 12 novembre. La temperatura si mantiene entro le medie del periodo a Napoli. Il tempo è parzialmente soleggiato, dalla finestra posta a levante è possibile notare alcune alte nubi stratificate. Non si rilevano sostanziali discordanze tra la temperatura reale e quella percepita. La visibilità è buona, il vento soffia a una velocità di 11 chilometri all'ora dal quadrante nordorientale. La probabilità di pioggia prevista dal satellite meteorologico è dello zero per cento, il che fa immaginare che sarebbe buona cura per i napoletani portare con sé un robusto e ampio ombrello. Le ore di luce sono nove virgola sei, più che sufficienti per recarsi a san Gregorio Armeno per acquistare i presepi e i pastori che danno lustro a quella via.
Ah, tra esattamente un mese e mezzo è Natale, giorno per cui il satellite prevede bufere e tormente di melassa dei buoni sentimenti.

venerdì 9 novembre 2007

La taglia


Il vostro affezionato Capitano, in associazione con alcuni benemeriti enti scientifici, mette non una taglia, ma una lauta ricompensa su un determinato tipo umano il cui studio farà avanzare il progresso culturale. Potranno intascare non la taglia, ma la lauta ricompensa coloro che segnaleranno all'attenzione di questo blog esemplari bipedi dotati dei seguenti requisiti.

1) Un reddito annuo non inferiore ai 250 mila euro, ossia a 500 milioni delle vecchie lire.

A dire vero io non conosco intimamente nessuna persona che accumuli tale cifra in un anno. I miei fratelli guadagnano come normali stipendiati che fanno tripli salti carpiati per giungere a fine mese. Ho una valente cugina che fa la maestra elementare, alcuni parenti impiegati statali, un paio di amici professori di scuole medie, un amico fisico e un cugino ingegnere e persino una mia antica innamorata liceale a senso unico (nel senso che io mi struggevo e quella manco mi calcolava) internista d'ospedale... tuttavia nessuno di questi personaggi si avvicina anche di poco al reddito quivi indicato. E' vero che ciò potrebbe essere dovuto a una mia frequentazione sociale non particolarmente fortunata. Mentre per altri individui, anche su questo blog, non dovrebbe essere difficile avere conoscenti che incamerino ogni anno i discreti milioncini suddetti. Passiamo al punto due necessario per riscuotere la taglia, cioè la ricompensa.

2) Un atteggiamento di sinistra a tutti i costi. Un supposto progressismo sbandierato e gridato in ogni situazione e circostanza.

Qui il numero di candidati utili ai nostri scopi potrebbe ridursi di molto; di solito si pensa che uno che guadagni il po' po' di soldini segnalati (trattasi di oltre ventimila angioletti al mese) sia più propenso ad abbracciare idee e comportamenti di centro-destra che rivoluzionari. Quando ti pappi ogni mese quaranta milioncini del vecchio conio dovrebbe passarti ogni voglia di darti arie da Che Guevara o da Emiliano Zapata che guida i peones verso il ribaltamento sociale.
Be', non è detto che sia sempre così. Esiste un certo tipo umano con le tasche gonfie di bigliettoni verdi o similari e carte di credito sufficienti per giocarci a Scala Quaranta che fa un gran cianciare di progressismo, terzomondismo, antibushismo, antimperialismo, noglobalismo e di altre dozzine degli ismi più a sinistra che ci siano. Conosciamo i tipi. Sono personaggi sempre pronti a sottolineare che le loro letture sono più antisistema delle tue, le loro preferenze artistiche molto più contestatrici delle tue, le loro grida a favore di chi soffre e il loro sdegno contro le forze dell'oscurantismo molto più addolorati dei tuoi. Ti fanno sentire un mostro senza cuore quando ti accusano di non soffrire abbastanza per il maschilismo, il papismo, la xenofobia, i buchi nell'ozono o nel culo di lavoratori precari. Peccato che tu venga a sapere del cospicuo tesoretto bancario di questi immensi stronzoni quando non li frequenti più e non li puoi perciò più mandare affanculo come meriterebbero.

Il nostro secondo parametro ha ristretto abbastanza il campo dei soggetti candidati alla taglia, cioè alla ricompensa. Procediamo.

3) Permanenza continua e frivola sul blog o, in alternativa, sulla chat o sui gruppi di incontri virtuali.

Questa caratteristica dovrebbe ridurre non poco il numero dei soggetti da taglia. Infatti, mettiamoci un attimo nei panni dell'individuo ricercato. Guadagniamo un bel po' di soldini, quindi non ci manca il modo per impegnare proficuamente il nostro tempo libero: possiamo farci viaggi e vacanze, procurarci svaghi costosi o pagarci amanti occasionali o duraturi. Inoltre il nostro strombazzato progressismo dovrebbe farci utilizzare altro tempo ed energie per devolvere una parte del nostro benessere a favore dei deboli e delle cause con la ci maiuscola di cui ci facciamo paladini, almeno a chiacchiere. Come è possibile che nonostante ciò troviamo, noi riccastri, noi anticonformisti magnati magnoni e piagnoni, noi antipoveri fanfaroni della rivoluzione, il tempo di bivaccare giorno e notte sul blog, sulla chat o nel virtuale? Cerchiamo emozioni forti? Amori malandrini insaporiti dal gusto del proibito? Boh.

Bene la spiegazione della taglia è stata abbastanza esaustiva. Si cerca una persona ricca a partire da un certo reddito, primatista mondiale del progressismo parolaio e acquartierata senza soluzione di continuità tra blog, chat e virtuale. Chi avesse nominativi adatti si sbrighi a presentarli e a ritirare il ricco premio messo a disposizione da questo blog e dagli enti scientifici che lo sponsorizzano.

C'è una strada nel bosco napoletano


Sarà capitato pure a voi. Un giorno, per un miracolo o poco meno, trovate sul vostro cammino qualcosa di meraviglioso, che non sembra appartenere a questa dimensione imperfetta. Ma non avete nemmeno il tempo di gioire per l'inatteso dono del Cielo ed ecco che questo mondo boia ve lo ha già rubato. La cosa bellissima donatami dalla Provvidenza era una strada napoletana. Ma prima di spiegare come mi è stata sottratta devo fare una piccola digressione.

Ho l'abitudine di fare passeggiate soprattutto serali. Non è molto piacevole passeggiare nel mio angolo partenopeo di città. Anzi spesso è un'esperienza da dimenticare. Già è un'impresa guadare la stradina fuori dal mio rione: i biliosi automobilisti che passano di lì non ti permettono di passare nemmeno se incatenati nel traffico. Quando raggiungi la riva stradale opposta, quasi sempre ti imbatti in sciami di scostumatissimi post-scugnizzi che pretendono di passare sul marciapiede, per di più in senso vietato, con rombanti e molesti motorini. Dovunque tu vada, lo scenario non cambia. Sei assediato da macchine che attentano alla tua vita pure se cammini rasente al muro, tormentato da aria irrespirabile, oppresso da un paesaggio di palazzoni orrendi che divorano il cielo e i tuoi sogni, perseguitato dalla maleducazione di automobilisti e pedoni. Quando ti capita che le cose vadano un filo meglio, ecco che torme di cani, bastardi o accompagnati da padroni bastardi, ti ringhiano contro a ogni angolo di via costringendoti ad assumere il cipiglio di un domatore del circo Orfei per allontanare le loro fauci dai fondelli dei tuoi calzoni. Insomma il mio quartiere non è il luogo più consono per passeggiate rilassanti.

Però pure in questo angolo di mondo dimenticato dalla grazia divina puoi imbatterti in una specie di paradiso terrestre. Mi capitò qualche mese fa di trovare una stradina del tutto diversa dalle altre. Per cominciare era chiusa al traffico, nemmeno l'ombra di una vomitevole automobile, né l'eco di uno stridente clacson, fondo stradale pavimentato da un travertino da acquerello, un silenzio da praterie a ovest del Mississippi e lassù il cielo amico dei film di John Ford. Ti volti ai lati della strada e ti trovi immerso in bucolici spazi verdi con la famigerata erba a forma di spighetta di cui ho parlato qui e un vento tiepido che pare originato dalla regione dei grandi laghi africani. La stradina tranquilla era spesso attraversata da mamme che accompagnavano educati marmocchi alla vicina scuola elementare.

Per farla breve, fui conquistato da questo tesoro di via e ogni volta che potevo ci passavo per riconciliarmi con la vita. Tuttavia il destino aveva in serbo per me una sorpresa non lieta. Un pomeriggio sul tardi mi trovai a passare in quel luogo trovandolo tranquillo e poco frequentato come al solito, ma non deserto. C'era in effetti un'auto parcheggiata a metà della Strada della Felicità. Avvicinandomi mi resi conto che una fanciulla dai tratti delicati era adagiata nel sedile accanto a quello di guida. La fanciulla era disorientata, esibiva uno sguardo assente, pareva aver bisogno di aiuto. Per un attimo scattò in me l'impulso del cavaliere libero e cortese. Non fosse mai detto che l'intrepido Capitano lasciasse una fanciulla in difficoltà! Se necessario le avrei dato tutto il mio aiuto, avrei messo al suo servizio il mio coraggioso braccio difendendola da tutte le insidie partenopee. Tuttavia ero appena salito sul più bianco destriero della mia mente che avevo già deciso che no, non avrei aiutato a nessun costo la donzella in difficoltà. Aiutarla? Giammai!

Mi resi conto, in effetti, che la delicata fanciulla non era sola nell'auto, dato che impugnava una turgida estremità del corpo maschile non riconducibile a nessuno dei quattro arti umani. Presumibilmente il proprietario della turgida estremità era riverso sul sedile ribaltato e produceva qualche effetto sonoro che faceva Aaahhhh o anche Oooohhhhh. La fanciulla aveva stampata sul viso un'amletica espressione. Masturbare o non masturbare, sembrava chiedersi la Shakesperare's girl non in love, questo è il problema. Se sia più nobile d'animo lavorare di mano in quest'auto iniqua, o prender l'armi contro un mare di triboli e strattonare quest'uccello molesto. Segare, trombare, nulla più, e con una trombata dirsi che poniamo fine al cordoglio eccetera. Nella nostra pur non accogliente città, riflettei vagamente, si potevano svolgere certe inderogabili operazioni fisiologiche anche in posti che non fossero a un tiro di sputo da una scuola elementare. E magari in un luogo pure diverso dall'unico sentiero decente in cui puoi passeggiare nel raggio di svariate leghe partenopee.

Il risultato di questo incontro è che non sono passato più nella Strada della Felicità, anche se tecnicamente avevo e ho tutti i diritti del mondo di transitare da lì. Non vorrei davvero essere considerato un guardone da nessuno e d'altra parte non mi posso mettere i paraocchi come i cavalli. Però non ho mai smesso di imprecare contro questi sguaiati teppisti moderni che cercano in tutti i modi di sottrarti le cose belle non appena ti si presentano a portata di mano.

Vieni, c'è una strada nel bosco
Il suo nome conosco
Vuoi conoscerlo tu?

domenica 4 novembre 2007

Il maestro e Margherita


- Maestro, perché amiamo, scriviamo poesie o sogniamo? In breve perché viviamo?
- Magari non c'è un motivo, Margherita. Siamo qui e basta. Esistiamo e basta. Non c'è molto altro da aggiungere.
- Questo si può dire di un albero. Un albero, una pietra, una collina sono lì e basta. Ma noi dovremmo essere qualcosa di diverso.
- Per alcuni non c'è differenza sostanziale tra noi e una pietra o un gelido spazio cosmico pieno di nulla e di rarefatti ioni di idrogeno. Tutti e tre gli elementi, uomo, pietra e spazio cosmico, sono composti di materia, solo concentrata e aggregata in modo differente. Cosa siamo alla fin fine? Prendi alcuni secchi d'acqua, aggiungici un bel pezzo di carbone, calcio, azoto, potassio, fosforo e qualche altra polverina acquistabile dal farmacista sotto casa... assembla bene insieme questi materiali e avrai un animale bipede che guarda le soap opera e grida la domenica allo stadio.
- Ma noi possiamo pensare maestro, una pietra non può farlo.
- Così dicono.
- Possiamo interrogarci su noi stessi, sul bene e sul male e sul destino dell'universo.
- Non che ci serva a molto. Le risposte importanti sono poche o nulle.
- E l'anima? Non ci rende diversi una caratteristica così portentosa della nostra personalità?
- Già, bel trucco per sottrarci alla morte.
- Non mi parli di quell'argomento, mi mette a disagio.
- La morte è solo una parola. Cosa cambia, poi, tra la vita e la non vita? Se ci pensi, con la cosiddetta morte la materia da cui siamo formati continuerà a esistere. Ogni singolo atomo che compone i nostri corpi e il nostro cervello non decadrà, assumerà solo una diversa collocazione biochimica, sarà incorporato da altri esseri viventi, inglobato dalla terra e dall'atmosfera o liberato nello spazio in quella piccola quantità di molecole sfuggenti alla gravità terrestre. Niente di noi andrà perduto, quindi niente morirà.
- Ma i pensieri, le emozioni, i sogni! Cosa ne sarà di essi? Cosa ne sarà di certe percezioni uniche e straordinarie che tutti noi abbiamo avuto nella vita? Che fine farà il ricordo dell'ormai famoso seno timido che sotto un ombrello si posò su un braccio maschile come per caso, generando versi nostalgici sui blog? Che ne sarà del riverbero mentale di tante carezze che ci hanno commosso?
- Hai letto troppa letteratura sentimentale, cara fanciulla. Non so che fine faranno quei ricordi. Qualche anima bella potrebbe sostenere che nessun evento o fenomeno del creato andrà perso, che da qualche parte esiste una specie di portentoso archivio ultraterreno che registra ogni accadimento verificatosi nell'universo, dal minimo spostamento di atomo alle rivoluzioni epocali. Altri potrebbero affermare che, passato l'attimo fuggente in cui si verificano certi fatti, niente più resterà. Il verso il più ispirato di Shakespeare e l'eco del peto del più turpe individuo avranno lo stesso destino: il nulla.
- E Dio, maestro? Dio esiste?
- Cosa ti fa pensare che io o chicchessia sappiamo rispondere a un tale quesito?
- Bah, mi sento triste e inutile. Voglio dire, so che siamo di passaggio in questo mondo, so che dobbiamo morire, so persino che forse non ci sarà un'altra esistenza dopo di questa. E lo accetto. Ma mi sentirei meglio se sapessi che la mia vita ha un senso, che ciò che ho fatto e faccio svolge un ruolo, anche microscopico, in un disegno più grande, in un Progetto Superiore. Mi sentirei meglio se sapessi che la mia vita ha un significato!
- Ora magari mi citerai Whitman. Un verso con cui contribuire al Potente Spettacolo della vita darebbe un senso alla tua esistenza?
- Non mi prenda in giro. Tutto non può essere dovuto al Caso. Ci deve essere di più. Io e lei non possiamo essere qui a discutere di questi argomenti per un puro incidente dell'evoluzione. Pensi per un attimo all'amore, maestro. Pensi alla massa smisurata di amore prodotta da miliardi e miliardi di individui in tutta la storia dell'umanità! E' possibile che quella quantità colossale di slanci dei nostri cuori sia un fenomeno fortuito come un altro, che non abbia un senso?
- Ecco ancora la tua vena romantica, mia dolce fanciulla. Posso dirti questo, l'unica cosa che sappiamo è che noi siamo qui. Io ti parlo, tu mi parli. Io penso, tu pensi. Batte forte il tuo generoso cuore e batte pure il mio più scettico muscolo pettorale. E' tutto dovuto al Caso? Potrebbe darsi. Il famoso paradosso della scimmia e della macchina da scrivere dice di sì. Dai a una scimmia abbastanza tempo e, battendo tasti a caso, prima o poi riuscirà a scrivere l'intera Divina Commedia senza un errore. Dai all'universo abbastanza tempo e prima o poi, casualmente, riuscirà ad assemblare la materia nel corpo e nel cervello di un uomo. Tuttavia...
- Tuttavia, maestro? La prego, dia una speranza alla mia vita e ai miei sogni, se non al mio amore.
- Pretendi troppo da un piccolo e ignorante uomo. Però penso una cosa. Creare un uomo che legge poesie partendo dalla non materia iniziale dell'universo, dalla massa zero ed energia infinita del cosiddetto uovo cosmico, te lo assicuro, non è uno scherzo. Tale risultato comporta un numero così elevato e altamente sofisticato di processi fisici che sarebbe come se miliardi di scimmie scrivessero miliardi di Enciclopedie Treccani senza uno sbaglio. Un evento simile potrebbe essere frutto del Cieco Caso? Io non ci credo e tu

Vedi pure Il buio oltre la siepe


giovedì 1 novembre 2007

Cuor di Cirano, cuor di Guccini


Mio Capitano. Partiamo con due affermazioni per nulla scontate: Guccini mi piace e mi piace pure come canta. Non credevo che un giorno avrei detto cose simili perché ai tempi del liceo vedevo il cantautore modenese come fumo negli occhi. Mi pareva un interprete lagnoso, uno di quei beccamorti musicali che si sarebbero meritati di essere presi a chitarrate in testa come fa il mitico John Belushi in Animal House. Bastava l'eco del suo vocione per farmi scappare lontano.
Poi un giorno mio fratello il musicista - ha suonato il basso in qualche gruppetto musicale - portò a casa un doppio cd di Guccini registrato dal vivo. Io subito storsi la bocca ironizzando sui gusti musicali del consanguineo. Però accadde un fatto strano. Mio fratello all'epoca aveva l'abitudine di ascoltare la musica a volume altissimo, per cui anche se sprangavi due o tre porte tra te e lo stereo ascoltavi perfettamente ciò che non volevi ascoltare. Di conseguenza fui costretto ad accorgermi che molte delle canzoni del doppio cd mi piacevano. Ricordo ora "Dio è morto", "Canzone per un'amica", "Il vecchio e il bambino" e tante altre.
Notai un particolare a me ignoto in quell'occasione. A dispetto di ciò che avevo sempre creduto Guccini aveva nel suo repertorio anche canzoni romantiche, spesso trattate con una profondità di sentimenti e una sensibilità di cui non credevo capace il cantautore emiliano. La canzone in assoluto che mi conquistò fu "Cirano". Rimasi più che stupefatto quando mi accorsi che nella registrazione dal vivo le parole di Guccini erano accompagnate da un coro di ragazzine e signore innamorate, in un modo non molto diverso da come si sarebbe fatto a un concerto di Eros Ramazzotti o di Claudio Baglioni. Adoro "Cirano" (con la i come lo scrive il cantautore modenese), ma la adoro soprattutto in quella versione dal vivo.
Guccini a mio vedere è bravo, ma diventa irraggiungibile quando tratta temi riguardanti eroi maledetti e soli, erranti cavalieri incompresi che combattono contro i mulini a vento sferzando ipocrisia e conformismo dilaganti. E' bravo, Francesco, quando parla di una "ragazza bionda senza averne l'aria", "filosofando pure sui perché", ma è un gigante, il più grande gigante della canzone italiana, quando veste i panni di Cirano ("Io sono solo un povero cadetto di Guascogna / però non la sopporto la gente che non sogna") o di don Chisciotte (colpirò con la mia lancia l'ingiustizia giorno e notte / com'è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte...). Guccini è questo, l'eroe letterario e sfortunato che si innamora delle cause perse e delle donne sbagliate. L'eroe crepuscolare che fa sentire te eroe. E ora passo la parola a Cleide, che sull'argomento Guccini ne sa molto più di me e di quasi ogni altra persona in questi paraggi.
Cleide. Mi lusinghi Capitano, ma sono solo una povera cadetta di Sardegna, con un debole per la gente leale e degna come il cantautore dell'Emilia Romagna. Non so se sarò capace di scrivere di Guccini nel ristretto spazio di un post. Questo perché il mio interesse per il Cantastorie Francesco, come ama essere definito, non è solo discografico, ma abbraccia la sua ventennale attività di narratore e romanziere. Infatti, anche se non è noto a tutti, l'ex Avvelenato della canzone italiana ha scritto molto. Dai gialli, prodotti in collaborazione con Loriano Macchiavelli, ai racconti sulla sua Padania, terra da non intendersi assolutamente in senso leghista, alla dotta trattazione degli idiomi galloitalici che fanno da sfondo alla sua produzione narrativa. Il filo conduttore della produzione artistica gucciniana è la memoria, l'ancoraggio alle sue radici culturali, la tradizione popolare. In ogni caso mi affascina l'uomo, con la scorza di saggio montanaro, che si dimostra profondo conoscitore di vita e di esperienze senza perdere il suo animo di bambino.
Tuttavia, è nei concerti si impara ad amare realmente il cantautore modenese. Ad assistere ad una sua esibizione musicale si rimane sorpresi dall'età dei partecipanti, gran parte dei quali sono giovanissimi. Eppure Guccini è sulla scena da quasi quarant'anni. Ho assistito a diversi suoi concerti e ogni volta la sensazione è sempre la stessa, quella di andare ad incontrare un amico. Francesco è un grande affabulatore, dotato di un sense of humor tutto emiliano, dove l'ironia si unisce all'indignazione e talvolta all'invettiva, senza mai trascendere in banalità o volgarità. Un compagnone, il perfetto complice da osteria che ti arringa su donne e politica mentre mette giù un re di coppe, uno che se lo incroci per strada non esiti a fermarlo per fare due chiacchiere. Ho spesso pensato di andare a Pavana per incontrarlo, e forse, un giorno o un altro, lo farò. Mi piace il Guccini che tu citi, Capitano, quello degli eroi sfortunati e dei cavalieri erranti, mi piace quel pathos che ti fa sentire un brivido lungo la schiena, mi piace il Guccini di Ritratti: Piazza Alimonda, Ulisse, Che Guevara, Cristoforo Colombo. Ma spesso mi metto all'ascolto di pezzi dove l'attenzione è rivolta ai volti meno noti, gli sfigati, gli incompresi: il Matto, Cencio, il Frate, eroi a loro modo, gente che vive sopra il conformismo ma ne è spesso vittima. Mi piace anche il Guccini delle rare canzoni d'amore, cantate quasi con pudore e senza traccia di banalità. Il Guccini delle domande consuete, convinto che" fare domande sia meglio che azzardare risposte, perché interrogarsi presuppone ricerca, e a rispondere si rischia l'arroganza". In fondo, ha sempre senso cercare l'isola incantata, ma è necessario guardarsi bene dal non trovarla.
Questo articolo è anche da Cleide.