Prima puntata
“Scegli!” Emma sobbalzò nel vicolo rischiando di far cadere la copia dell’Iliade che leggeva come faceva di solito nel tratto di strada da scuola a casa.
Si voltò intorno, ma il vicolo, caso strano, era deserto. Per un attimo pensò che la voce udita appartenesse a uno degli studentelli scostumati a cui cercava di insegnare, se non l’italiano e la storia, almeno le buone maniere. Eppure in giro non si vedeva nessuno di quegli sciagurati. E soprattutto non echeggiava nessuna delle offese con cui la bersagliavano di nascosto, le più fantasiose delle quali erano insulsaggini come zitella, scorfano o mummia.
“Scegli, Emma!” Stavolta lei tremò tanto che il volume omerico precipitò sul selciato lurido del vicolo. La voce era molto più forte e inquietante. Pareva provenire da nessuna direzione e da tutte e, soprattutto, pareva emessa da una gola disumana.
Fuggire a gambe levate? L’avrebbe fatto se la paura o meglio il panico non l’avessero pietrificata. Infilò una mano nervosa nella borsa. Ma le uniche armi con cui fronteggiare un’aggressione erano un testo sull’epica cavalleresca carolingia e un saggio sulla letteratura romantica.
“Scegli, Emma!” La voce ormai aveva la potenza vocale di un coro di valchirie wagneriane. Eppure, benché quelle parole fossero probabilmente udibili fino a piazza Plebiscito e alla Galleria Umberto I, il vicolo continuò a restare deserto.
A quel punto Emma si avvide che le stranezze di quel giorno non erano finite. Sul muro del vicolo era apparsa una porta verde che si stagliava sulle pietre ingrigite dal tempo. Udì strani e ripetuti suoni provenienti dalla porta, anche se sapeva che dietro quel muro c’era solo un edificio fatiscente abbandonato da decenni. Prima ancora di rendersene conto, capì di aver coperto i pochi passi che la separavano dal vistoso battente verde e di aver abbassato la maniglia di ottone lucido. Le ci volle qualche secondo per abituarsi al cambio di luminosità. Ma sapeva che non sarebbe bastata una vita intera per superare lo shock di quanto vide.
La porta nel vicolo dava su una strada del tutto invasa da carrozze e carri di ogni foggia. C’erano calessi, carrette piene di ortaggi, e la velocità di ogni singolo veicolo sembrava proporzionale al suo lusso e alla sua eleganza. Più lontani, uomini a cavallo avvolti in sgargianti uniformi antiquate. Nessuna automobile in vista per quanto si aguzzasse la vista.
I marciapiedi erano percorsi da gente in abiti antichi. Le donne indossavano cappellini piumati all'apparenza antecedenti alla salita al trono della regina Vittoria; e mostravano vite e busti esilissimi che sormontavano ampie gonne gonfiate da crinoline. Gli uomini avevano cappelli di forma cilindrica e redingote a doppio petto. Alcuni si appoggiavano con eleganza a bastoni dal pomello d’oro o d’argento. L’aria era percorsa da richiami di ogni genere di venditori, dalle merlettaie agli acquaioli ai caldarrostai.
Eppure la cosa più impressionante di tutte, si accorse Emma guardandosi, era ciò che capitava a lei stessa. Per osservare meglio, si era sporta. La metà del suo corpo situata nel mondo con le carrozze e i cappelli a cilindro era abbigliata con un vestito d’epoca, aderentissimo sul busto, con la sottana gonfia fino all’inverosimile e una corta mantellina che copriva l’ampia scollatura apparsale in questa sua mezza figura. La parte di lei rimasta nel vicolo era vestita con la solita tenuta zitellesca da professoressa di italiano delle scuole medie appassionata di classici.
Udì per l’ultima volta la stentorea voce che faceva vibrare il fondo stradale. “Devi scegliere il tuo mondo, Emma. O di qui o di là. Dopo non potrai più tornare indietro. Fa' la tua scelta."
Emma era confusa. Negli ultimi minuti aveva visto cose che avrebbero fatto vacillare menti più salde della sua. Però di un fatto era certa. Alle sue spalle la aspettava il solito appartamento avvilente in cui avrebbe dovuto mangiarsi la cena da sola guardando gli ultimi disastri trasmessi dal telegionale. Davanti a lei c’era un mondo pieno di colori come non ne hai mai visti, percorso da voci fresche e allegre. E Dio mio, quanti, quanti profumi nell'aria! Non pensava che potessero esistere odori tanto intensi e variegati.
“Quale scelta?” disse varcando la porta verde e sentendo chiudersi l’uscio alle spalle. L’attimo dopo si incamminava sorridendo sul marciapiede sistemandosi l’ampia gonna e il nastro sottogola del suo cappellino d’epoca.
Inizio qui una storia in quattro puntate, sulle avventure di Emma nell'Ottocento. Il prologo a questo mio racconto potrebbe essere considerato il post intitolato “Emma credeva nell’amore a prima vista.
Si voltò intorno, ma il vicolo, caso strano, era deserto. Per un attimo pensò che la voce udita appartenesse a uno degli studentelli scostumati a cui cercava di insegnare, se non l’italiano e la storia, almeno le buone maniere. Eppure in giro non si vedeva nessuno di quegli sciagurati. E soprattutto non echeggiava nessuna delle offese con cui la bersagliavano di nascosto, le più fantasiose delle quali erano insulsaggini come zitella, scorfano o mummia.
“Scegli, Emma!” Stavolta lei tremò tanto che il volume omerico precipitò sul selciato lurido del vicolo. La voce era molto più forte e inquietante. Pareva provenire da nessuna direzione e da tutte e, soprattutto, pareva emessa da una gola disumana.
Fuggire a gambe levate? L’avrebbe fatto se la paura o meglio il panico non l’avessero pietrificata. Infilò una mano nervosa nella borsa. Ma le uniche armi con cui fronteggiare un’aggressione erano un testo sull’epica cavalleresca carolingia e un saggio sulla letteratura romantica.
“Scegli, Emma!” La voce ormai aveva la potenza vocale di un coro di valchirie wagneriane. Eppure, benché quelle parole fossero probabilmente udibili fino a piazza Plebiscito e alla Galleria Umberto I, il vicolo continuò a restare deserto.
A quel punto Emma si avvide che le stranezze di quel giorno non erano finite. Sul muro del vicolo era apparsa una porta verde che si stagliava sulle pietre ingrigite dal tempo. Udì strani e ripetuti suoni provenienti dalla porta, anche se sapeva che dietro quel muro c’era solo un edificio fatiscente abbandonato da decenni. Prima ancora di rendersene conto, capì di aver coperto i pochi passi che la separavano dal vistoso battente verde e di aver abbassato la maniglia di ottone lucido. Le ci volle qualche secondo per abituarsi al cambio di luminosità. Ma sapeva che non sarebbe bastata una vita intera per superare lo shock di quanto vide.
La porta nel vicolo dava su una strada del tutto invasa da carrozze e carri di ogni foggia. C’erano calessi, carrette piene di ortaggi, e la velocità di ogni singolo veicolo sembrava proporzionale al suo lusso e alla sua eleganza. Più lontani, uomini a cavallo avvolti in sgargianti uniformi antiquate. Nessuna automobile in vista per quanto si aguzzasse la vista.
I marciapiedi erano percorsi da gente in abiti antichi. Le donne indossavano cappellini piumati all'apparenza antecedenti alla salita al trono della regina Vittoria; e mostravano vite e busti esilissimi che sormontavano ampie gonne gonfiate da crinoline. Gli uomini avevano cappelli di forma cilindrica e redingote a doppio petto. Alcuni si appoggiavano con eleganza a bastoni dal pomello d’oro o d’argento. L’aria era percorsa da richiami di ogni genere di venditori, dalle merlettaie agli acquaioli ai caldarrostai.
Eppure la cosa più impressionante di tutte, si accorse Emma guardandosi, era ciò che capitava a lei stessa. Per osservare meglio, si era sporta. La metà del suo corpo situata nel mondo con le carrozze e i cappelli a cilindro era abbigliata con un vestito d’epoca, aderentissimo sul busto, con la sottana gonfia fino all’inverosimile e una corta mantellina che copriva l’ampia scollatura apparsale in questa sua mezza figura. La parte di lei rimasta nel vicolo era vestita con la solita tenuta zitellesca da professoressa di italiano delle scuole medie appassionata di classici.
Udì per l’ultima volta la stentorea voce che faceva vibrare il fondo stradale. “Devi scegliere il tuo mondo, Emma. O di qui o di là. Dopo non potrai più tornare indietro. Fa' la tua scelta."
Emma era confusa. Negli ultimi minuti aveva visto cose che avrebbero fatto vacillare menti più salde della sua. Però di un fatto era certa. Alle sue spalle la aspettava il solito appartamento avvilente in cui avrebbe dovuto mangiarsi la cena da sola guardando gli ultimi disastri trasmessi dal telegionale. Davanti a lei c’era un mondo pieno di colori come non ne hai mai visti, percorso da voci fresche e allegre. E Dio mio, quanti, quanti profumi nell'aria! Non pensava che potessero esistere odori tanto intensi e variegati.
“Quale scelta?” disse varcando la porta verde e sentendo chiudersi l’uscio alle spalle. L’attimo dopo si incamminava sorridendo sul marciapiede sistemandosi l’ampia gonna e il nastro sottogola del suo cappellino d’epoca.
Inizio qui una storia in quattro puntate, sulle avventure di Emma nell'Ottocento. Il prologo a questo mio racconto potrebbe essere considerato il post intitolato “Emma credeva nell’amore a prima vista.