Basta
con questa neve del kaiser, basta con queste caramellose immagini di Roma e Napoli
addolcite sotto il bel manto candido e tutti che ridono come se fosse Natale,
anche spacciatori, camorristi e adepti di Mafia Capitale, anche baby killer di
Scampia, baby gangster della Magliana e baby stronzi di Forcella, basta con
questi reportage televisivi con i giornalisti affannati che descrivono il
freddo, ma poi, perché mai hanno l’affanno mentre parlano? hanno sempre parlato con
voce ferma anche salendo le scale a due a due e ora sbuffano come pazzi se un
fiocco bianco li sfiora, non sarà che i valorosi reporter staranno pensando: mi
pagano a peso d’oro per descrivere il nulla, per intervistare qualche viandante
più cazzone che nullafacente che spara puttanate sul freddo da sotto un
colbacco stile Danko a Gorky Park,
mercoledì 28 febbraio 2018
domenica 4 febbraio 2018
Camminare
Un
tir rovesciato a lato della strada con le ruote che puntavano verso il cielo,
sembrava il cadavere di un essere che era stato vivente. La cabina di guida
vuota, eccetto alcune ossa intorno a un cranio umano. Una mano scheletrica
reggeva ancora il grosso volante anche se il resto del braccio era scomparso. Tutt’intorno
al tir, automobili arrugginite con i cofani sfondati e i finestrini ciechi da
cui spuntava qualche pezzo di vetro appuntito. Cartacce dovunque, concentrate
per qualche motivo al centro della strada. Più avanti i resti di alcune
bandiere bruciate e un gommone da mare bucato fornito di motore e barra di
navigazione.
L’uomo
camminava lento sulla larga strada cittadina quasi senza fare caso allo sfacelo
che lo circondava. Lo zaino oscillava alle sue spalle, le scarpe
scricchiolavano sull’asfalto e di tanto in tanto prendevano a calci, senza
motivo, o forse per generare un acciottolio familiare che interrompesse il
nulla, qualche sasso che incontravano sul loro percorso. L’uomo guardava e
camminava.
domenica 28 gennaio 2018
Preghiera di un dio depresso
È seduto
due file davanti a me nel vagone della metropolitana e guarda una vecchia
dall’aria malata come se si aspettasse o meglio desiderasse che morisse da un
momento all’altro. È inquietante l’avidità con cui fissa la vecchia come se
volesse evocarne la morte. Muori, muori, dicono i suoi occhi cattivi, muori ora,
fammi questo favore. Eppure nessuno degli altri viaggiatori sembra fare caso a
quello strano passeggero. Come è fatto? Niente di che. Uno qualunque. È vestito
come uno dei mille pendolari cittadini. Potrebbe avere qualsiasi età da trenta
a cinquanta. Ha una cineseria di borsello a tracolla e a volte si infila un
paio di scadenti cuffie musicali probabilmente sgraffignate a qualche Black
Friday. Se ne sta sempre sulle sue. Non parla e non sorride mai. Cioè non
sorride mai tranne quando si trova vicino a qualcuno che sta per morire. Come
la vecchia che osserva.
Vorrei
alzarmi in piedi e denunciarlo. Vorrei dire che in questo vagone della
metropolitana si nasconde un mostro. Magari un serial killer. Uno che forse ha
ucciso decine di persone. Non ne ho il coraggio. Non ho prove e nessuno
crederebbe a una storia tanto assurda. Non posso fare niente, ma nemmeno lui
può fare niente, perché non può certo uccidere l’anziana passeggera in pieno
orario di punta serale.
mercoledì 24 gennaio 2018
Ritorno a casa
Diversi anni fa, doveva essere
addirittura il 2006, volevo abbandonare il blog. Non mi ricordo perché, o forse
lo ricordo ma non lo voglio dire. Mi sembrava come abbandonare casa e andarmene
a vivere chissà dove perché il blog aveva rappresentato una parte importante
della mia vita. Poi mi venne in mente una scena dal romanzo di fantascienza che
preferivo da ragazzo, L’invasione degli
ultracorpi (in realtà si chiamava così il film tratto dalla storia, il
romanzo aveva un titolo molto più fiacco).
Dunque ci sono questi organismi alieni caduti sulla terra che cercano di conquistare il mondo sostituendosi agli uomini (riproducendoli
in ogni particolare). Ecco che gli alieni diventano poliziotti, dottori,
massaie, commercianti. A un tratto il protagonista del romanzo, il dottor Miles
Bennell, riesce a fuggire dalla cittadina californiana di Santa Mira con alcuni
compagni. La fuga è stata rocambolesca, rischiosa, gli ultracorpi hanno ormai
assunto il controllo di vaste zone di quel pezzo della California. A questo punto i fuggitivi, fuori pericolo
in un motel non infestato da alieni, si guardano e quasi senza parlare decidono
di tornare indietro. La loro vita è dove sono sempre vissuti, dove hanno
ricordi e affetti, e se c’è un pericolo da affrontare lo faranno. Ricordo le
parole che disse l’amico di Miles quando questi avanzò qualche cauto dubbio su quella
scelta: “Perché avevi forse pensato di farti crescere la barba, prendere un
altro nome e cominciare una nuova vita altrove?”.
Forse anch’io avevo pensato di ricominciare da qualche
parte nascondendomi sotto qualche specie di barba finta, ma poi ci ho ripensato.
Dunque si torna a casa, si torna al blog. Non so cosa scriverò o se riuscirò a
conservare la vena sbarazzina che avevo in alcuni dei miei post vecchi. Be’, se
ce l’avrò bene, altrimenti se ne farà a meno. L’importante è che si torna a
casa. Un sorriso a tutti quelli che si trovino a passare di qui, casualmente o
meno.
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