Alcuni giorni fa leggevo un romanzo e mi chiedevo per quale motivo al romanzo viene attribuita una dignità letteraria superiore al racconto. Un racconto è scattante, incisivo e soprattutto leale: ti dice quello che vuole dirti in uno spazio ristretto e soprattutto non ti imbroglia; leggendo l’incipit o poco più già sai tutto dell’argomento trattato e di come viene trattato, conosci il personaggio principale e capisci se ti è simpatico, e puoi decidere in tutta serenità se continuare a leggere o meno.
Il regno della prolissità. Un romanzo spesso è l’elogio della prolissità, della lungaggine, del di più. Non di rado ci mette almeno trenta pagine per farti arrivare al punto (e spesso non c’è alcun punto in cui arrivare). Colleziona pagine e pagine che sarebbero da cassare, descrizioni inutili, personaggi sovrabbondanti e lentezza, è incredibile l’inaudita lentezza che possono sprigionare certi romanzi.
Cicli di diecimila pagine. Poco tempo fa mi sono ritrovato in mano una delle più celebrate opere fantasy moderne. Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin, opera superacclamata dai fan e in testa alle classifiche di vendita di mezzo mondo. Il ciclo dovrebbe comporsi, nelle intenzioni del creatore, di nove libri, di cui ne sono usciti finora quattro, con una lunghezza media di circa un migliaio di pagine cadauno. Trattasi di romanzi fantasy che sembrano quasi storici, pochi draghi e magia e molti intrighi, violenza, incesti, e triccabballacche (termine napoletano qui usato per indicare di tutto e di più). Mondadori è stata criticata dagli estimatori di Martin per aver diviso i libri originali in due o anche tre volumi; eppure se uno divide mille per tre, ottiene tre ponderosi volumi. Uno si domanda: come si fa a riempire novemila pagine? Ho cominciato a leggere. Il libro non partiva male, ma a un certo punto mi sono trovato a implorare che succedesse qualcosa, che l’azione in cui era impegnato un personaggio si concludesse ora e non tra duecento pagine, e che mi fosse risparmiata la tortura dei milioni di parole che ti si riversano addosso come pentoloni di olio bollente rovesciati da castelli assediati.
Fantascienza oltre quota mille. Sbirciando in libreria, ho visto un libro con una splendida copertina spaziale con la terra in primo piano e la luna sullo sfondo, Limit di Franz Frank Schätzing. Lo prendo e lo sfoglio. La trama è interessante, ma conto circa mille e quattrocento pagine. Una parte di me, quella che ambisce a comprare macchine usate a prezzo di affare, è contenta: il prezzo per pagina di un simile librone è di sicuro conveniente. Poi però mi sono visto addosso tutta la noia, la lentezza che può accumularsi in un migliaio e mezzo di pagine e mi sono detto che una piccolissima parte di quella prolissità avrebbe ammazzato lettori molto più resistenti e capaci di me. Ho pensato agli agili volumetti di Urania e mi sono chiesto che razza di malattia si è presa la letteratura, non solo fantascientifica, per farti decuplicare il numero di pagine in qualche decennio. Vediamo ora in breve alcune delle pecche peggiori dei romanzi.
Personaggi (e punti di vista) non richiesti. Sei attratto dal personaggio di un romanzo; lo trovi simpatico e originale, ma dopo tre pagine scopri che il personaggio e il punto di vista originali e simpatici sono sostituiti da altri personaggi e punti di vista che proprio non puoi soffrire. Allora scorri le pagine e ti accorgi che il personaggio attraente torna sì, ma dopo cinquanta pagine. E ti domandi: è il caso di sciropparti cinquanta pagine di noia prima di tornare a ciò che veramente ti interessa?
La descrizione della cacca del protagonista. Altro scenario, la storia è interessante e parte bene, ma un certo punto l’autore del romanzo è preso dalla sindrome del dio sociologo, e quindi si sente in dovere di descrivere la vita del protagonista in tutti i suoi passaggi, le minuzie del suo lavoro, gli amici, i piatti che preferisce, i ricordi della ragazzina di cui era innamorato, tutte cose di cui non ti frega un emerito e che invece di arricchire un personaggio, così ti pare, lo annichiliscono.
La tendenza a professoreggiare, onnisentenziare. Abbiamo iniziato un romanzo storico. Diciamo che parla di Anna che si innamora di Marco al tempo del Medioevo. Già ci figuriamo Marco o chi per lui in groppa a un cavallo che brandisce la spada per liberare Anna da papponi, matrigne, draghi o solo dalla povertà. Ed in effetti accade pure qualcosa del genere, ma intervallato da decine e centinaia di pagine descrittive della vita nei mercati cittadini o nei manieri, a che ora ti svegli, come si costruisce un castello, come è organizzata la festa del santo patrono, come si tesse un indumento dell’epoca e a quale prezzo conviene venderlo al mercato. A un certo punto sei costretto a domandarti: perché diavolo mi appestano con queste lagne? Se volevo fare uno studio sulla vita quotidiana nel Medioevo, mi sarei comprato un saggio. In effetti in libreria hai visto un paio di mattoni firmati da accademici francesi che avevano l’aria di essere più movimentati del romanzo che hai in mano.
La malattia degli era, erano. Ovviamente a un tratto il romanzo medio ti obbliga a prenderti quella che un’autrice di manuali di scrittura creativa definiva “La malattia degli era, erano”: “Elena era una donna sola, terrorizzata dalla vita cittadina. I suoi vicini di casa al contrario erano…” La malattia degli era, erano fa parte della più vasta patologia del Raccontare (che di solito è molto peggio e più noioso del Mostrare). Raccontare è più o meno dire qualcosa che suona come “Elena odiava Michele e glielo faceva capire in ogni occasione”. Mostrare è invece scrivere qualcosa tipo “Elena strappò in pezzi minutissimi tutte le lettere scrittele da Michele, quindi si armò di un paio di forbici e prese a dilaniare il guardaroba del marito”. In un romanzo di mille pagine ovviamente la malattia degli era, erano prospera a più non posso con grave danno per la salute del lettore.
Centometrista contro marciatore. Alla fin fine perché un romanzo dovrebbe essere meglio di un racconto? La spiegazione che di solito si dà è che un romanzo si sviluppa su una distanza più lunga, per percorrere le quale ci vogliono più grandi capacità e qualità. Io mi domando: perché uno che percorre una prateria al ritmo di una tartaruga dovrebbe essere considerato migliore di un gioioso scattista che piroetta sui ruscelli o salta nel sottobosco di una foresta? Perché chi percorre una distanza lunga dovrebbe essere considerato superiore a chi brucia tutto in poche tumultuose ed emozionanti falcate? Nello sport non mi pare che accada così. I centometristi sono ammirati da tutti, mentre i marciatori sono appena tollerati. Io stesso potrei citare diversi scattisti, da Jesse Owens, l’uomo che fece ingoiare amaro Hitler alle olimpiadi di Berlino, a Carl Lewis, Ben Johnson, Borzov o Bolt, senza scordare i nostri Mennea o Berruti. Mentre come marciatore mi viene in mente solo il nome di Abdon Pamich, e solo perché era italiano e aveva un nome quasi salgariano.
nel romanzo è bellissimo l'assommarsi di variabili di tirarla fino a creare suspance. Adoro il saper da parte dello scrittore destreggiarsi per non far stancare il lettore e estasiarlo e portarlo ad istraniarsi dal suo mondo reale.
RispondiEliminaBuona Pasqua, un giorno di pace per te e coloro che hai nei più dolci sentimenti.
Ma chi te lo fa fare a... dicotomizzare? dualizzare? biviare? bifidare? diplopizzare? - la realtà? e poi far litigare le due parti? Tu, hai scritto un romanzo o un racconto, con questo post? E che, per il fatto che è breve, pensi di stare al sicuro? Una frase, una sola frase, può avere le caratteristiche che tu attribuisci al romanzo. Ci sono persone che possono parlare per ore, e tu stai lì vivo e pure contento. Ci sono persone che dicono tre parole e ti hanno già stancato. Sì, va bene, chiudo.
RispondiEliminaAnzi, no: prima ti romanzeggio un aneddoto.
Alcuni preti di non ricordo quale chiesa vanno da uno psicoanalista noto nel suo campo - si chiamava Winnicott - e gli chiedono: dato che a noi si rivolgono tanti che non stanno gran che bene di testa, quand'è che possiamo aiutarli noi, e quand'è che dovremmo mandarli da uno specialista come lei? e lui risponde: se quello che vi dicono vi interessa, vi prende, vi appassiona, potete aiutarli voi - se vi annoiano, mandateli dallo specialista.
Ciao Andrea, ammiro anch'io lo scrittore che sa destreggiarsi senza far stancare il lettore, e vorrei incontrarlo più spesso. Ricambio il saluto per te e per le persone che ami, spero in una buona Pasqua mangiando il casatiello napoletano (spero che questa riflessione non mi faccia perdere credito letterario :-))
RispondiEliminaVedo che mentre rispondevo all'ottimo andreapac mi ha commentato rom e credo che sia il suo esordio su questo blog. Naturalmente nessuno è immune da lungaggini, ma prendo il suo intervento come un complimento perché credo che il mio post l'abbia appassionato abbastanza da non mandarmi da uno specialista.
RispondiEliminaLeggo però dalle sue note che rom è lui stesso uno specialista, uno psicoterapeuta, ma ritengo che il suo intervento sia stato fatto per così dire in borghese. Un sorriso.
sallybrown dixit: mio dio! che è successo al tuo blog?
RispondiEliminaSuperata l'iniziale (parziale) sconvoltura però...lo trovo...appagante...elegante...Pensa, prprio questi giorni ho iniziato a leggere un volume di Carlo Lucarelli che inizia con questa premessa: ci sono scrittori che nascono per scrivere racconti e scrittori che nascono per scrivere romanzi. Non è che uno lo sceglie...è una questione di predisposizione. Poi qualchevolta può succedere che uno che è bravo a scrivere racconti, una volta si trova a scrivere un romanzo e viceversa. E' un fatto di ritmi, che a volte richiedono la struttura del romanzo. Il problema secondo me nasce quando vuoi "allungare" una storia breve e farla diventare un romanzo. Di gente che non fa annoiare ne conosco, uno è Citati, che non è propriamente un romanziere ma riesce a romanzare tutto. Un altro è Milorad Pavic. E' verissimo che più che descrivere devi saper mostrare e la dimostrazione è che quando leggo un bel romanzo vedo le scene come in un film. Ultimamente poi ho scoperto Raffaele Nigro...forse te ne avevo già parlato: Santa Maria delle Battaglie, romanzo storico che parla del nostro sud, meraviglioso. ole by sally/.)
Ciao, Sally, il mio blog credo che lo terrò in prova in questa veste per qualche tempo, poi si vedrà.
RispondiEliminaSui romanzi penso una cosa che è poi la stessa cosa dei film: non vorrei mai provare la sensazione di saltare una parte mentre sto leggendo. Quando provo quella sensazione penso che il romanzo è morto. Anche quando uso il tasto di avanzamento veloce in un film giungo alla stessa conclusione: il film è morto. Purtroppo mi capita spesso nei romanzi di desiderare di voler saltare delle parti consistenti. Ho visto la trama del romanzo che citi di Nigro e sembra interessante, magari se mi capita tra le mani gli do un'occhiata.
Di Citati non ho letto molto, ma mi è piaciuta molto una sua recente dichiarazione riportata dal Corriere della sera: sarebbe meglio non leggere niente, piuttosto che leggere Dan Brown, Coelho o Faletti.
Non sono molto d'accordo con Lucarelli; ci sono scrittori che sanno scrivere (pochi) e altri che non lo sanno fare (molti). A volte alcuni di questi ultimi riescono anche ad imparare (pochissimi)e a diventare bravi. Chi sa scrivere riesce a coinvolgere emotivamente il lettore, a prescindere dalla maggiore o minore lunghezza del testo, e quasi lo costringe a continuare a leggere fino alla fine. Mi è capitato diverse volte, non ultima quella in cui ho passato quasi un'intera notte a leggere "Napulammore", l'ultimo libro di Francesco. Ricordo di aver letto bellissimi racconti brevi di Asimov, così come mi hanno appassionato i suoi romanzi (lunghissimi) sulla Fondazione. Anche se, nell'ultimo della serie, si percepiva una certa stanchezza; un po' meno valido dei precedenti ma ancora di discreta fattura. Mi ha annoiato spaventosamente "Guerra e Pace" (lo so che per qualcuno sto bestemmiando) in edizione integrale con le sue noiosissime elucubrazioni su eventi storici e sulla figura di Napoleone. Non sono mai riuscito a leggere più di venti o trenta pagine dell'"Ulisse" di J.Joice, giudicato dai critici il suo capolavoro, mentre mi hanno interessato i suoi racconti "Dupliners". Quanto a Faletti, so che molti lo snobbano, tuttavia ho letto un paio dei suoi libri e mi sono piaciuti.
RispondiEliminaSergio carissimo, grazie per il tuo interessante commento. Naturalmente questo post è scritto unicamente dal punto di vista di lettore, quale essenzialmente io mi ritengo anche se ho scritto romanzi e anche racconti. Vediamo ora alle tue osservazioni. Raramente di recente trovo romanzi che mi prendono, e anche in quelli che mi prendono c'è qualche parte, qualche personaggio, qualche risvolto di trama che proprio non mi va giù (ha fatto eccezione in tempi vicini soltanto un autore di romanzi storici di cui ora mi sfugge il nome con un formidabile romanzo di cui almeno metà era dedicato a una battaglia. (credo quella di Crecy al tempo della guerra dei Cent'anni tra Francia e Inghilterra). Veramente godevo della descrizione della battaglia e speravo che non finisse mai.
RispondiEliminaSpesso mi paiono più interessanti i saggi; ho da poco finito di leggere un saggio divulgativo scientifico, anche piuttosto voluminoso, intitolato "Breve storia di (quasi) tutto" e l'ho trovato delizioso, non tanto per i contenuti quanto per la piacevolezza di lettura, per quello di romanzesco che c'era nel libro.
Su Asimov sono con te: ottimo da ragazzo e da giovane, il ciclo della Fondazione e quello dei robot. Pesante e addirittura noioso da maturo, deludenti i romanzi sulla Fondazione che scrisse in un secondo tempo (aveva perso la voglia di avventura e di sorprendere e sociologizzava o cercava di dare prova della sua enorme cultura). La vicenda di Asimov probabilmente riflette un certo cammino della letteratura quando si prende troppo sul serio e vuole uscire dal campo di raccontare una storia.
Joyce non l'ho letto. Lessi Guerra e pace circa un quarto di secolo fa e non so perché mi piacque. Forse ne avevo sentito parlare così male, lo descrivevano come una lettura pesantissima, che ero sorpreso e anche anche orgoglioso di leggerlo, come se facessi un'impresa. In effetti hai ragione, Tolstoj nel romanzo fa una cosa che non si dovrebbe mai fare: interrompeva la narrazione e la sostituiva con decine di pagine di sue opinioni militar storiche sulle guerre napoleoniche. Non so perché, ma quelle opinioni non mi davano fastidio, anche se erano un'assurdità narrativa. Magari se rileggessi oggi Guerra e Pace non mi piacerebbe ancora, chissà.
Ti auguro una Santa Pasqua felice e serena.ciao.giampaolo
RispondiEliminaCASSANDRO
RispondiEliminaPer me tutto fa brodo. “Leggere sempre e comunque” è il principio da cui non mi distacco.
Un autore, prolisso o conciso che sia, mette sempre l’anima nel suo scritto, romanzo o racconto che sia: sta a me trovare una parte interessante (c’è quasi sempre) e, trovatala, godermela tutta pur pagando il prezzo costituito dall’avere dovuto leggere più pagine indigeribili. Se il testo proprio non mi va non me la prendo con l’autore ma con chi me lo ha consigliato.
Per quanto mi riguarda -- non ti meravigliare, cap! -- quando leggo un libro molto interessante in via continuativa (catturato cioè dallo stile di scrittura e dal contenuto), spesso arrivo ad un punto in cui sono saturo di godimento, per cui . . . come dire? . . . “mi accontento”, al punto che spesso smetto di proseguire nella lettura per fissare bene in mente quel concetto tanto importante e ben esposto che mi ha tanto soddisfatto. Riconosco di non essere un esempio da imitare!
Solo per fare un esempio, parlo a mio danno, io non sono riuscito ad andare oltre pag. 40 circa de “Le memorie di Adriano”, quando cioè il protagonista tratta dell’angoscia in lui nata dal sapere con grande precisione la data in cui il male lo vincerà, per cui è costretto a continuare a vivere con quella sconvolgente conoscenza.
CASSANDRO
RispondiEliminaCASSANDRO
Lo stesso mi succede con i film (ad esempio la visione di “Ladri di biciclette” lo interrompo dopo la scena del padre e del figlio che si allontanano tenendosi per mano, quasi piangendo, dalla folla che avrebbe voluto linciare quel padre . . . “che bell’esempio che dài a tuo figlio!” . . ., il quale al colmo della disperazione aveva tentato inutilmente di rubare una bicicletta) , e pure con la musica (ad esempio, ascoltando il “Requiem” di Mozart, mi blocco dopo le prime otto battute della “Lacrimosa”, che si dice siano le ultime autografe di Mozart prima di morire), e pure – che tipo strano che sono, vero? – con le visite ai Musei (ad esempio: agli Uffizi, dopo avere raggiunto la sala dove è esposta la Venere di Urbino di Tiziano, ed averla ammirata a lungo, non vengo più attratto da alcunchè).
Comunque è difficile non essere d’accordo con te, cap, circa il tuo modo di giudicare i vari tipi di letteratura, per cui passo, tanto per sorridere (se ci riesco) ad un argomento un poco più fatuo, che forse ti scandalizzerà, e cioè che leggere molto, e quindi regalare poi il libro conosciuto e di effetto (oppure rendere noto al momento opportuno queste letture od offrirsi di commentarle), è oggidì una magnifica ed invincibile arma di seduzione.
Non ci credi? Provare per credere. Dopo tanta lettura bisogna pur tirarla un po’ di acqua al proprio mulino!
HO SMESSO IO DI . . .
Sono gli ultimi anni . . . che mi frega
di fare ancor la corte alle signore.
Chi vuole Dio, beh . . . e se lo prega!
Ho smesso io di . . . "a questa un fiore"
. . . "a questa invece i marron glaces"
. . . "un libro a questa qui, che a quanto pare
sa di latino e greco" (ancor ce n'è
qualcuna!) . . . Sono io ad aspettare
or dalle donne un quid in quanto hanno
. . . ah, se ne hanno! . . . un bisogno intenso
di non sentire più quelli che sanno
tutto di Totti e Alonso, ed il senso
trascurano del bello e del colto
. . . .che invece io mi sento di donare
a piene mani a quelle da cui molto
ora pretendo se vogliono stare
con me e far sì che con le mie idee
annaffi in lungo e in largo il lor giardino
e aiuti a costruire le trincee
contro il banale, l'ovvio . . . il bovino.
Snobistico e forse boccaccesco
è ciò . . . Ma cosa far se ci riesco?
. . . se talune vogliono restare
a tu per tu con me per conversare?
. . . se sembrano felici insieme a me
che offro Eco, Verga e no Pelè?
. . . se stanno appiccicate a me con gioia
che illustro Ingres, Raffaello e Goya?
. . . se vengo preferito al fusto e al bullo
perchè a loro recito Catullo
e invece di parlare di Morandi
di Ovidio tratto e dell'"Ars amandi"?
. . . la quale pure in pratica mettiamo
quando di conversare ci stanchiamo.
E ciò càpita spesso e volentieri
. . . per poi ricominciar dall'Alighieri.
(Cassandro)
6 aprile 2012, ore 18,45 (Buona Pasqua)
Se non frequentassi le librerie sarei una donna piu' ricca ma anche tanto tanto povera. Leggo e leggo tutto, nello stesso modo in cui ascolto tutti e osservo tutto. Non c'è nulla che possa farmi sbadigliare perchè desidero sempre imaparare e capire sopra ogni altra cosa. E come Cassandro ho spesso usato il libro come arma di seduzione e di "acchiappo". Lo feci anche con te ora che mi ci fai pensare.Viaggio in Sardegna di Lawrence. Naturalmente non lo leggesti mai:)
RispondiEliminaAuguri a tutti gli amici del blog. Oggi giornata nuvolosa, Cielo coperto con possibilità e anzi probabilità di precipitazioni, anche intense. Temperatura in calo e luminosità, al momento in cui scrivo, ridotta al lumicino. Tuoni isolati si alternano a botti di petardi tipici dello scenario napoletano. Non si ode ancora il suono della processione della Madonna dell'Arco, ma forse quella è prevista domani.
RispondiEliminaDopo questo excursus meteofolcloristico, saluto Cassandro e Cleide. il verso di Cassandro che faceva all'incirca "vengo preferito al fusto e al bullo perché a loro recito Catullo" mi ha fatto ricordare Renzo il figlio di Bossi, personaggio di cui si parla molto sui giornali. il cosiddetto Trota mi pare uno che non aveva bisogno di recitare Catullo per conquistare una donna: gli bastava portarla in una delle principesche ville che usava come fossero sue e usare qualche Porsche comprata con i soldi dei rimborsi elettorali della Lega.
Con la faccia e l'intelligenza che si ritrova, stento a credere che il trota possa veramente conquistare. Temo che siamo solo a livello di meretricio di cosiddetto alto bordo. Che squallore tutta quella vicenda, tra diplomi e lauree acquistate, e "passionarie" volgari e ignoranti che fanno le funzioni di vicepresidente del Senato (ma abbiamo ancora un Senato) con faccia truce e urla belluine! Che abominevole tremendo squallore! Bellissime le parole di Cassandro! Quasi quasi mi dispiace di averlo fatto morire, anche se da prode e valoroso vecchio guerriero, dopo aver fatta una strage di mamertini e di romani! E' vero Cassandro! Hai ragione, io, almeno, ci ho talmente messo l'anima nel mio libro che confesso di essermi commosso scrivendolo (mi auguro non sia solo stata emotività dovuta alla vecchiaia). Oggi a Napoli piove e benchè sia Pasqua è come se una cappa di piombo incombesse sulla nostra città e sul nostro povero sventurato Paese. La passerò da solo questa Pasqua, con mia moglie, in un piccolo ristorantino economico. Mio figlio e la sua famiglia sono stati infestati da un'influenza gastrica e non potremo andare da loro. Anche a Roma, da mio fratello, non andrò, perchè non me la sento di mettermi a viaggiare. Non sarà una grande Pasqua. Tuttaltro. Spero che la tua, Francesco, Cassandro, Cleide e tutti gli altri amici che bazzicano questo post ne passino una migliore. Scusatemi lo sfogo e... auguri a tutti. Francesco, il casatiello è pesante, con o senza uovo intero non abusarne, io preferisco la pastiera.
RispondiEliminaCarissimo Sergio, su Bossi figlio tristezza estrema. Dicono tra l'altro che stesse comprandosi una laurea in Inghilterra per 130 mila euro (ovviamente con soldi non suoi, ma del popolo italiano). E' stato davvero sfortunato, questo ragazzo: con un pizzico di fortuna in più avrebbe comprato la laurea, come fanno in tantissimi, non solo nel suo partito, avrebbe preso il posto del padre, come fanno in tantissimi non solo nel suo partito, sarebbe stato intervistato dovunque come un dio pur essendo il dio soltanto dell'ignoranza, come succede a tantissimi non solo nel suo partito, avrebbe avuto un posto al sole pur essendo un prodotto di scarto del supermercato, di quelli con la data scaduta da diversi anni, come accade a molti personaggi con la data scaduta che, c'è da dirlo, prosperano non solo nel suo partito.
RispondiEliminaDopo ti rispondo sulla seconda parte del tuo commento sulla Pasqua uggiosa di quest'anno.
Eccoci a Napoli e al tempo, sergio. Ieri pioggia, oggi freddo, ma con sole. Stamattina mi sono affacciato e quasi non credevo ai miei occhi: il Vesuvio era pieno di neve.
RispondiEliminaMi spiace sentire questa tua nota di malinconia riguardo alla Pasqua, ma sono certo che presto ti tornerà il buonumore e soprattutto non cercherai più di uccidere Cassandro, che è una delle colonen di questo blog :-)
Cassandro è morto in età avanzata, da prode e valoroso guerriero, dopo aver fatto strage di legionari romani e di soldatacci mamertini. Non preoccuparti però, il suo spirito arguto e la sua penna poetica (che a volte ferisce più della spada) sopravvivono e continueranno a essere una delle colonne del tuo blog! :-)
RispondiEliminaQuanto agli innumerevoli personaggi scaduti, cui accenni nel tuo commento, spero che la Giustizia li tratti come Cassandro coi mamertini...
CASSANDRO
RispondiEliminaMa tu, caro Sergio, non ti dispiacere troppo in quanto non “hai fatto morire nessun Cassandro”: infatti, almeno quello che conosco io, ha elaborato un proprio antidoto (non so quanto apprezzato) per cui nessuno riesce (speriamo!) ad ucciderlo, nonostante i vari tentativi che si sono susseguiti fino ad ora.
Comunque, “Grazie”, cap, per avere almeno tu preso le mie difese, anche se penso che da buon romanziere già immaginavi che una via d’uscita, pure per adeguata ed ammirevole collaborazione, io prima o poi, o di dritta o di manca, l’avrei trovata.
MI HANNO UCCISO
Mi hanno ucciso tante volte ed io
son sempre, sempre . . . eh, sì . . . risuscitato,
perché un’amica ho sempre trovato
che come ha voluto il buon Dio
a vita nova mi ha riportato.
Ed ogni volta è stato sempre meglio
ed ho con lei goduto sempre più,
stando sempre a tiro, sempre sveglio,
in mezzo alla folla e a tu per tu.
E che? . . . Che mi dovevo buttar giù?
Per cui quando mi uccidono lo so
che è un fatto temporale e
lascio fare . . . e aspetto: dopo un po’
di certo arriverà l’amica che
ben mi farà ricominciare, olè!
Qualora non si fosse ancor capìto,
tenterò di essere più chiaro:
parlo per metafora chè riuscito
io sono in tutto ciò . . . e mica baro . . .
nel campo dell’amore non sbiadito.
Sono le donne che mi hanno ucciso!
E sono sempre loro a fare in modo
che prima o poi chiodo scacci chiodo.
Muoio al cessare di un bel sorriso
ma appena un altro arriva riesplodo!
Sembra una fesseria questa qua,
ma io così . . . ho l’immortalità,
e ciò mi rende al massimo felice.
Che fossi io l’Araba Fenice?
(Cassandro)
11 aprile 2012 ore 11,50
Cari Cassandro e Sergio, lunga vita a tutti e due continuando a verseggiare e narrare come sapete. Facciamo una petizione alle donne perché ci facciano continuare a vivere con i loro sorrisi. Ma è già quasi tempo del prossimo post, a presto a tutti e due e anche a Cleide, il cui parere sono curioso di sentire.
RispondiElimina