sabato 28 febbraio 2015

Peggy e Pedro nell’Estate dell’Amore

H1«Peggy, ma tu dovevi essere morta! Non puoi essere qui con me».

«In effetti hai ragione, Pedro. Mi sono buttata da un ponte di Roma nel 2012. Avevamo litigato. Eri ubriaco e lo ero anch’io. Mi hai detto parole dure e quella volta sentivo che non potevo sopportarle. Scusami, amore mio, ti ho fatto soffrire molto, lo so, con la mia morte».

«Non devi scusarti, è colpa mia. Sono stato devastato quando ho visto il tuo corpo senza vita. Ho capito che senza di te non avevo più ragione di vivere. E chi se ne fotte se una frase così può apparire retorica».

Pedro ricordava tutto. Lui e Peggy facevano i punkabestia a Roma. Giravano sbrindellati per la Città Eterna e dormivano sotto i ponti, accompagnati spesso da un branco di cani che se le passavano male come loro. Vivevano di espedienti. Piccolo artigianato, spettacoli di strada; quando non c’era di meglio, accattonaggio. Alcol e vita libera. Oggi qui e domani là. Non ricordava come si erano conosciuti e men che meno come erano finiti a Roma. Ricordava che lui non si chiamava davvero Pedro, era il nome che si era scelto per i suoi vagabondaggi. Così come Peggy non si chiamava davvero Peggy. Che altro? Beh, Peggy era tedesca e lui nativo della repubblica Ceca. Ah, c’era il fatto che Peggy era morta, irrimediabilmente, tre anni prima.

Si era buttata da un ponte sul Tevere, a Pedro pareva che si chiamasse ponte Garibaldi, dopo un litigio con lui. Era morta sfracellata. Pedro sentiva ancora lo strazio inaudito provato quando si era accorto che la sua compagna non ci sarebbe stata più. Aveva visto con chiarezza assoluta che anche la sua vita era finita. Si era buttato dallo stesso ponte il giorno dopo. Però non riusciva a ricordare se era morto. Lo avevano portato all’ospedale, quindi non poteva essere morto sul colpo. Però era conciato molto male. Non era poi una cosa tanto importante: avrebbe ricordato dopo se era vivo o morto.

Dopo il suo volo, così gli avevano raccontato, si era fiondata sul luogo della doppia tragedia una giornalista del tiggì Cinque. Bella, ben vestita, la chiacchiera pronta e facile. Una con un nome avventuroso come loro due, qualcosa che suonava come Conchita, solo quello era il vero nome della giornalista. Conchita la giornalista dalla chiacchiera pronta aveva imbastito un bel servizietto romantico sulla storia di Peggy e Pedro suicidi per amore. La gente aveva sentito la storia all’ora di pranzo, mentre faceva fuori un piatto di pappardelle al sugo. A qualcuno forse era scappata pure una lacrimuccia.

Pedro strinse Peggy a se. Peggy era morbida, reale, aveva lo stesso viso segnato di quando loro due si amavano. Quant’era bella, nonostante le rughe e gli occhi sofferenti. “Ti amo” le disse mentre la stringeva.

Peggy rise e lo baciò. “Non dovrei essere qui” disse guardandosi un braccio e toccandolo come se non potesse essere vero. Ma forse ciò che voleva dire davvero era: “Non dovrei essere viva”.

Ancora risate. Quello non era l’aldilà, ma il mondo vero, Pedro ne era certo. Ma come era possibile? Che importava? Le spiegazioni le avrebbero trovate dopo. Erano concreti, reali, e anche il mondo intorno a loro lo era. “Non pensavo che avrei potuto più abbracciarti”. Peggy parlava ancora con l’accento tedesco che la tradiva quando era emozionata.

continua…

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