La più grande idea della sua vita gli venne mentre defecava su un basso promontorio da cui si poteva ammirare la sconfinata pianura preistorica che era la sua casa. Era un’idea così inaudita da lasciarlo senza fiato e da fargli svuotare in un solo colpo tutta la consistente e vischiosa massa di feci che aveva in corpo. In realtà lui non stava solo svuotandosi lo stomaco, ma nello stesso tempo grugniva e dilaniava una pezzo sanguinolento di carne di cervo male arrostito, sputando duri tendini e scaglie d’osso sul manto d’erba giallastra su cui si era accovacciato. Grugniva per aiutare la fuoriuscita di escrementi e mangiava perché quel giorno il suo clan era stato fortunato nella caccia, avendo ucciso un giovane cervo rimasto intrappolato in un intrico di rovi. Ormai non aveva più fame, ma per esperienza sapeva che quando si beneficiava di una fortuna insperata come quella bisognava rimpinzarsi ben oltre la sazietà, perché nessuno ti può rubare quello che hai nello stomaco, mentre iene, leoni o il capriccio delle entità che dominano il fuoco, il vento e le cose del mondo possono farlo.
La fulminante e ancora confusa idea lo spinse a balzare in piedi, scordandosi di pulirsi le terga con la larga foglia palmata che aveva con sé. Poi fece una cosa ancora più strana sputò un pezzo di carne ormai quasi del tutto masticato e se ne restò a fissare l’orizzonte lontano con gli occhietti annidati sotto la sporgente fronte primitiva. Gli parve di cogliere ogni singolo particolare del paesaggio che aveva davanti. Le ombre minacciose che si muovevano ai margini della foresta ombrosa sul lato della mano forte, le mandrie di bufali che si abbeveravano con cautela al lago e perfino i sinistri occhi gialli che, c’era da giurarlo, spiavano le prede al riparo dell’erba alta in cerca dell’occasione propizia per attaccare. E poi il cielo, pulito, immenso, giovane. Il cielo senza fine da cui gli dei sorvegliavano il mondo. Rabbrividì stringendo a sé la mazza con la lama di ossidiana, anche se non c’erano in vista né le iene, ne le terribili tigri con i denti lunghi come lance. I mosconi del crepuscolo si addensarono intorno ai suoi crespi e unti capelli come per ostacolare l’ispirazione del momento. Gli giungeva appena un’eco del festino che stava attuando il suo clan con quanto rimaneva delle carni del cervo.
Guardava il giovane ed esuberante cielo che lo sovrastava quando capì. Capì che lui non era solo un debole e inadeguato individuo intento unicamente a mangiare e a defecare. Non era un sé diverso, ma parte del tutto. Parte del cielo, dell’orizzonte, della foresta, del lago, di ogni animale che vedeva o che poteva immaginare. Di un macrocosmo di cui percepiva meno di un granello di sabbia. Lui era parte della bellezza che gli presentava davanti agli occhi. Se avesse avuto il concetto dell’universo avrebbe concluso che, facendo parte dell’universo come avvertiva in quel momento, lui stesso era l’universo. Lui era l’universo che pensava. Lui era l’universo che si alzava e contemplava se stesso. Lui era un puro e semplice portento della vita. Più incredibile del fulmine che annienta l’albero e provoca il miracolo del fuoco, più del vento che sferza la terra e le acque, più delle delle lacrime del cielo o della terra che trema e cerca di inghiottirti per nutrire la sua rabbia. Per la prima e forse per la sola volta nella sua vita gli si presentò in testa il concetto di immensità, nitido e perfettamente comprensibile. Un pensiero profondo con cui gli parve di capire tutto il creato, sia le pochissime cose di cui aveva una percezione appena animalesca che l’immensità che non conosceva e che mai avrebbe conosciuto, ma che pure in quell’attimo ispirato intuiva con precisione estrema.
Corse dal resto del clan intento ad assaltare gli ultimi brandelli della carcassa di cervo in mezzo a un odore di carne arrostita che ormai si diradava come gli ultimi raggi del sole morente. Tentò di comunicare, prima ai suoi più stretti compagni di caccia e poi ai rari anziani, la straordinaria esperienza emotiva avuta, aiutandosi con i gesti e le poche parole che conosceva. Ma dovunque incrociava solo volti ottusi nei quali non brillava la minima scintilla di comprensione. Uno dei suoi compagni lo spostò in malo modo. Un altro strinse contro il ventre gonfio all’inverosimile un pezzo di carne bruciacchiato come per difenderlo da un tentativo di furto. L’unica vecchia sopravvissuta della tribù si limitò a scrollare la testa scarnificata, ingioiando il boccone di carne che la figlia aveva precedentemente masticato prima di infilarlo nella sua bocca sdendata. Lui allora tentò con la sua compagna. Lei lo avrebbe capito. Era pronta e intelligente e molto più brava di lui con le parole. La sua donna snocciolava parole più lunghe e articolate delle sue, le sapeva unire in modi più fantasiosi ed efficaci. Aveva un dono con la lingua e la gola. A volte l’aveva scoperta a usare suoni gutturali mai sentiti che illustravano oggetti o significati nuovi. Eppure l’unico risultato che ottennero i suoi tentativi di comunicazione furono una carezza e un esame della sua capigliatura per diradarla dalla molteplice popolazione di animaletti che la infestavano. Nemmeno lei capiva. Ma non era colpa sua. Erano la sua bocca e la sua lingua a dimostrarsi penosamente inadatte a trasferire un pensiero rivoluzionario come quello che lo aveva colto. Forse solo gli dei che cavalcavano il tuono o sfrecciavano nella saetta avrebbero potuto rappresentarlo. E forse solo altri dei, quelli insediati sulle remote cime perennemente canute o nella bianca sfera notturna, avrebbero potuto intenderlo. Forse l’idea che lo aveva colto era destinata a uno dei tanti esseri sovrannaturali del mondo e solo per un errore lo aveva intercettato la sua mente inadeguata. Aveva rubato un pensiero che apparteneva a un dio.
Una risata generale lo scosse dai suoi pensieri. Uno dei suoi compagni arricciò il naso camuso per segnalare il cattivo odore nell’aria e contemporaneamente la vecchia sdentata indicò il suo didietro per mostrare l’origine della puzza. Si ricordò solo ora che negli ultimi vorticosi avvenimenti si era scordato di pulirsi il didietro. Si unì pure lui alle risate generali e corse al vicino ruscello per rimediare all’errore. Notò che qualcuno dei suoi compagni si toccava la testa nel gesto con cui si indicavano gli individui a cui gli dei avevano tolto il dono della serenità di spirito. No, lui non era uno squilibrato. Aveva solo intercettato chissà come un pensiero straordinario che non poteva essere rappresentato e trasmesso con il primitivo linguaggio concesso a lui e alla sua tribù. Però se le parole erano inadeguate, si disse quando era già intento a lavarsi al ruscello scortato da alcuni suoi compagni ghignanti, forse si poteva rappresentare in altro modo quel concetto rubato agli dei. Forse poteva raffigurarlo sulle pareti di una caverna. Sapeva come usare alcuni colori come l’ocra rossa e il guano nero di pipistrello, o anche come il grasso di animale mischiato al sangue o all’essenza di certe erbe particolari.
Non sapeva se sarebbe mai riuscito a rendere un pensiero tanto alto. Ma di certo doveva tentarci perché sul promontorio aveva avuto la rivelazione che lui era un essere speciale che non doveva accontentarsi di mangiare e seminare escrementi. Lui era molto più di questo. Forse tra molti, molti anni qualcuno con la mente molto più sveglia della sua avrebbe capito il suo messaggio vedendo le sue pitture sulla roccia. E avrebbe colto la scintilla di divinità che sentiva di aver trafugato. Uscì dal ruscello e sorrise agli amici: chissà se era rimasto qualche altro pezzo di cervo con cui rimpinzarsi, perché l’unica cosa sicura era che il cibo che restava nel tuo corpo nessuno poteva portartelo via. A meno di non portarti via pure la vita.
Duro, brutale e poetico al tempo stesso... solo tu riesci a creare queste armonie.
RispondiEliminaCiao, enrica, mi fa piacere come al solito accoglierti sul mio blog. Penso che la vita sia complicata, poesia e prosaicità si intrecciano in tutti gli aspetti della vita e probabilmente la prima non sarebbe possibile senza la forza trascinatrice della seconda. Un vero sorriso a te e buona domenica.
RispondiEliminagiuro che mi sono commossa!
RispondiEliminae farò un commento adeguato più in là.....
Difficile commentare questo racconto, è come un quadro d'autore: genera sensazioni. Perfetto il commento di Enrica, lo condivido.
RispondiEliminaSai, al di là del tuo particolare stile narrativo, questo racconto mi somiglia. Anche io delle volte penso che ci siano delle sensazioni che non si possono esprimere con le parole. E anche io penso che delle volte l'intuizione può andare oltre le tue conoscenze. Forse anche un uomo primitivo particolarmente ispirato può avere una conoscenza del mondo migliore della nostra. .))
RispondiEliminaFiore, e io mi sono commosso per la tua commozione :-) Attendo con calma quanto vorrai dire più in là.
RispondiEliminasergio, Enrica è troppo buona con me, ma la ringrazio perché è una vera amica.
Cleide, in realtà, come tu sai sono affascinato da una certa ambientazione primitiva. Sai pure che ho scritto un vero e proprio racconto cartaceo situato in tempi remoti. Parlava di amore nella maniera ruvida e (si spera) epica di questo post ed era ispirato all'antica canzone del Banco del Mutuo Soccorso "750 mila anni fa l'amore". In realtà in titolo della canzone finisce con un punto interrogativo, ma io evito accuratamente di metterlo quando la cito.
Il brano del Banco (gruppo rock che rivaleggiava con la PFM negli anni 70, come alcuni ricorderanno) era incluso nell'album "Darwin!" (ecco un altro punto esclamativo superfluo) che parlava appunto di evoluzione. C'erano brani intitolati "La danza dei grandi rettili" (atmosfere jazz), "la conquista della posizione eretta" (rock progressive) oltre al brano già citato (che potremmo definire romantic rock).
Ci sono cose che non ti scordi e quell'album mi è rimasto impresso, anche se non ho mai tentato di riascoltarlo, esclusa la canzone sull'amore di quasi un milione di anni fa, che aveva un attacco che faceva così: " Già l'acqua inghiotte il sole / ti danza il seno mentre corri a valle / con il tuo branco ai pozzi / le labbra secche vieni a dissetare".
Dopo anni che ti leggo non dovrei più sorprendermi delle tue capacità di stupire quando scrivi...
RispondiEliminauna scintilla meglio ancora che quella del fuoco,per scoprire l'universo che è fuori e dentro di noi,una scintilla per farci sentire diversi e speciali,unici minuscoli granelli difronte all'immensità del cielo.
Si,basta un attimo,basta proprio una scintilla,una scossa,una percezione anche minima per ribaltare il senso che si da a noi stessi,alla vita!
Grande Capitano,complimentissimi e grazie per le belle sensazioni che riesci a trasmetterci:)
Elle carissima, che la scintilla che ci fa scoprire o meglio intuire l'universo serva pure ad alimentare la nostra amicizia pluriennale. :-)
RispondiEliminaCos'è l'uomo? Be' l'uomo è un puro e semplice animale. Ha il corpo di animale, le necessità di un animale, gli impulsi di animale, le abitudini di animale. Eppure ha anche qualcosa di più. Una scintilla. Una scintilla che a volte sembra rubata agli dei.
Una splendida giornata a te. Qui la giornata è già splendida, dato che c'è un sole caldo e passionale.
CASSANDRO
RispondiEliminaE’stato piacevole ed interessante, cap, incontrare questo tuo ominide, degno del migliore Kubrick, che rapisce, novello Prometeo, una frammento di luce agli dei e . . . “Ecco un uomo”: egli finalmente “pensa”.
Mille spanne certamente più in alto del dantesco, e vendicativo, ser Branca d’Oria, che “mangia e bee e dorme e veste panni”, dell’uomo-bestia, insomma, che tutt’oggi non è scomparso, anzi . . . . . .
Complimenti, cap, ne hai fatto un personaggio che ognuno di noi sarebbe orgoglioso di considerare come proprio avo.
Ne è passato del tempo da allora! . . . e di sicuro stiamo molto meglio di lui e della sua tribù, anche se ancora mangiamo, non per necessità ma per diletto, carne di cervo in qualche ristorante particolare, pagandola a prezzi da amatore.
Però ancora, pure se conosciamo grazie a lui in senso dell’immensità e dell’universalità immanenti, non abbiamo purtroppo risposto alle domande universali che, appunto ab immemorabili, ci tormentano.
Infatti, pure se ora tanto sappiamo, pure se abbiamo indagato (e continuiamo ad indagare, soldi per la ricerca permettendo) su gran parte della Natura che ci circonda, e della quale siamo parte integrante come ben capisce improvvisamente il tuo “buon selvaggio”, alla fine di ogni considerazione, al termine di ogni elucubrazione, risorge in noi, insaziabili divoratori dell’essere come i nostri padri greci, l’eterna domanda . . . . . . . . .
M A P O I ?
Sapessi tu come mi incazzo io
che tra un po’ dovrò andare via,
e senza aver saputo chi è Dio,
se l’Universo c’è, o è follia
pensar che ce ne sia uno solo!
Sì, so che il cavallo ha la coda,
vanno nel cielo gli uccelli in volo,
nuotano i pesci in mare, che il nodo
se non lo sai sciogliere lo spezzi
e che “tua mors vita mea” è,
ma poi? . . . che pure te ne vai coi pezzi,
che al nascere avevi . . . E resta in te
sconforto in quanto che non hai risolto
nessuno dei problemi interessanti:
tu della vita hai soltanto colto
gli aspetti bruti oppur poco esaltanti.
Sto meglio, sì, dell’uomo primitivo,
ma come lui non so perché io vivo,
da dove vengo e dove un dì andrò,
se mai in futuro qui ritornerò.
Meno male, amor, che ho conosciuto
con te l’Amore, e quindi ogni minuto
io posso dir che l’ho bene vissuto!
Grazie per ciò . . . Sì, grazie . . . Ti saluto.
(Cassandro)
il
Ciao, Cassandro, questo tuo commento mi è piaciuto tantissimo perché gonfio di spunti.
RispondiEliminaPrima citi l'immortale Kubrick la sua straordinaria Odissea nello spazio, molto più di sola fantascienza, molto più di un semplice film. Poi rimani su vette altissime con Dante. E poi:
"tra un po’ dovrò andare via,
e senza aver saputo chi è Dio,
se l’Universo c’è, o è follia"
E prosegui:
"Sto meglio, sì, dell’uomo primitivo,
ma come lui non so perché io vivo"
e:
"da dove vengo e dove un dì andrò,
se mai in futuro qui ritornerò".
Infine:
"Meno male, amor, che ho conosciuto
con te l’Amore, e quindi ogni minuto
io posso dir che l’ho bene vissuto!"
Che possiamo dire? Non sappiamo poi molto. Viviamo, a volte, bene, e sappiamo migliorare le condizioni materiali di vita nostre e e degli altri uomini. Però sulle domande fondamentali non ne sappiamo più del "buon" (o cattivo) selvaggio. Forse persino di meno.
Un caro saluto a te e un abbraccio stimolato dal clima kubrickiano.
Cassandro alla fine è sempre romantico e...
RispondiEliminameno male :-)
non ci crederai ma prima che tu scrivessi il tuo post, avevo letto un interessante articolo:
"la solitudine della conoscenza" (http://www.astrologiainlinea.it/Astro_Magazine/Articoli/astromagazine_dett_articolo.asp?ID=1089)
che trattava per l'appunto in maniera simbolica (usando i simboli astrologici) il percorso di acquisizione della conoscenza, facendo riferimento a Prometeo, come ha fatto Cassandro, che è sempre piacevole da leggere :-).
Certo che questo tuo primitivo.......
mi piacerebbe sapere come faceva a mantenere l'equilibrio mentre faceva i suoi bisogni e usare le mani per mangiare....
la vedo un po' difficile :-)))
Sarà stata la difficoltà superata, il trovare un equilibrio difficilissimo che gli ha aperto il "canale della consapevolezza"?
Come già un'altra volta scrivesti è tutto sotto il nostro naso.... tutto ciò che ci serve sapere.... il problema è avere occhi per vedere, orecchie per ascoltare e cuore per elaborare :-)
Epperò poi sei solo, perchè ognuno di noi ha sensi diversi, e l'unica modo per "conoscere" sono i sensi e anche se parli se ti spieghi.... ognuno ascolta con il proprio cuore e le proprie orecchie..... e a quell'epoca gli apparecchi per le orecchie non esistevano :-) e neanche gli occhiali.... :-)e non sono poi così sicura che le moderne protesi portino tutti allo stesso livello :-)
Oia! il mio commento è sparito.........
RispondiEliminanooooooooo!
Mamma mia che periodo incasinato.... che sto passando,
chissa cosa ho fatto :-0
una bacchettata a questo mio cattivissimo blog che ha inghiottito il tuo commento, Fiore! :-)
RispondiEliminaComunque ne approfitto per segnalare il bel post di Cleide sul libro Fahrenheit 451: come diceva quel vecchio proverbio cinese, se aspetti abbastanza a lungo sulla riva del fiume prima o poi vedrai passare i cadaveri di tutti i tuoi nemici... e anche un post di Cleide! :-)
http://ritmididentro.blogspot.com/
uauuuuuuu un post di Cleide :-) vado a leggere...
RispondiEliminaCredo che sia la sindrome premestruale, che mi mette in un tale stato confusionale... che pare che tutto mi remi contro......
però penso che forse era un commento troppo lungo e forse "confuso" :-)
Tra le altre cose mi chiedevo se non fosse stato il particolare equilibrio raggiunto dalla posizione assunta per "defecare" che gli consentiva anche di mangiare e .... pensare che potesse aver aperto qualche "segreto" canale di conoscenza :-)
Un saluto a te e a Cassandro :-)