domenica 8 giugno 2014

La comparsa

la comparsa La prima volta che appaio nella storia è nella terza vignetta a pagina 23. Sono sullo sfondo di un ampio ambiente chiuso, forse una stazione ferroviaria. Sono lontano e disegnato male, di me si distingue solo un cappello largo post western e una figura mezzo coperta dai corpi che mi sono davanti. Nessuno potrebbe dire che sono io o che un io qualsiasi. Sono robaccia di sfondo, carne anonima buona per riempire la vignetta e darle profondità. Arredamento da fumetti. La distanza e la posizione defilata sono tali che il disegnatore non ha sprecato tempo a tracciare due graffi di inchiostro per fare i miei occhi. Ha appena accennato l’ovale del mio volto, di più non merito. Anche gli altri personaggi vicino a me, passanti della stazione, sono altrettanto scialbi e tracciati alla svelta. Alcuni sono delineati perfino peggio di me, che almeno ho il cappellaccio a salvarmi dall’anonimato totale. Gli ultimi individui del mio gruppo sono rappresentati soltanto da un sfregio di pennino o poco più. Che vita, che pensieri avrà la persona rappresentata da quei pochi sbaffi di inchiostro neri come l’inferno? Nessuno se lo chiederà e lo saprà mai. I fumetti, spesso, sono come la vita.

Molto più in primo piano di me, nella stessa terza vignetta di pagina 23, intanto l’eroe della storia parla con un individuo ben vestito, forse uno scienziato che denuncia un complotto delle multinazionali per dominare il mondo, o magari semplicemente un riccastro che ti incarica di ritrovargli la scapestrata figlia scomparsa. L’eroe della storia annuisce, salverà il mondo o troverà la figlia scapestrata, o magari farà tutte e due le cose insieme. È un bellimbusto belloccio e noioso che prenderesti volentieri a calci, copiato pari pari da un attore che una decina di anni fa faceva il dio a Hollywood e ora invece sembra un residuato bellico. Però forse parlo male di lui solo per l’invidia che ti prende quando sei relegato a fare da tappezzeria sullo sfondo.

Qualcosa di me deve aver colpito il disegnatore, e può essere solo il cappellaccio a larghe falde che è il mio solo tratto distintivo, perché vengo riproposto tre pagine dopo la mia prima apparizione. Sono ancora disegnato male. Una figura lontana buttata giù controvoglia. Ma adesso si legge una parte della scritta sulla mia maglietta. Niente di originale o eclatante, una specie di invocazione alla fine del mondo di sapore nazista. Non mi si vede ancora abbastanza bene per sapere come sono fatto. Si capisce appena che sono un pezzo di mobilio vivente da paesaggio apocalittico, un aspirante attaccabrighe. Un elemento decorativo buono le risse da bar o per arredare una zona malfamata. A dire la verità potrei fare la mia porca figura anche in una storia di zombie, con un occhio sfondato e la bava che mi esce dalla bocca sdentata, la maglietta appena più stracciata di ora. In questa nuova vignetta sono lievemente più vicino all’occhio dell’osservatore. Se questo fosse cinema e la vignetta un’inquadratura, potrei dire che sono ripreso in piano americano.

Faccio un’altra comparsata scadente a pagina 29 e poi succede qualcosa che, non esito a dirlo, mi sbalordisce. Quando ormai mi sono rassegnato al limbo dei campi lunghi o lunghissimi e a un’esistenza di carne da discarica a fumetti, eccomi in primo piano. Incredibile, sono davvero io e sono sul palcoscenico della vignetta. Sono in strada, appoggiato al muro. I particolari del mio viso sono ben definiti e ritratti perfino con maestria. Non sono bello, sono più sul modello balordo di strada, tratti volgari, occhi rapaci, lunga capigliatura raccolta in una coda di cavallo. Non ho il piercing anche se avrei scommesso il mio ultimo centesimo che un simile orpello non poteva mancare nel mio look. Non sono poi così male e i miei lineamenti ruvidi sono favoriti perfino da un’ombra artistica che mostra l’interesse instillato dal mio personaggio nella matita onnipotente che domina queste pagine. Non ozio per strada, ma parlo con una ragazza vivace tipo prostituta o tossica, la quale ha disseminati sul suo corpo tutti i piercing che mancano sul mio. So che sembrerà assurdo, ma sono molto più in primo piano dell’eroe della storia, che continua a conversare con il suo interlocutore in attesa dell’ormai imminente momento di menare le mani.

Naturalmente i fumetti che galleggiano nella parte alta della vignetta si infilano tutti in bocca all’eroe e al suo partner. No, non aspiravo a parlare. Troppa grazia per un paria come me. Il dono della parola si concede solo ai pezzi grossi dei comics. Però potrei ambire a esalare un ouchhh o un urghhhh quando il personaggio principale mi picchia dopo che ho tentato di aggredirlo proditoriamente, magari in uno dei vicoli che si dipartono da questa strada. Oppure potrei liberare una risata grassa tipo ahahaha prima di assalirlo con una spranga, insieme ai miei eventuali accoliti. No, la mia risata suonerebbe piuttosto come un argh argh, con tre o più punti esclamativi a corredo, per meglio segnalare la mia inclinazione al pestaggio volgare e traditore. Ma qui mi devo fermare perché sarebbe facile abbandonarsi a irragionevoli voli di fantasia. Se sono degno di sghignazzare all’indirizzo del protagonista, potrei esserlo pure di pronunciare qualche breve battuta da figura secondaria, diciamo da passante che sbraita all’esplosione di una bomba o da bullo che ti provoca alla rissa con perle in cui compaia l’espressione “faccia da cazzo”.

Ma sarà bene stare con i piedi per terra. Dopo l’exploit del primo piano in cui mi intrattengo per strada con la puttana o tossica, sono tornato nell’anonimato. Appaio in un paio di immagini alla lontana o alla lontanissima, in cui è solo il cappello post western a dimostrare che esisto. Sono tornato a essere imprigionato più che mai nella parte da comparsa da fumetto. Sono solo un corpo utile a fare da tappezzeria alla storia. Sono muto, obbligato a vedere i pezzi grossi della storia che parlano, parlano fino a farti schiattare. Quei palloni gonfiati si pavoneggiano con tutti questi cazzo di fumetti che gli escono dalla bocca e, stanne certo, non te ne cederebbero uno neanche se li implori in ginocchio.

Mi sta venendo la depressione. Ho aspettato pagine e pagine e non sono più riapparso. Né io, né il mio cappello e nemmeno la maglia con la scritta nazista sulla fine del mondo. È una scritta cretina, ma Stephen King ci ha fatto i miliardi facendo indossare ai suoi personaggi maglie con scritte simili. Vorrei sgomitare tra le indistinte figure di sfondo per farmi spazio, ma non posso. Vorrei tornare sotto i riflettori fumettistici, ma non posso. Vorrei aprire la bocca ed essere indicato dalla coda miracolosa di un fumetto, ma è un pio desiderio. Mi accontenterei addirittura di prenderle di santa ragione, ma in primo piano. Sono quasi portato a maledire la vignetta che mi riprendeva da vicino, perché non riesco ad accettare più come prima il mio ruolo di terza fila.

Eppure non ho ancora perso la speranza. Il disegnatore della storia mi ha raffigurato in primo piano: va a sapere perché, ma l’ha fatto. Ha definito i miei tratti, ha tracciato il mio naso, i miei occhi, la mia bocca, ha precisato i particolari del mio look e ora sono un personaggio fatto e finito. Ormai sono nella sua mente, archiviato lì da qualche parte. Forse nemmeno lui se ne rende conto, ma ci sono. E un giorno, chissà, forse sfiorerò i suoi sogni. Magari una volta o l’altra il disegnatore avrà bisogno di cattivi nuovi perché quelli vecchi sono venuti a noia a lui o ai lettori delle sue storie. E io con il mio cappello da bravaccio, la maglietta e i tatuaggi, perché potrei averne diversi sotto i vestiti, potrei tornargli utile. Sì, potrei essere un bel cattivo, magari il luogotenente del cattivo, il capoccia, quello che fa i lavori sporchi, picchia, spara, ammazza e smembra, mentre il capintesta potrebbe essere più incline alla prosopopea filosofica del male, sapete, sul tipo del gangster o dello scienziato pazzo che ti fa una lezione di morale mentre ti tiene sotto tiro con una pistola.

Però vi posso confessare una cosa? Qualcuno ha detto che tutti possono fare grandi sogni, anche i personaggi di infimo ordine come me. Sognare non è peccato, anche se si accarezzano prospettive assurde. Inoltre, seguitemi un attimo. Pure voi dovete aver notato che la morale e la percezione del bene e del male stanno cambiando negli ultimi anni a velocità a volte impressionanti. Per esempio, nei fumetti degli anni cinquanta dominava incontrastato l’eroe senza macchia e senza paura. Un uomo tutto d’un pezzo con poche o nulle pecche morali. L’investigatore Rip Kirby, Superman, Tarzan, Mandrake, o Tex Willer e Blek Macigno, eroi lindi e pinti sempre dalla parte della ragione. Poi sono venuti gli anni sessanta e i supereroi hanno cominciato da avere superproblemi come nelle storie della Marvel o si sono trasformati in ladri dai costumi sin troppo liberi come Diabolik. Ma tutti si comportavano ancora con dignità e onore. Ma ora, guardatevi intorno. La società è cambiata. La gente ne ha le tasche piene delle facce d’angelo e degli eroi sempre ligi al dovere. I serial killer in carcere ricevono migliaia di proposte di matrimonio. La società ama il brivido del proibito, dell’ambiguo. Guardate le serie televisive moderne. Gli eroi attuali sono quelli che vanno a letto con la sorella o stuprano le figlie nelle serie di cappa e spada. Oppure rubano, corrompono e imbrogliano nelle alte sfere della politica, risultando però sempre vincenti. Il mondo è cambiato. E pure la percezione dell’eroe. In questo nuovo scenario anche un personaggio volgare, meschino e brutale come me potrebbe venire buono per la parte principale in una storia a fumetti. No, adesso si chiamano graphic novel per farle sembrare più importanti: ve lo avevo detto che il mondo è cambiato. Forse è cambiato abbastanza perché io possa vedermi nel personaggio che parla e parla, spara, rischia la vita e vince sempre. Maledetto e vincente. Perverso e vincente. Corrotto e vincente. Figlio di puttana e vincente. In una parola un eroe dei nostri tempi. Una volta sarebbe stato impossibile per uno come me fare l’eroe dei fumetti. Ma ora chi può dire che sbaglio a pensarlo?

2 commenti:

  1. CASSANDRO

    Tu scrivi, Cap, a proposito di una tavola di fumetti “Che vita, che pensieri avrà la persona rappresentata da quei pochi sbaffi di inchiostro neri come l’inferno? Nessuno se lo chiederà e lo saprà mai. I fumetti, spesso, sono come la vita”.

    Mi permetti di aggiungere alla fine della tua considerazione un codicillo aggravante? . . . e cioè: sono come la vita, “specialmente se sono anziani!”

    Concetto questo che qui di seguito riporto, e che spero che tu da buon appartenente al Regno delle due Sicilie” riesca, sia pure in parte, a leggere. Comunque ho messo a seguire la traduzione

    S P I D D I

    “Iù, iù . . . iù, iù . . . iù, iù” dicemu . . .ma . . .
    semu oramai vecchi, e a nuddu cchiù
    ci frega ‘n cazzu nettu di ciò ca
    fìciumu pp’ iddi ‘nto tempu ca fu.

    Ni scànsunu! . . . o’ mugghiu, ni sumpòrtunu
    . . . di chiddu ca dicemu si nni fùttunu
    Rrispettu appoi? . . . e quannu mai n’ ‘u pòrtunu?…
    cu’ l’occhi, quanti voti, ah, si n’ ammùttunu!

    ‘A gioia ti si fa sempri cchiù scarsa
    . . . ‘i to’ vuredda ti si fanu ghiùmmira
    ca tornu tornu ti mùntunu ‘a farsa.

    Cchiù non cuntamu nenti! . . . semu nnùmmira!
    . . .stamu supr’ a ‘sta terra ppi cumparsa,
    spiddi ca vanu e nun làssunu ùmmira!

    (Cassandro)


    Traduzione:

    F A N T A S M I


    “Io, io . . . io, io . . . io, io” diciamo . . .ma . . .
    siamo oramai vecchi, ed a nessuno più
    interessa minimamente tutto ciò che
    abbiamo fatto per loro nel tempo passato.

    Ci scansano! . . . nella migliore delle ipotesi, ci sopportano
    . . .di quello che diciamo se ne infischiano
    Rispetto poi? . . . e quando mai ce ne portano? . . .
    con lo sguardo quante volte, ah, ci respingono!

    La gioia per te diminuisce sempre più
    . . .le tue budella si aggomitolano
    poiché intorno a te imbastiscono una farsa.

    Più nulla contiamo . . . siamo solo numeri
    . . .stiamo su questa terra come comparse,
    fantasmi che vagano senza stagliare ombra!

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  2. Cassandro, letto il tuo bel componimento siciliano e devo dire che ho avuto bisogno raramente della traduzione, ma qualche volta sì (n'ammuttunu).. Fantasmi? Lo siamo un po' tutti. Ci aggiriamo per il mondo del blog sperando di ritrovare un po' dell'eccitazione e delle emozioni passate. Siamo ancora qui e non è poco. Ho scritto questo post che mi è anche costato un certo impegno e applicazione e anche questo non è poco, Guardo il post e chissà perché mi chiedo se sono io che l'ho scritto e per quale ragione l'ho fatto. Non so rispondere. Però sono contento di averlo scritto. Campa blog...

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