sabato 4 giugno 2011

I colori degli anni Cinquanta

Fred e Leslie Caron
In questo post parleremo degli anni Cinquanta e lo faremo utilizzando soprattutto tre film che ho (ri)visto di recente. I film in alcuni casi mi hanno sorpreso e in altri hanno confermato ottimi ricordi.
I magnifici colori degli anni Cinquanta. La cosa che mi ha stupito sorpreso di più sono stati i bellissimi e accesi colori dei Cinquanta che ho potuto ammirare nel film Papà Gambalunga del 1955 con Fred Astaire. La copia del film finita in mano mia era in perfette condizioni, con una risoluzione e una resa cromatica assolutamente paragonabili ai film moderni. E’ stato un film pieno di sorprese, come dicevo. Primo, i colori della pellicola erano vividi, accesi, allegri, specie nella scuola frequentata da Leslie Caron, protetta e pupilla di Astaire, che poi finirà per farlo innamorare. Di solito pensiamo al decennio dei Cinquanta come un periodo cupo, noir, da guerra fredda in bianco e nero o con fotografie con colori appassiti, come quei vestitini da donna a fiori cosiddetti antichi. Qui era un tripudio di colori, di tinte accese, di rossi rossi e gialli gialli, di verdi e di luci.
Le conferme riguardano la straordinaria bravura di Fred Astaire nel ballo: anche se nel film aveva 56 anni suonati dava parecchi punti a qualsiasi giovanotto, per quanto aitante, sulla pista da ballo (e di certo avrebbe fatto lo stesso con qualsiasi somaro ballerino moderno da break dance). Altra sorpresa riguarda la sensualità di Leslie Caron, che per essere una ballerina, e anche brava, vantava un mucchio incredibile di curve al posto giusto. Il finale del film? L’attempato Fred Astaire conquista il cuore della giovincella Caron, nonostante una differenza di età valutabile intorno ai 35 anni e il fatto che Papà Gambalunga fosse una specie di padre adottivo della Caron: curioso che una situazione che oggi farebbe un superscandalo all’epoca sembrasse quasi normale.

James Mason e Arlene Dahl
La giovane e forse ingenua avventura di un mondo giovane. Gli insospettabili colori del decennio del dopoguerra erano presenti, seppure in maniera non così eclatante, anche nel secondo film che ho visto, ossia Viaggio al centro della terra del 1959 con James Mason. Questo film è un piccolo gioiello, in cui il solo mirabile doppiaggio originale di Mason vale la visione di diversi film. (A proposito di doppiaggio originale, ogni volta che vedo un film ormai dagli anni Sessanta in giù ho sempre il timore di assistere al più grande delitto che si possa compiere in cinematografia, ossia ridoppiare una gloriosa pellicola d’epoca con insulse, fiacche e svogliate voci moderne: fortunatamente non è accaduto in nessuno dei casi che cito). Per chi ha visto il film quando era il tempo giusto di vederlo, basterà citare il mitico nome dell’alchimista islandese Arne Saknussemm per evocare emozioni indimenticabili. Il film con Mason ha ormai acquisito il fascino delle opere teatrali ed è di varie spanne superiore al recente rifacimento cinematografico pieno di effetti speciali fini a se stessi, interpretato dall’insulso attore della serie della Mummia nel ruolo di chi era stato protagonista di Lolita di Kubrick (Mason appunto). Questo film ci dà occasione per parlare della fantascienza degli anni Cinquanta, senza dubbio la migliore di sempre; forse piena di ingenuità come si può dedurre da certi titoli che suonavano come La terra contro i dischi volanti o come I giganti invadono la terra, ma capace di farti sognare alzando gli occhi al cielo. i cattivi erano cattivi, allora, e i buoni buoni, e i buoni avevano quasi sempre la stella di sceriffo e una pistola lesta a sanare i torti. Il che ci porta a parlare dell’ultima caratteristica (di oggi) degli anni Cinquanta e del cinema che lo rappresentava, cioè il western. 

La camminata di Wayne
Anzi facciamo così, del western parleremo in un prossimo post. Parleremo di film belli e maledetti come Sentieri Selvaggi o Ombre Rosse e di personaggi come John Wayne, e il qui presente Capitano forse avrà modo di ipotizzare che se fosse nato donna probabilmente si sentirebbe più attratto da John Wayne che da un individuo curioso come Leonardo Di Caprio. Anzi il Capitano forse aggiungerà perfino che di Di Caprio (e di specie biologiche dall’incerta classificazione sessuale come Johnny Depp o Keanu Revers) proprio non saprebbe che farsene, se fosse nato donna. Sorriso.

10 commenti:

  1. Uhhh, il western. Sai che ero appassionata di western? Ne avrò visti a centinaia. John Wayne, James Stewart e tutti gli altri. Quasi quasi da piccola avrei voluto farmi regalare un cinturone alla Calamity Jane piuttosto che una di queste noiose bamboline che parlano e ridono a sproposito... Magari avrei sfidato a duello uno dei maschietti con cui facevo le corse in bicicletta... e di sicuro lo avrei battuto .))
    Ricordo bene la mitica camminata di John Wayne, era unica, nessuno è mai riuscito minimamente a uguagliarla.
    Sulla questione dei colori degli anni Cinquanta, ho avuto la tua stessa impressione. Ho visto qualche film d'epoca ed era davvero pieno di tinte, come le pitture di guerra degli indiani. Uh-uh-uh-uhuhuh .)))))

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  2. Come mi piacerebbe rivederli...........

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  3. Che tristezza amico mio, e sai perchè? Fred Astair era uno dei miei idoli, un ballerino incredibile e inarrivabile; vederlo, anni dopo, su di una sedia a rotelle mi ha dato un colpo al cuore. Analoga tristezza quando hanno impietosamente fatto vedere un genio come Eduardo completamente rimbambito e con lo sguardo assente.
    Scusa, lo so che non c'entra niente col post.

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  4. Cleide, sì, mi avevi detto di questa tua antica passione per i western, ma d'altra parte lo sappiamo che da piccola eri una Gian Burrasca.
    Fiore, ciao, spero si sia risolto il problema alla mano.
    Sergio, be', per quanto ne so Fred Astaire ha vissuto a lungo e quasi sempre in ottima salute. All'epoca del film qui citato, Papà Gambalunga, aveva 56 anni suonati e danzava come un dio con una partner giovane e desiderabile come Leslie Caron. Nel 1974, quando di anni ne aveva 75, ebbe addirittura una nomination agli Oscar per la sua partecipazione al film "L'inferno di cristallo". Lì non ballava, ma sono certo che avrebbe saputo ancora farlo. Lo stesso, credo potrebbe dirsi per Eduardo.
    Un saluto a tutti gli amici e una splendida settimana piena di sole e ottimismo per tutti.

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  5. CASSANDRO

    Oggi certamente colpiscono i magnifici colori dei film degli anni Cinquanta, ma all’epoca in genere non ci si curava tanto di tale bellezza

    Secondo me, infatti, negli anni ’50, e pure ’60, si andava a cinema non tanto per la regia, per i colori, per la sceneggiatura ma soltanto . . . per gli attori (uno per tutti Charlot): interessava l’uomo o la donna che recitava, e nel quale la gente si identificava, tipo lo John Wajne o la Leslie Caron di turno singolarmente presi: la persona faceva aggio sul resto (un poco come, attualizzando il concetto, si è realizzato nel corso di queste ultime elezioni amministrative dove non si è votato un partito o un programma, ma l’Uomo -- chiamalo De Magistris o Pisapia -- che ti dava più fiducia per allontanare dal governo della cosa pubblica quelli che, presenti da sempre, ci hanno mangiato, e continueranno a mangiarci, sulla testa se non li buttiamo fuori votando in massa “Sì” ai referendum: secondo una battuta che circola al momento “si abrogano quattro elementi, e il quinto è gratis”)

    Così, ad esempio, io andavo a vedere i film di James Stewart solo perché c’era lui che recitava, il resto era solo contorno. A proposito, Cap, hai notizia di un film western che si intitolava, credo, “Winchester 73”, che ho tanto amato e che non ho più potuto rivedere? Spero che tu ne possa trattare nel tuo prossimo post.

    Quella oltretutto era un’epoca particolarmente fantasiosa, dato che poche erano le possibilità e le occasioni di “socializzazione”, e di stare insieme da soli, fra ragazzi e ragazze. Queste ultime specialmente erano solite (ripeto, era il periodo in cui dominava in assoluto la fantasia) identificare il loro lui nel protagonista (e viceversa) dei film e delle opere teatrali, come pure, se andavano in un museo, erano capaci di rivedere il loro innamorato in una statua greca o etrusca.

    Negli anni ’50 (e ’60) vigeva infatti il principio (e ciò ci consolava un poco) del “pensiero pensato che pensando crea”: uno poteva così ritenere di essere nella mente di lei sempre come protagonista assoluto (novello Fred Astaire o James Mason), e spesso inoltre faceva di tutto per essere ricordato pure quando il tempo fosse passato, per cui poteva ben dire . . . . .


    I O S O N O . . .

    Io sono nei giornali che tu sfogli,
    nei film che tu guardi alla T V,
    in quelle fantasie, in quegli imbrogli,
    in quei giochetti che organizzi tu.

    Mi vedi anche nei libri . . . nei fumetti . . .
    al cinema nel gesto affettuoso
    del bel protagonista tu mi metti,
    ed al museo in Apollo misterioso.

    Per non dire dell’Opera: son qui
    per te Cavaradossi appassionato,
    il buon innamorato di Mimì,
    o di Isotta il grande amor mancato.

    Riesci a riascoltar ciò che t'ho detto
    pur nel frastuono della gran città,
    e i miei sussurri avverti quando a letto
    la sera scendi nell'intimità.

    Appena sorge il sole poi mi chiami,
    ti pettini, ti vesti e pensi a me,
    per strada con le altre donne sciami
    . . . eppure sarai sola, e sai perchè?

    Perchè fra un po' vivrai nelle canzoni
    che parlano di amori dolci e tristi,
    nella "Signora Lia" di Baglioni,
    in quel "campo di grano" di Battisti,

    dato che il nome mio e il nome tuo
    ora stanno intrecciati ma lo sanno
    che come ha detto Keats per quello suo
    'scritti nell'acqua' son . . . si scioglieranno.

    Ma non si scioglieranno i miei versi,
    che pur se non di grande qualità
    noi che ci siam trovati e ci siam persi
    han consegnato un po' all'eternità.

    (Cassandro)

    il

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  6. Ti rispondo subito sul film "Winchester 73", Cassandro. Poi avrò senza dubbio modo di ritornare sul tuo bel commento. Dunque ho proprio (ri)visto da poco questo film (devo averlo visto ragazzino negli anni Settanta e non ricordavo quasi niente), anzi ti informo che una copia in ottime condizioni dello stesso è felicemente in mio possesso. Ottimo film stavolta in bianco e nero. Per chi non sa di cosa si tratta, ossia la schiacciante maggioranza di quelli che capiteranno in questo post, dico che si tratta di un film del 1950 che parla di un fucile di estrema precisione vinto da James Stewart in una gara di tiro. Il il fucile passa di mano in mano, attraverso banditi, contrabbandieri di armi, balordi, viandanti, fino a tornare nelle mani di Stewart. Il film mostra una vivace ed espressiva Shelley Winters, quando non era ancora grassa e risultava equivocamente affascinante. Il film inoltre vanta il doppiaggio di Alberto Sordi (all'epoca non aveva ancora sfondato) che dà voce a quello che dovrebbe diventare il marito della Winters (purtroppo per lui il suddetto ha la disgraziata idea di morire prima).
    Il riferimento alla Winters mi dà lo spunto per parlare delle attrici degli anni Cinquanta che devo dire con sorpresa risultano più sexy di quelle attuali. Non più belle, ma proprio più sensuali, pur mostrando poco o niente. Ne parlerò se ci sarà occasione nel prossimo commento.

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  7. Dietro insistenza di Cleide, che voleva rileggersi qualche articolo, rimetto on line il mio vecchio blog "Sotto le gonne del cinema" che avevo abbandonato per mancanza di tempo. Spero di poter sistemare qualche articolo:
    http://sottolegonnedelcinema.blogspot.com/

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  8. Questi sì che sono film da vedere e rivedere!
    Ma quelli di oggi o degli ultimi 4 o 5 anni? Qualcuno se ne ricorda almeno dieci che meritano di essere rivisti? Io no...Ma forse mi sono sfuggiti i migliori...Chissà!

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  9. Ehilà, Flora, ben trovata. Prima di andare a letto ho il tempo di dare la buonanotte a te e agli amici.
    Aggiungo che domani potrei parlare di alcumi film dei Cinquanta che si adattano a questo post, ossia del celeberrimo "Sette spose per sette fratelli" del notevole "Il re ed io" con Yul Brinner e Deborah Kerr e ci potrei mettere perfino "Testimone d'accusa" di Billy Wilder. Ma come è noto del doman non c'è certezza :-)

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  10. Vediamo se possiamo parlare velocemente dei tre film citati.
    Uno, "Sette spose per sette fratelli", si presume che tutti o quasi sappiamo di cosa si tratta, titolo del 1954 in cui si canta e si balla. La caratteristica di questo di questo film è di regalarti una gioiosità immediata che dura fino alla parola fine. Ti sorprendi a sorridere da solo e a pensare che il mondo è bello e semplice: chi ha avuto la pessima idea di renderlo complicato e brutto? Solo nella canzone "Tell me more" di "Grease"(ora non ho il tempo di controllare il titolo esatto del brano), quella in cui da una parte cantavano i ragazzi con John Travolta e dall'altra le ragazze con Olivia Newton-John si ritrova una simile gioiosità di rapporti tra uomini e donne.
    Efficaci le canzoni e splendidissimi i balli, in bilico tra l'acrobatico taglialegnesco e il balletto classico accennato a volte in alcuni passi dalle sette (future) spose. Ci sarebbe ancora da dire, ma mi fermo qui, tranne ripetere wonderful, wonderful day, come si canta spesso nel film.
    "Il re ed io", altra commedia musicale del 1956. Yul Brinner è uno splendido re siamese, ignorante, razzista, maschilista e schiavista, ma nello stesso tempo gentile, simpatico, desideroso di conoscenza e modernità. Prese l'Oscar per questo ruolo e se lo meritò tutto. Deborah Kerr fa l'istitutrice britannica tutto d'un pezzo (siamo a metà Ottocento). Donna modernissima ed elegante, colta e affascinante conversatrice. La Kerr, che somiglia vagamente a Emma Thompson, più radiosa e meno ironicamente triste, si distingue per portare una dozzina di vistosi abiti vittoriani sostenuti da robustissime crinoline e risulta notevolmente sensuale mostrando spalle e collo nudi.
    Di testimone d'accusa si parlerà stasera tempo permettendo.

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