giovedì 13 luglio 2006

Ubriachi e spettri di una notte mondiale


Ho fatto un gran tifo per l'Italia sino alla finale. Arrivati a questa partita ho avuto un'idea rivelatasi poco provvida. Ho pensato di seguire Italia-Francia sul maxischermo napoletano di Piazza Plebiscito. Ho dovuto camminare parecchio per prendere l'autobus a una fermata diversa dalla solita (già si erano diradate le corse dei mezzi pubblici). Arrivato a destinazione, un casino del diavolo. Voci così amplificate da renderti sordo (e infatti ho perso l'udito da un orecchio per due giorni). Gente a frotte che ti premeva addosso. Ho visto la partita come a cinema, ma in piedi; ogni tanto qualcuno ti chiedeva di spostarti perché non vedeva bene (alcuni educati ragazzi avevano la pretesa di gustarsi la partita dal sedile del motorino).

Ho gioito fino ai rigori finali. Lì è saltato qualcosa dentro di me. Notavo che tutti si esaltavano ed esultavano, ma a me non veniva da fare lo stesso, forse perché ero andato a vedere la partita da solo e non avevo nessuno con cui condividere il mio stato d'animo. Dopo un po' le manifestazioni di euforia hanno cominciato a darmi sui nervi. Ho meditato di intontirmi con qualche birra e fare pure io lo stronzo come gli altri. Ma poi ho passato la mano, anche perché i venditori ladri vendevano le birre al prezzo di una bottiglia di champagne.
Quando non ho retto più allo scomposto tripudio circostante, ho deciso di rincasare sobrio ma triste, invece che sbronzo ma felice. Mezz'oretta di cammino fino a piazza Garibaldi. Nessun autobus parcheggiato. Chiedo lumi a un fantasma dallo schietto fisico da delinquente partenopeo (nemmeno l'ombra di un autoferrotranviere, si sa). Mi dice che dopo la partita con la Germania i tifosi hanno distrutto vari autobus e stavolta l'azienda ha messo la merce in cassaforte. L'unica è tornarsene a piedi. E' l'una di notte. Per fortuna sono discretamente allenato e ci do dentro nella notte napoletana percorsa dalle solite auto strombazzanti (a un tratto riesco perfino a evitare alcuni oggetti infiammati che cadono dall'alto forse per rendere più epica la mia ritirata dalla Russia). Con un'altra ora e mezza di cammino a passo svelto, arrivo alla casa dolce casa. Ho le gambe a pezzi (tra andata e ritorno avrò camminato per non meno di tre ore e forse per una quindicina di chilometri).

Pur essendo stanco non ho sonno. Dai festeggiamenti calcistici in tivvù, Dio mi scampi. Allora me ne vado sulla chat, facendo uno strappo al mio giuramento di non tornare in quell'oltretomba virtuale. Incontro una ragazza napoletana che si sbronza, così dice, scolandosi bottiglie di vino. Non so se credere alla sua ubriachezza, capisce tutto e si esprime con lucidità, ma dopotutto non è importante, siamo solo due anime insonni che si scambiano qualche parola in una notte scombinata. Parliamo, dunque. Mi chiede di mandarle una mia fotografia, poi lei ricambierà il favore (se sono di suo gradimento potrei diventare il suo ragazzo, altrimenti dovrò accontentarmi della sua amicizia). Non voglio mandarle foto, non ne ho nemmeno disponibili, ma non voglio impelagarmi in una discussione alle tre di notte, ergo le mando una foto palesemente falsa raccattata su internet. Lei risponde a stretto giro di posta con un'immagine ancora più fasulla e improbabile della mia. Ovviamente pure le foto false, come l'ubriachezza presunta, non hanno importanza in questa notte.
La mia interlocutrice mi dice che ha subìto una terribile esperienza (la peggiore che possa capitare a una donna) nella Stazione Centrale cinque anni fa. E' stata in terapia. Il suo ragazzo l'ha lasciata a favore di una sua conoscente che lei chiama troia. Io dico ciò che si deve dire a una sconosciuta virtuale che potrebbe essere ubriaca e avvilita o sobria e bugiarda (o perfino un maschio barbuto addirittura più incazzato di me dai festeggiamenti calcistico-nazionali). Poi, alle tre e mezza di notte, annuncio che vado a nanna. La ragazza mi saluta, dicendosi contrariata che non io aspetti la fine della sua seconda bottiglia di vino. Ah, la donzella magari è davvero sbronza, o perlomeno parecchio tonta, perché ogni tanto mi offre un bicchiere del suo vino chiedendomi se mi è piaciuto berlo.

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