Stanotte faticavo a prendere sonno e per qualche strana ragione il pensiero mi si è concentrato sul dialetto, cioè sulla lingua napoletana. Declinando alcuni verbi in napoletano, mi sono accorto che non è un'impresa facile nemmeno per un indigeno partenopeo come me. La mia attenzione si è fermata su un paio di verbi, avere/dare e andare, che hanno a mio modo di vedere delle forme espressive quasi poetiche, e sulla strana somiglianza tra il passato remoto del verbo essere e il presente di fuggire.
Cominciamo dall'ultimo caso. In napoletano il passato remoto del verbo essere fa così (tra parentesi metto la pronuncia, più intuitiva che professionale, perché il napoletano scritto come si è venuto affermando spesso è molto diverso dal parlato: I' fuie (i' fuj) io fui, tu fuste (tu fust), isso fuje (iss fuj), nuie fujemo (nuj fujm), vuie fustene (vuj fustn), lore fuiene (lor fujn).
Ecco il presente del verbo fuggire, in grassetto le voci uguali al passato remoto di essere testé citato: sarà il contesto della frase a chiarire il significato: I' fuie (i' fuj) io fuggo, tu fuie (tu fuj), isso fuje (iss fuj), nuie fuimme (nuj fuimm), vuie fuite (vuj fuit), lore fuiene (lor fujn).
Andiamo ora al bellissimo presente indicativo del verbo avere (usato solo come ausiliario perché il verbo avere classico in napoletano, così come in spagnolo, si rende con tenere):
Tu e (e)
Isso adda (adda)
Nuie amma (amma)
Vuie ata (ata)
Lore anna (anna)
E siamo giunti al musicalissimo passato remoto del verbo andare (nella parlata partenopea i):
I' iette (iett)
Tu iste (ist)
Isso iette (iett)
Nuie ietteme (iettm)
Vuie istine (istn)
Lore iettene (iettn).
Di passaggio noteremo che le tre forme i' iette, isso iette, e loro iettene, corrispondono alle corrispettive forme del presente del verbo buttare (iettà in napoletano). Cioè "io andai" è lo stesso che "io buttai". Peraltro se uniamo due voci verbali di dovere e andare otteniamo la supersintetica e formidabile espressione, difficilmente uguagliabile in qualsiasi altra lingua: "E i" (devi andare).
Il futuro semplice partenopeo è quasi in disuso, sostituito dal presente o da altre forme verbali, e si ottiene con il suffisso arraggia (arragg); per esempio sarr-aggia (io sarò), sarr-ai (tu sarai) ecc. Curioso e anche melodico il futuro semplice del verbo arraggià (arrabbiare, adirare): m'arraggiarraggia (m'arraggiarragg) mi arrabbierò. Singolare pure la forma m'aggia arraggià, devo arrabbiarmi.
A chiudere, alcuni verbi napoletani a mio insindacabile giudizio particolarmente espressivi:
Abbuscà (abbuscà): Prendere botte, essere picchiato.
Accucchià (accucchià): Mettere insieme due o più cose o persone.
Accummiglià (accummglià): Coprire - Mettere il coperchio "cummuoglio". Il contrario è "scummuglià".
Addenucchià (addnucchià): Inginocchiarsi, piegarsi sulle "denocchie".
Addurà (addurà): Odorare.
Alliccà (allccà): Leccare.
Alluccà (alluccà): Gridare, cioè emettere un "lucco".
Ammescà (amm'scà): Mescolare o infettare.
Annuzzà (annuzzà): Soffocare. Si dice di quando il cibo si ferma in gola.
Arrecrià (arr'crià): Rallegrare, far felice.
Arrunzà (arrunzà): Lavorare in fretta e male. - Trattare qualcuno con modi sgarbati per toglierselo dai piedi.
Ciaccà (ciaccà): Ferire alla testa.
Fravecà (fravcà): L' edificare del muratore, il " fravecatore ".
Munnà (munnà): Sbucciare.
Musichià (mus'chià): Brontolare, anche criticare qualcuno alle spalle.
'Nfonnere ('nfonnr): Bagnare, specie di pioggia.
'Ngarrà ('ngarrà): Indovinare - Riuscire, fare la cosa giusta.
'Nguacchià ('nquacchià): Sporcare, macchiare, fare un 'nguacchio.
'Ntufà ('ntufà): Sobillare o far crescere la rabbia.
'Nturzà ('nturzà): Gonfiare.
'Ntussecà ('ntuss'cà): Intossicare - Amareggiare, far innervosire.
'Nzurà ('nzurà): Prendere moglie o marito. Attualmente si usa quasi solo in contesti scherzosi.
Parià (parià): Digerire. Si dice di persone fin troppo concentrate su un certo argomento.
Pazzià (pazzià): Giocare.
Pulezzà (pul'zzà): Pulire.
Ruciulià (ruciulià): Rotolare.
Sbruvugnà (sbruvugnà): Sconfessare. "Sbruvugnato" è 'uno che ha mentito ed è stato scoperto.
Scagnà (scagnà): Scambiare - Scolorire.
Scamazzà (scamazzà): Schiacciare con i piedi.
Scerià (sc'rià): Strofinare - Pulire strofinando, anche la faccia.
Schizzichià (schizzchià): Piovigginare.
Sciuscià (sciuscià): Soffiare.
Scutulià (scutulià): Scuotere – Scrollare.
Secutà (s'cutà): Rincorrere o perseguitare qualcuno.
Senghià (s'nghià): Causare una fessura, una crepa.
Spertusà (sp'rtusà): Bucare, da "pertuso" cioè buco.
Struppià (struppià): Picchiare qualcuno fino a rompergli le ossa.
Trasì (trasì): Entrare.
Vasà (vasà): Baciare, da "vaso" bacio.
Vattere (vatt'r): Battere – Picchiare.
Vummecà (vumm'cà): Vomitare
Zucà (zucà): Succhiare.
Leggi pure: Italiano contro napoletano - Salvate il napoletano che muore
Accucchià (accucchià): Mettere insieme due o più cose o persone.
Accummiglià (accummglià): Coprire - Mettere il coperchio "cummuoglio". Il contrario è "scummuglià".
Addenucchià (addnucchià): Inginocchiarsi, piegarsi sulle "denocchie".
Addurà (addurà): Odorare.
Alliccà (allccà): Leccare.
Alluccà (alluccà): Gridare, cioè emettere un "lucco".
Ammescà (amm'scà): Mescolare o infettare.
Annuzzà (annuzzà): Soffocare. Si dice di quando il cibo si ferma in gola.
Arrecrià (arr'crià): Rallegrare, far felice.
Arrunzà (arrunzà): Lavorare in fretta e male. - Trattare qualcuno con modi sgarbati per toglierselo dai piedi.
Ciaccà (ciaccà): Ferire alla testa.
Fravecà (fravcà): L' edificare del muratore, il " fravecatore ".
Munnà (munnà): Sbucciare.
Musichià (mus'chià): Brontolare, anche criticare qualcuno alle spalle.
'Nfonnere ('nfonnr): Bagnare, specie di pioggia.
'Ngarrà ('ngarrà): Indovinare - Riuscire, fare la cosa giusta.
'Nguacchià ('nquacchià): Sporcare, macchiare, fare un 'nguacchio.
'Ntufà ('ntufà): Sobillare o far crescere la rabbia.
'Nturzà ('nturzà): Gonfiare.
'Ntussecà ('ntuss'cà): Intossicare - Amareggiare, far innervosire.
'Nzurà ('nzurà): Prendere moglie o marito. Attualmente si usa quasi solo in contesti scherzosi.
Parià (parià): Digerire. Si dice di persone fin troppo concentrate su un certo argomento.
Pazzià (pazzià): Giocare.
Pulezzà (pul'zzà): Pulire.
Ruciulià (ruciulià): Rotolare.
Sbruvugnà (sbruvugnà): Sconfessare. "Sbruvugnato" è 'uno che ha mentito ed è stato scoperto.
Scagnà (scagnà): Scambiare - Scolorire.
Scamazzà (scamazzà): Schiacciare con i piedi.
Scerià (sc'rià): Strofinare - Pulire strofinando, anche la faccia.
Schizzichià (schizzchià): Piovigginare.
Sciuscià (sciuscià): Soffiare.
Scutulià (scutulià): Scuotere – Scrollare.
Secutà (s'cutà): Rincorrere o perseguitare qualcuno.
Senghià (s'nghià): Causare una fessura, una crepa.
Spertusà (sp'rtusà): Bucare, da "pertuso" cioè buco.
Struppià (struppià): Picchiare qualcuno fino a rompergli le ossa.
Trasì (trasì): Entrare.
Vasà (vasà): Baciare, da "vaso" bacio.
Vattere (vatt'r): Battere – Picchiare.
Vummecà (vumm'cà): Vomitare
Zucà (zucà): Succhiare.
Leggi pure: Italiano contro napoletano - Salvate il napoletano che muore
buon anno Capitano!!!!
RispondiEliminaAllora.. io consiglierei una doppia camomilla prima di dormire.. se no la prossima volta ti sogni D'alessio e Pino Daniele con la bacchetta in mano che ti impartiscono lezioni di ITAGLIANO!!!
Ho trovato interessante il piccolo vocabolario finale. C'erano parole di cui non conoscevo il significato, come arricrià. Con tutta la mia nonna casertana, molte parole napoletane continuano a risultarmi ostiche. :-)
RispondiEliminaAnche se il verbo più bello (oddio che vergogna, non lo so nemmeno scrivere) è quello che tradotto in italiano vorrebbe dire: non sentirsi bene. Es: nun me fir' buon Ciao Capità
RispondiElimina...consentimi di scherzarci sopra...
RispondiEliminami pare che anche questo sia napolinità:)
ho andato...
sono avuto...
baronerosso1
Seguendo il filo di Baronerosso aggiungerei..ha rimasto.:)))
RispondiEliminae anche Cleide sta arricchendo il vocabolario con altro dialetto -lingua. Con arrecrià insisto a sentire anche quel pò di ri-creare, già segnalato in commento tuo precedente post, oltre a rallegrare, più immediato, non stona anche il risultato, così suggerito dalla parlata.Speciale l'effetto di quell'andatevene !!! (napoletano) scagliato più che uno schiaffo nella commedia di Eduardo, trasmessa poche sere fa da Rai TV. Un andatevene!,così tagliente in dialetto, come una lama, per troncare ogni spiraglio sullo scherzo fedifrago congegnato dai due amici del marito, prima alle prese con l'invenzione antiforatura gomme, Andatevene, che chiude e apre la scena nuova, per poi potersi aprire, entrambi commossi , e quasi abbracciati - l'anziana coppia - mentre Eduardo mormora un cenno di canzone. Forte, il dialetto napoletano. (Un'eco, perchè oggi 7 gen, non si chiuda come giornataccia, ma da arrecrià -ad altri la declinazione ecc.) Ciao da Giovanni
RispondiEliminaBalua, la camomilla mi farebbe senz'altro bene.
RispondiEliminaCleide 1, mi trovo d'accordo in tutto e per tutto con questo tuo commento, chissà perché. Arricrià è un potente verbo napoletano traducibile nella forma ma non nell'intensità.
Veneris, vire e sta bbuono, ca ggià troppa genta nun se fire (traduco per i non napoletani: vedi di stare bene, che già troppa gente sta male).
Cleide 2, ho rimasto la capa a casa. :-)
Giovanni, che la giornata di domani ti faccia arricriare come meriti. Apprezzatissimo da me il tuo riferimento a Eduardo. Andatevene, suona in napoletano come iatevenne (iatvenn) ed è un'altra potente espressione della mia terra.
Un saluto agli amici
E' vero, molte parole e molti verbi hanno un duplice significato che dipende dal contesto della frase o addirittura dall'intonazione. Prendo ad esempio "abbuscà": vuò abbuscà? significa "vuoi prenderle (le botte)" ma "s'é abbuscat' 'a semana" significa "si é guadagnato la paga settimanale. Il "iatevenne" così espressivamente pronunciato dalla bravissima Pupella Maggio é poi letteralmente intraducibile, dire "andatevene" é troppo poco e non rende la minaccia sottintesa.
RispondiEliminaEd ora un sorriso, con una storia che mi ha raccontato una maestra; aveva chiesto ad un suo alunno delle elementari: "ma tu, dove vivi?" e il bimbo, stupefatto: "'nto bicchiere, signurì" (Nel bicchiere signorina).
Oggi quel "vivi" (bevi) é una deformazione del napoletano antico "bibi" che è un diretto derivato dal latino "bibere".
Ciao Cap. sempre poliedrico e interessante!
Dimenticavo: conosco tutti i vocaboli citati meno che "annuzzà" che non ho mai sentito. Del resto é anche vero che vi sono lievi differenze dialettali anche tra i vari rioni della città.
RispondiEliminaIo comunque ho sempre sentito "affugà". Ai Camaldoli ho anche sentito una vecchietta che cercava "o muccaturo" (il fazzoletto) antico termine, ormai desueto, di origine francese.
trovo che questo tuo post sia estremamente interessante. Tra meno di 15 giorni ho l'esame di dialettologia e mi fanno comodo degli esempi del dialetto napoletano :)
RispondiEliminaSergio, annuzzà lo usiamo ancora spessissimo, insieme ad affugà, più italianizzato e dal significato più esteso. 'O muccaturo devo averlo sentito qualche secolo fa e pensavo che esistesse solo in contesti scherzosi, dovrebbe essere l'oggetto che rimuove 'o mucco, cioè il muco dal naso, quindi il fazzoletto. Da mucco, muccuso, forma più intensa di moccioso.
RispondiEliminaE' vero che quando senti parlare alcune persone anziane della Napoli antica senti parole stranissime o addirittura misteriose.
In effetti vivi in napoletano equivale a "bevi". Vivere si dice campare, anche se nella parlata moderna si tende a importare fin troppo dall'italiano.
bluphoenix, mi sa che ti servirebbero parecchi esami di dialettologia per svelare i misteri del napoletano :-)
Credo che l'origine di muccaturo sia anche conseguenza della dominazione francese, cioè che derivi da mouchoir (pr. musciuàr)che vuol dire "pezzuola" "fazzoletto". Del resto l'incredibile fantasia e vivacità dei napoletani (peccato che ne siano rimasti pochi) si rivela nel riuscire a "napoletanizzare" anche l'italiano: al prosaico "mi fanno male i piedi" il napoletano contrappone l'espressivo "cammino sul dolore" ;-)
RispondiEliminaAlcune di queste parole mi sono familiari,altre ne imparo ora il loro significato,mi piace il dialetto Napoletano quando vado in ferie mi capita spesso di trascorrere alcune ore in compagnia di cari amici che abitano in quella stupenda città.
RispondiEliminaRoberto
non immagini quanto possa tornarmi utile questa prima lezione. :)) o lo immagini? Gians
RispondiEliminasergio, ho fatto una piccola ricerca e la parola muccaturo è presente in varie canzoni o componimenti d'epoca. Probabilmente hai ragione sulla sua origine.
RispondiEliminaNella "Gatta Cenerentola" ho trovato, oltre a muccaturo, cazette (calze femminili), accumparì (apparire, o anche ben figurare magari con il vestito della domenica), mmaretà (sposarsi), annuro (nudo), pettenessa (strumento per acconciature femminili), peresina (che non so che cosa significhi a meno che non ci sia un errore di stampa), mantesino (grembiule, che era pure quelo che portavamo alle elementari), papuscio (pantofola). In LLariulà di Salvatore Di Giacomo ho trovato tecchete (tieni), ninno (bimbo) e ccu tico (con te).
In una canzone della Nuova Compagnia di Canto Popolare ho trovato: facitemelle (fatemelo), auciello (uccello), 'ngappatele (prendetelo), zucà (succhiare), mugliera (moglie), scartiello (gobba), pireto (scoreggia rumorosa, mentre la loffa è un peto silenzioso, ma più puzzolente), uallarosa (cadente, moscia, rugosa, da uallera, cioè scroto), 'a copp'abbascio (di solito nell'espressione "te votto 'a copp'abbascio, ti butto giù), rriggiole (mattonelle), 'nganno (in gola).
Sono solo esempi di come sia possibile trovare parole veraci napoletane nelle canzoni più o meno vecchie.
Osservavo che il verbo "buscar" in spagnolo ha le stesse accezioni che riporta Sergio nella parlata napoletana. Le stesse le riscontro nella nostra parlata, il catalano. Anche la parola "muccaturo". Da noi, in catalano, "muccarò", in sardo " muccaroru". E osservando bene, molti dei verbi napoletani che riporti hanno radici e significato simili ai nostri. Si parte dalla radice neolatina che accomuna quasi tutte le parlate italiche che con il tempo si sono differenziate ognuna con la propria storia culturale e sociale.
RispondiEliminaMio capitano, promettetemi che non parlerete mai napoletano con me.
RispondiEliminaPromettetemelo, per favore...
bello il napoletano beato chi lo capisce Ida
RispondiEliminaOk ho bisogno di ripetizioni :-)))
RispondiEliminaPS: Capitano ti chiedo per favore di passare da me per un appello importante per aiutare una madre ad avere verità e giustizia per suo figlio.
Invito se mi permetti esteso anche ai tuoi lettori
Grazie di cuore
Daniele
splendido! un corso vero e proprio di grammatica!
RispondiEliminaio sono insonne, ma la mia insonnia va sull'esistenziale più che sul grammaticale...
è una lingua bellissima... e non solo la lingua
bluantho
Il dialetto umanizza le parole,anima le frasi.In ogni regione dovrebbero fare nelle scuole dei
RispondiEliminacorsi di lingua dialettale,per non perdere la storia,l'origine del nostro territorio.
Musicalmente bello questo post,come solo il napoletano sa essere...evviva le notti "insonni",
complimenti:)
Caro capitano, molto bello ed interessante!Mi ha molto colpito il fatto che il verbo essere ed il verbo fuggire hanno più o meno la stessa declinazione! Molto interessante, sarebbe da approfondire per capire bene come sia stato possibile questo legame. A casa ho la moglie le cui origini della famiglia sono campane (S. Maria Capua Vetere) e così ho la traduttrice sempre a portata di mano. Non ci crederai ma a Napoli sono venuto una volta soltanto! Dovrò rimediare!!
RispondiEliminaInteressante sarebbe approfondire l'essere napoletani, come si armonizza con l'essere sardi!! Mi pare una bella avventura, a prescindere tutto il resto!!
Ciao.
berardo
PS
Dai, la Cleide è impossibile che ti faccia "spostare la nervatura"! Non ci posso credere!!
bellissimo questo tuo post
RispondiEliminatornerò a trovarti perchè sono un fan della lingua napoletana (pur essendo un romagnolo)
grazie fin da ora
carlo
Grazie per l'apprezzamento Carlo, torna pure quando vuoi. anche la Romagna è una forza, ciao.
RispondiElimina