Qualche riflessione che ho fatto sulla parola “vaso” (bacio nel napoletano tradizionale, termine ormai in netto regresso se non in contesti scherzosi), mi dà l’opportunità per un più articolato rilievo sull’uso moderno del dialetto partenopeo.
Il napoletano sta cambiando, com’è naturale che sia per ogni lingua viva che assume nuovi vocaboli e ne rigetta altri non più adeguati alla sensibilità degli utenti di quella parlata. I nuovi vocaboli hanno la particolarità di rendere a poco a poco omogeneo il napoletano alla lingua italiana. Questo fenomeno non è altro che un’appendice della globalizzazione che prende piede in tutto il mondo; cioè tendono a sparire tradizioni e usi localistici col risultato di appianare tutta la cultura a un modello standard valido in gran parte del globo.
Ho già detto che l’antico “vaso” è nettamente in disuso e usato nel napoletano moderno più che altro in situazioni ironiche. La stessa sorte sta seguendo una serie di termini antichi propri della tradizione partenopea, che lasciano il campo a vocaboli più intonati all’italiano (e a mio avviso meno espressivi e belli). Stanotte riflettevo su alcuni di questi termini che cadono in disuso.
Per esempio c’è il verbo ‘nfonnere (bagnare) che cede il passo al più moderno bagnà (io già molti anni fa mi rifiutavo di dire che uscendo sotto la pioggia mi ero ‘nfuso). ‘O chianchiero e ‘a chianca arretrano di fronte a macellaio e macelleria, arretra pure il “don” di eredità spagnoleggiante con cui ci si rivolge ai signori chiamandoli per nome. Ecco ancora un’altra serie di termini che sono in fase calante, sia pure in certi casi ancora vivi nell’accezione scherzosa: segue tra parentesi la traduzione italiana che è lo stesso termine adoperato nel napoletano moderno senza pronunciare la vocale finale.
Alleggerito (digerito), nenna (bambina, il termine è ancora usato in contesti vezzeggiativi), ciato (fiato), crisommola (albicocca), purtuallo (arancia), perzeca (pesca), addumannato (domandato), allero (allegro), casciulella (cassetta), denocchie (ginocchia), caiola (gabbia), ‘ntrasatte (all’improvviso), palomma (farfalla), propeto (proprio), ciorta (fortuna), puteca (negozio), suoccio (uguale).
Anche i nomi delle persone subiscono lo stesso fenomeno di spersonalizzazione delle tradizioni. Oltre al fatto che i nomi assegnati ai nuovi napoletani sono i Marco, i Manuel e le Alessia e le Valeria che furoreggiano nel resto d’Italia... se per caso hai un Antonio lo chiami Tony e non ‘Ntuono, se hai un Gennaro sopravvissuto lo definisci Genny, non Ennà, Assunta è Susy e Anna non è certo Nannina. Austino, Vecienzo, Gerozzo, Tatore, Marittiello, Cuncettì, Puppenella, ‘Mmaculata, Franchetiello… dove sono finiti tutti questi nomi?
Ormai a Napoli si apre una scatola e non una buatta, si prende una pentola e non una caccavella, sferri un pugno e non una cagliosa. E se hai delle monete le metti nel salvadanaio, mica nel carusiello. Se ti voglio far ridere, ti faccio il solletico, non ti ciculeo. I bambini napoletani moderni non raccolgono ritrattielli, ma figurine, non giocano con le pazzielle, ma con i giocattoli, possono essere invidiosi e non mmiriusi e infine, se devono dar fuoco alla casa, usano i fiammiferi e non i micciarielli.
Quelli che riporto, si sa, sono solo alcuni esempi di un più vasto fenomeno di avvilimento linguistico del dialetto napoletano (come di altri dialetti).
Riflessione finale. Nello scrivere l’ultimo post in dialetto, quello intitolato “Damme nu vaso primma ca moro”, spesso sono stato a disagio. I termini che mi salivano alla bocca erano spesso simili a quelli italiani (fenomeno di livellamento che peggiorava a causa della cattiva resa scritta dell’idioma napoletano di cui ho già parlato altrove). Io invece volevo che fosse visibile la forza espressiva peculiare e unica del mio dialetto, cioè della mia lingua.
Ho già detto che l’antico “vaso” è nettamente in disuso e usato nel napoletano moderno più che altro in situazioni ironiche. La stessa sorte sta seguendo una serie di termini antichi propri della tradizione partenopea, che lasciano il campo a vocaboli più intonati all’italiano (e a mio avviso meno espressivi e belli). Stanotte riflettevo su alcuni di questi termini che cadono in disuso.
Per esempio c’è il verbo ‘nfonnere (bagnare) che cede il passo al più moderno bagnà (io già molti anni fa mi rifiutavo di dire che uscendo sotto la pioggia mi ero ‘nfuso). ‘O chianchiero e ‘a chianca arretrano di fronte a macellaio e macelleria, arretra pure il “don” di eredità spagnoleggiante con cui ci si rivolge ai signori chiamandoli per nome. Ecco ancora un’altra serie di termini che sono in fase calante, sia pure in certi casi ancora vivi nell’accezione scherzosa: segue tra parentesi la traduzione italiana che è lo stesso termine adoperato nel napoletano moderno senza pronunciare la vocale finale.
Alleggerito (digerito), nenna (bambina, il termine è ancora usato in contesti vezzeggiativi), ciato (fiato), crisommola (albicocca), purtuallo (arancia), perzeca (pesca), addumannato (domandato), allero (allegro), casciulella (cassetta), denocchie (ginocchia), caiola (gabbia), ‘ntrasatte (all’improvviso), palomma (farfalla), propeto (proprio), ciorta (fortuna), puteca (negozio), suoccio (uguale).
Anche i nomi delle persone subiscono lo stesso fenomeno di spersonalizzazione delle tradizioni. Oltre al fatto che i nomi assegnati ai nuovi napoletani sono i Marco, i Manuel e le Alessia e le Valeria che furoreggiano nel resto d’Italia... se per caso hai un Antonio lo chiami Tony e non ‘Ntuono, se hai un Gennaro sopravvissuto lo definisci Genny, non Ennà, Assunta è Susy e Anna non è certo Nannina. Austino, Vecienzo, Gerozzo, Tatore, Marittiello, Cuncettì, Puppenella, ‘Mmaculata, Franchetiello… dove sono finiti tutti questi nomi?
Ormai a Napoli si apre una scatola e non una buatta, si prende una pentola e non una caccavella, sferri un pugno e non una cagliosa. E se hai delle monete le metti nel salvadanaio, mica nel carusiello. Se ti voglio far ridere, ti faccio il solletico, non ti ciculeo. I bambini napoletani moderni non raccolgono ritrattielli, ma figurine, non giocano con le pazzielle, ma con i giocattoli, possono essere invidiosi e non mmiriusi e infine, se devono dar fuoco alla casa, usano i fiammiferi e non i micciarielli.
Quelli che riporto, si sa, sono solo alcuni esempi di un più vasto fenomeno di avvilimento linguistico del dialetto napoletano (come di altri dialetti).
Riflessione finale. Nello scrivere l’ultimo post in dialetto, quello intitolato “Damme nu vaso primma ca moro”, spesso sono stato a disagio. I termini che mi salivano alla bocca erano spesso simili a quelli italiani (fenomeno di livellamento che peggiorava a causa della cattiva resa scritta dell’idioma napoletano di cui ho già parlato altrove). Io invece volevo che fosse visibile la forza espressiva peculiare e unica del mio dialetto, cioè della mia lingua.
che carina questa tua crociata salvanapule'!:) ti sostengo...
RispondiEliminapostato da cLAuDIa il 03/10/2006 15:18
L'unico dialetto che ho imparato è quello di mia madre, l'istriano, ben lontano dalle sue radici ma poichè parlato in un'isola linguistica più ancorato alle sue origini. Un sorriso e... la tua città è meravigliosa! ciao barbara
postato da barbara il 03/10/2006 16:04
e per me ci sei riuscito a dare espressivita alla tua poesia in napoletano..da me invece non ci sonodialetti particolari...bah..comunque è vero il dialetto decade. in favore di una lingua comune..è un pò triste...la tua poesia era è ...veramente espressiva e bella. e poi la parola vasa" è bellissima...per dire baciare....sopratutto se cantata... ciao....amico.buon inizio pomeriggio.i.(sorrido)
postato da iris il 03/10/2006 16:28
Come si fa a perdere la Passione, Mio Capitano? E' un Fuoco che mai si spegne...;) Non basta certo il tuo dieci per cento, a meno che non infiammi, divori e divampi con un'intensità strabiliante! Il che è pure possibile! O no? Un bacio a te! A presto.
postato da Michelle il 03/10/2006 16:48
Ti faccio una domanda, Capitano. Questa tendenza è diffusa solo tra i giovani, oppure con i tuoi amici continuate a parlare il dialetto della vostra infanzia? Io, ad esempio, dico ancora "carega" (sedia), "picarin" (appendino), m'interessa 'sta cosa. A Trieste la situazione è uguale o perlomeno sovrapponibile; sono straordinari i neologismi degli arricchiti, per esempio, che vogliono parlare "in lingua" (intendendo in italiano) ma finiscono ad assomigliare alla caricatura di Christian De Sica. Ciao!
postato da Amfortas il 03/10/2006 17:18
questa globalizzazione ci sta inghiottendo,regalandoci cioccolata senza cacao,magari qualche pizza più "igienica" cotta nei forni elettrici e poi chissà,anche qualche bella e melodiosa canzone della tradizione napoletana "rivisitata e corretta" da una lingua comune e uccisa nell'animo delle sue parole!
postato da elle il 03/10/2006 17:51
La domanda dell’inclito amfortas merita una risposta appropriata. Dunque i cambiamenti di cui parlo nel modo di comunicare dei napoletani(cioè la costante italianizzazione del dialetto-lingua) in quali classi sociali o di età si verificano? Le differenze si manifestano prima di tutto in ambito culturale. Cioè le persone del ceto sociale cosiddetto basso tendono a parlare ancora un dialetto più conforme alle tradizioni napoletane. Queste persone (spregiativamente definite “vasciauoli”, cioè abitanti dei bassi napoletani e quindi persone incolte) adoperano molti termini disusati in altri ambienti e soprattutto adottano una mimica facciale e un accento tipico del napoletano classico. Hanno cioè i modi e la parlata “verace” che io stesso non saprei riprodurre. Purtroppo questo modo di esprimerti ti espone alla totale disistima di chi ti ascolta (perfino io quando ascolto qualche conversazione fatta secondo questi canoni penso che la stiano facendo degli sfortunati “vasciauoli”). E’ assolutamente questo che porterà, col tempo, alla morte o meglio all’agonia del dialetto napoletano, la mancanza di consenso che suscita negli altri. E noi sappiamo che il cercare di apparire interessante, attraente e se possibile colto è la principale occupazione dell’animale uomo. Sulla diffusione del dialetto tra i giovani forse dovrei essere più chiaro. Nel mio quartiere e altrove il dialetto è ancora la forma nettamente predominante anche tra i giovani (ho detto che i miei nipoti che conoscevano solo l’italiano hanno avuto dei problemi a scuola perché visti come oggetti estranei, anche se ciò vale più per il maschio che per la femmina). I giovani parlano in dialetto, ma è il dialetto meno ancorato alla tradizione di cui ho parlato. Anche qui valgono le differenze culturali e sociali. I ragazzi di buona famiglia intervallano il dialetto con lunghi brani in italiano, quelli di ceto meno colto si adeguano ancora alla parlata verace (sono quelli che ascoltano le canzoni napoletane del genere cosiddetto neoromantico, cioè il genere musicale che annoverava tra i suoi esponenti, i Gigi D’Alessio e Finizio: interpreti che non a caso ora cercano di sfondare con la canzone italiana). Generalmente sì, amfortas, le persone di una certa età tendono ancora ad adoperare anche in maniera seria, termini desueti come crisommola o chianchiero. Io per parte mia, già l’ho detto in un altro commento, ho sempre cercato di rifuggire da certi vocaboli della tradizione. Per esempio mi rifiutavo di dire cascia per cassa e tuttora detesto dire che non “alleggerisco” (digerisco). Mio fratello, quello che mi porta i dvd da vedere e che lavora in un ambiente con molti camionisti, spesso se ne esce fuori serio serio con certi antiquati termini napoletani che ci fanno ridere tutti. L’ultima di questo lungo commento. Devo ribadire lo stupore assoluto che provai poco tempo fa quando vidi due ragazzini-scugnizzi parlare tra loro in italiano (non lo facevano per farsi belli con gli altri, stavano soltanto scambiandosi delle frasi). Anche se i ragazzini del mio quartiere continuano a parlare in napoletano, quell’evento mi ha scioccato. Più o meno mi sono sentito come un cittadino di Roma vedendo i barbari alle porte. E’ un mondo che finisce. Ora però devo uscire a comprarmi un paio di scarpe (cioè “M’aggia accattà nu paro e scarpe”). Saludos a todos. :-))
postato da Mio Capitano il 03/10/2006 18:45
Ti ringrazio della risposta, molto interessante. Ti ho fatto quella domanda perchè, qualche volta, vedo che c'è una sorta di "snobismo", quanto mai fuori luogo, nei confronti di chi non parla un buon italiano e si esprime "solo" in dialetto: voglio dire, a me è capitato di "vergognarmi" per come si esprimevano alcune persone, capisci quello che intendo? Una specie di disagio che presume una mia (nostra) superiorità nei confronti di chi non ha avuto la fortuna di studiare un po'. Trovo che sia un sentimento schifoso, un atteggiamento superficiale e censurabile, eppure, ci ricasco con una certa frequenza. C'è di buono che mi rendo conto della mia idiozia e che cerco di migliorare. Ciao :-)
postato da Amfortas il 03/10/2006 19:17
buonasera penultimo..salviamo il dialetto di tutti i paesi del mondo perchè il dialetto è la nostra storia e la nostra cultura..si ad una lingua italiana corretta...per quanto possibile..si allo studio dialettale per non perdere il gusto di assaporare ancora anche in futuro la nostra storia scritta..circa un mese fa ho preso una bellissima edizione del Belli in dialetto tradotto in inglese..per me è stato un piacere leggere in dialetto e per l'inglese sarà un piacere leggere la traduzione dal testo in dialetto.. ho preso un incisione scritta in lingua araba dialettale, è stato interessante discutere di essa con diverse persone che parlavano l'arabo fino a trovare chi realmente riusciva a tradurre..il dialetto napoletano ha radici molto profonde..sopravviverà perchè fa parte proprio di una cultura troppo vasta dal cinema alla letteratura alla poesia..pochi i dialetti italiani che vantano una storia così ricca..un saluto..buonanotte...PS:grazie..
postato da Aikido il 04/10/2006 00:51
Devo dire la verità? Questo post mi piace. Nel senso che mi pare uno di quei post che possono rimanere parecchio tempo in evidenza senza bisogno di nuovi articoli che li sostituiscano. Mi piace pure la fotografia di Troisi che ci ho messo sotto. Penso proprio che lascerò questo post per un po' di tempo, tanto più che al momento non ho voglia di scrivere roba nuova. Buena noche por todos los companeros.
postato da Mio Capitano il 04/10/2006 01:57
Dopotutto il buon Massimo Troisi non resisterà tanto a lungo quanto avevo previsto. Sto scrivendo un post di argomento ironico che mi pare ben fatto. Diciamoci la verità, io sono davvero bravo quando scrivo un certo tipo di post mordace. Direi perfino che a volte sono diabolicamente efficace, scusate l’immodestia. Se fossi bravo a sedurre donne virtuali soltanto la decima parte di come scrivo certi post mordaci, a quest’ora avrei harem pieni di donzelle incorporee disposte a concedermi le loro grazie a ogni costo. L’articolo sarà pronto non prima di domani quindi potete ancora godervi il napoletano. :-))
postato da Capitano il 04/10/2006 16:13
massimo troisi è un grande... ricordo a memoria certi suoi dialoghi e ne faccio ironia continuamente nella vita quotidiana...un grande!!!!!!!!!!!!!!ciao mio capitano...allora al prossimo post...mordace!!un sorriso.
postato da iris il 04/10/2006 17:00
Ciao o Penultimo dalle partenopee radici. Ti posso dire che purtroppo l'annacquare il dialetto con l'italiano è una procedura non limitata a Napoli, ma diffusa un po' in tutta Italia. Da me per esempio, dove la prima lingua è l'idioma triveneto (se vai in banca, prima ti chiedono cosa vuoi in dialetto, poi se vedono che non capisci in italiano) c'è una differenza abissale tra il dialetto pronunciato diciamo da un sessantenne e uno della mia età, e ancora di più verso i globalizzatissimi bimbi. Si nota proprio la perdita del colore, del sapore quasi... è un po' triste. Certo, c'è il vantaggio che io non avrei bisogno di sottotitoli per capire quello che dicono gli scugnizzi di Napoli ora come tu non dovresti assumere un traduttore per capire le frasi pronunciate da un "bocia" delle mie parti, però non ne sono particolarmente contento.
postato da Colui che Vede Oltre il 04/10/2006 18:11
La levità che nasce dalla gravità....sono allegra e molto ironica in effetti! Il blog lo utilizzo per lavorare su alcuni aspetti della mia personalità, tentando di confrontarmi con altre persone e di analizzarmi. ma almeno nei commenti qualche battuta..ci scappa! Baciozzi.
postato da Ran il 04/10/2006 19:42
Tema molto interessante e tu lo esponi bene. Vedo che in molti scrivono che nelle loro città/regioni la situazione è simile. Peccato.
postato da ariela il 04/10/2006 20:08
ciao mio cap! sono passata a dirti ciao e anche che nn sono morta! ciao nn sono morta un bacettooooooooo
postato da jovelly il 04/10/2006 20:18
Sei il mio Capitano
postato da The White il 04/10/2006 21:45
E' un dialetto simpatico e antico,non preoccuparti,non potra' mai morire...ciao
postato da giampaolo il 04/10/2006 22:16
Anche a me piace questo post. Vasi, filo
postato da filo rosso il 04/10/2006 23:48
Ciao Mio Capitano. Ho letto i tuoi post sul dialetto napoletano. Devo purtroppo concordare con quelli che affermano che con il passare degli anni si vanno via via sempre più cancellando le origini della nostra "parola", cioè i dialetti. Ricordo i tanti vocaboli dei miei nonni (romani doc) ormai in disuso, e questo è un peccato: persica (pesca), bricocola (albicocca), cerasa (ciliegia)... e via dicendo. Chissà perchè poi mi vengono in mente tutti nomi di frutti? Aspetto di leggere il tuo post mordace. Buona notte Capitano
postato da Mary il 05/10/2006 00:11
Stasera vi parlerò della mia cacca, gentili amici del blog. Perché la mia cacca (non dirò profumata perché in effetti puzza parecchio) ha a che fare con i fenomeni linguistici che affronto nel post. Dunque ho un vecchio volume di galateo linguistico. Sono vecchi articoli di uno studioso di comunicazione di "Paese Sera" (giornale che non so neppure se sia ancora in edicola) riuniti in un libro che non toccavo da almeno un ventennio. Il libro parla di buon gusto nello scrivere, risolve dubbi linguistici, sferza i cattivi vezzi di giornalisti o semplici utenti della nostra lingua. Pochi giorni fa dovevo andare in bagno, me la stavo quasi facendo nei pantaloni. Però io se non leggo qualcosa mentre mi spremo non sono tranquillo, quindi ho preso il primo libro capitatomi sotto mano, guarda caso il galateo linguistico di cui si è detto (l'autore si chiama Raffaello Ferruzzi in arte Quintiliano). Vi interesserà sapere che leggendo il testo in oggetto mi sono sfogato alla grande sul water, approfondendo alcuni importanti questioni di sintassi e grammatica. La cacata, perdonate la licenza, mi è venuta così bene che ho deciso di ripetere la lettura svolgendo la stessa operazione. Mi sono già sfogato diverse volte in bagno, ma ahimé il fine testo grammaticale è quasi finito. E adesso, mi chiedo disperato, come la metterò sul water?
postato da La mia cacca non profuma il 05/10/2006 01:20
Sono entrata ad occhi chiusi...non ho visto il post sopra, no! Vedo invece una Loren d.o.c e un Massimo che è il massimo! Ciao Capitan Pierino...
postato da matrix il 05/10/2006 19:52