
La ricerca della felicità sembra essere il principale fine esistenziale dell'essere umano. Tutti gli individui appaiono bramosi di procacciarsi brandelli di felicità o di appagamento duraturo, che siano essi determinati dall'amore, dalla ricchezza, dal potere, dalla fama o da altri fattori. Alcuni personaggi bizzarri si sottopongono persino a complessi procedimenti di autosuggestione - inquadrati in filosofie più o meno orientali, anch'esse bizzarre - per convincersi che sono già felici con ciò che hanno o che non hanno (il che sembra un modo per autoconvincerti che ti chiami Bartolomeo e non Ciccio Formaggio). Dovunque si disquisisce se la strada più fruttuosa per giungere all'appagamento interiore sia l'Avere o l'Essere, o persino il Sembrare, che qualche volta può risultare una strategia comportamentale più adeguata, giacché come già ricordava Machiavelli "Ognuno vede quel che tu pari, non quel che tu se'". Cosa mi conviene fare per stare bene e ostentare al mondo la mia felicità? si domandano la romantica adolescente sui banchi di scuola e il maturo gaudente che quella adolescente concupisce dalla cattedra di professore. Mi conviene innamorarmi? Certo, l'amore è sempre una scelta conveniente in tema di autogratificazione. Mi conviene studiare, giocare a pallone, essere conformista, imparare a nascondere gli assi nella manica o, magari, scrivere un romanzo?
In questa folle, scomposta corsa universale verso l'autogratificazione, nessuno pare mai domandarsi: ma la felicità è una buona cosa? E' giusto, opportuno, desiderabile che io o un'altra persona siamo soddisfatti e appagati?
La risposta è probabilmente no. La felicità non è per niente una buona cosa, soprattutto osservando questa condizione psicologica da una prospettiva speciale. Potrebbe anzi essere la peggiore iattura per l'umanità. Il piacere e la gioia prolungati potrebbero persino risultare una specie di crimine da cercare in tutti i modi di combattere e di contenere entro i minimi livelli compatibili con l'organizzazione sociale. Anzi, è esattamente ciò che ha fatto l'evoluzione. Ha innalzato precise barriere intorno alla possibilità dell'essere umano di godere e gioire, perché ogni volta che qualcuno gioisce troppo l'umanità registra un piccolo smacco. La felicità, alla fin fine, potrebbe essere una specie di cancro, cioè una malattia nefasta, ma necessaria al ricambio generazionale e quindi mentale della società.
A presto con altre riflessioni su questo tema.