La bambina guarda la goccia d'acqua che scorre sul vetro della sua stanzetta. Fuori piove. Le stille inclinate d'acqua si tuffano in pozzanghere illuminate dai lampioni creando effetti suggestivi. Il crepitio della pioggia è come una musica che ti spinge a fantasticare. Lo stesso fanno i fischi del vento e i coni di luce delle auto che sulla strada laggiù rischiarano scrosci d'acqua come riflettori di teatro. Cosa farò da grande? si domanda la bambina. Che lavoro farò, come mi vestirò, classico o sportivo, metterò perline anni Cinquanta o piercing, quali persone frequenterò e, soprattutto, conoscerò pure io quella cosa di cui si parla dovunque, nei film o nei talk show televisivi? Conoscerò l'amore, quello vero, quello che ti stringe qui dentro, quella cosa che rende ragazze e signore così svagate e allegre, che dipinge i loro visi del colore della pesca matura? E gli occhi! si dice la bambina guardando la goccia d'acqua che scivola sul vetro inglobando altre stille sul suo cammino, ora rallentando e ora accelerando. Avrò pure io gli occhi luminosi che hanno le ragazze più grandi quando parlottano sottovoce del loro lui con le amiche, mezzo invidiose e mezzo ammirate? Voglio avere pure io quegli occhi. Devono essere grandi e lucidi, con le pupille dilatate, e voglio che magari splendano nell'oscurità come quelli dei gatti. Quanto tempo dovrò aspettare? La ragazza della porta accanto ha solo quattordici anni e ha già gli occhi giusti. Quando ti guarda si illumina tutta. Voglio pure io gli occhi dell'amore!
La goccia di pioggia ormai ha completato la sua discesa sul vetro della finestra, ma ce ne saranno altre. "A che stai pensando, cara?" domanda una voce dalla cucina.
"A quando sarò grande, mamma", risponde la bambina alitando sul vetro. Nella porzione di vetro appannato, disegna col dito un paio di occhi mentre sorride.
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