Quante persone felici conoscete? Probabilmente non molte. Vediamo, c'è la ragazzina del piano di sotto che ha un altro amoruccio e spande miele dovunque e pure il salumiere all'angolo di recente canta più forte del solito, si è iscritto persino a una scuola di ballo latino-americano; ma andandocene a spasso per il mondo non ci pare di imbatterci in moltitudini gaudenti e appagate. E voi siete mai stati felici? Certo che sì, lo sono stati tutti. Ma per quanto tempo siete stati con il sorriso stampato sulle labbra o con il cuore gioioso? Probabilmente non per molto tempo. Un paio di settimane l'anno scorso e qualche buon momento l'avete passato pure quest'anno alla faccia di tutti gli oroscopi che prevedevano peste e corna per il vostro segno zodiacale. Ora facciamo un esperimento. Accendete la televisione. Guardate un telegiornale bombarolo o un talk show caciarone. Da quelle trasmissioni direste che la felicità è una condizione diffusa del nostro modo di vivere o non vi pare piuttosto trattarsi di un'eccezione? In effetti pare vera la seconda interpretazione. Ma perché in giro allora si vede così poca gente felice?*
A meno che non sia un caso, bisogna dedurre che la gente non sia pienamente felice perché essere felici troppo a lungo è una condizione contraria a qualche legge fondamentale del comportamento umano. Vediamo di chiarire. Come è noto alcuni comportamenti utili alla sopravvivenza dell'individuo o della società sono stati premiati dall'evoluzione, che ne ha favorito la diffusione nel genere umano. Allo stesso modo sono stati puniti atteggiamenti risultati negativi o controproducenti per la nostra specie. Dispensatrice di carezze e schiaffi psicologici, la selezione naturale in un certo modo agisce sull'individuo come il padrone opera sull'asino. Con saporite carote quando trasporti di buona lena la tua soma senza ragliare troppo, con vigorosi colpi di bastone quando ti impunti su un sentiero bloccando la circolazione. Gli zuccherini con cui l'evoluzione premia l'asino umano quando si conduce secondo schemi comportamentali giudicati convenienti sono diversi, il più efficace dei quali va senza dubbio sotto il nome di felicità. Le bastonate sono anch'esse molte e di varia natura, tra cui quella nota della depressione.
Ci innamoriamo di un nuovo partner, superiamo un esame a scuola, otteniamo un consistente scatto nello stipendio, riusciamo a far sì che il nostro partito politico prevalga sugli altri? Tutte ottime cose, decide per così dire l'evoluzione, che migliorano la sopravvivenza nostra o del nostro sistema sociale di riferimento. Quindi eccoti una bella pillola di felicità per premiarti per come fai il civile e educato somaro (poco) ragliante. Ci facciamo lasciare dal nostro partner, prendere a calci in culo dal vicino di casa, licenziare o degradare sul lavoro, perdiamo le elezioni con il nostro partito e la finale di Coppa dei Campioni con la nostra squadra del cuore? Male. Eccoti, stupido somaro che non sei altro, una bella dose di depressione on the rocks.
Tuttavia, lo sappiamo, nemmeno chi persegue con scrupolo comportamenti virtuosi o vantaggiosi (nel senso inteso in questo post) è felice senza interruzioni. Come mai? Perché la felicità genera due sciagurati fenomeni: l'assuefazione e l'appagamento. L'assuefazione mette un preciso limite alla tua capacità di godimento interiore. Così come accade per i tossicodipendenti, per provare gli stessi intensi stimoli di prima l'aspirante alla felicità deve continuamente aggiornare e intensificare i suoi comportamenti vantaggiosi o ritenuti tali. Questo significa che egli deve procacciarsi nuovi partner sessuali, più guadagni economici, più cultura o potere solo per essere felice come era qualche tempo prima disponendo solo di due cuori e una capanna. L'assuefazione alla felicità è un artificio esistenziale indispensabile affinché l'individuo non cada vittima dell'appagamento. Infatti se uno è già felice che motivo avrebbe di continuare ad agitarsi, creare, studiare, migliorarsi, cercare di guadagnare, innamorarsi o fregare il prossimo? Se a un asino assicuri una scorta inesauribile di carote, perché dovrebbe seguitare a trascinare la soma su accidentati percorsi di montagna?
Non disperatevi perciò se non siete felici. La stabile e diffusa felicità è una condizione forse incompatibile con la società e lo sviluppo umani. Un osservatore estraneo ai fatti terrestri potrebbe addirittura azzardare che è una specie di malattia. In realtà si potrebbe dire che la peggiore società immaginabile, la vera antiutopia è quella in cui tutti gli uomini sono appagati e gioiosi, sarebbe una catastrofe.
* Per felicità si intende, si sa, qualsiasi condizione psicologica appagante basata su fondamenti solidi e diffusa su un periodo sufficientemente lungo, altrimenti dovremmo definire felice chi si spara una pasticca di ecstasy.
lllll ,,,,,lòòò
RispondiEliminaImmagino che il precedente commento abbia un senso, vero?
RispondiEliminaHo sentito una volta in un film questa affermazione "Forse non puoi tenere la felicità fuori dalla tua vita come non puoi tenerne fuori la tragedia.."
RispondiEliminaLa vita è fatta di un susseguirsi rapidi di eventi e condizionamenti esterni che agiscono sul nostro animo come catalizzatori o repulsori di quel tale status definito "felicità". Anyway io son convinta che c'è una cornice entro cui si muovono i nostri sentimenti e i nostri stati d'animo.. definirei questa la sostanza del nostro cuore... Se l'intimo nostro è felice o meno lo sappiamo, aldilà delle circostanze esterne.
Del resto spesso mi capita di esser *triste* per determinate circostanze e poi rendermi conto che questa stessa *tristezza* spesso si trasmuta da sé in qualcosa di profondo e incontenibile, in qualcosa di gioioso..
Come se tristezza e felicità fossero due lati della stessa medaglia... e in fondo non potremmo apprezzare fino in fondo l'una senza l'altra.
postato da demi4jesus il 15/03/2008 22:45
la felicita dura unattimo unattimo eterno.
iris.
ciao franz...se vuoi scrivimi in privato.
un bacio e serene cose
iris.m
postato da iris il 04/03/2008 21:29
Capitano, mio capitano, queste vesti da Leopardi Underground sono insolite ma ti calzano a pennello!
Le tue parole non sono tanto lontane dalle riflessioni di due geni: il primo, già citato, il Leopardi della "teoria del piacere"... il secondo, il mitico Schopy, Arthur Schopenhauer.
;)
Baci filosofici, ma non troppo
Lady Laura
ps. dimenticavo: io sono felice, da un bel po'; chiamami fessa, ma non vedo perché dovrei togliermi il sorriso dalla faccia, se è proprio quello che mi fa andar bene tutto..
postato da Laura il 04/03/2008 21:05
Si la felicità vissuta come ricerca costante di un chimismo che alza il tono dell'umore è piccola e riduttiva cosa.
Io penso che essere uomini, ha insito il procacciarsi la felicità, perchè ci permete una più appagante sopravvivenza, non vita attenzione, che tutto questo sistema è lì creato per ricercare la ripetizione della specie e la sua sopravvivenza.
Ciao a tutti.
postato da arial il 04/03/2008 17:59
Beh, senza alcuna piaggeria nei tuoi confronti, devo dire che il tuo commento mi ha veramente regalato un momento di grande soddisfazione (vogliamo chiamarla felicità?).
So che sei sincero e, quando occorre, anche aspro e quindi tenevo molto al tuo giudizio. Temevo di essere stato un po' noioso. Se non è stato così ne sono ben lieto.
Grazie Cap.
postato da sergio il 04/03/2008 17:33
Giustissimi i concetti di assuefazione e appagamento. Io però li applicherei più alla situazione di benessere che a quella di felicità. La felicità, come giustamente fai notare in altra parte del post, è uno stato d'animo di breve durata, un fascio di luce che ti inquadra per qualche minuto o qualche ora e poi, lentamente, si attenua e svanisce.
Chissà, forse ingropparmi qualche teutonica a Rimini avrebbe potuto darmi qualche altro momento di felicità, ma ahimè, il fisico e la timidezza non me l'hanno mai consentito :-)))
postato da sergio il 04/03/2008 13:34
Comunicazione di servizio. Ho pubblicato un post sul blog della collana in cui appare il mio romanzo. Chi vuole può leggerlo a questo indirizzo:
http://phobos-imero.blogspot.com/
postato da mio capitano il 04/03/2008 12:25
non mi trovi molto daccordo, diciamo che lo stato mentale di felicità o infelicità è determinato dalla percezione che abbiamo del mondo in quel istante. lo zen ci apre i canali percettivi, si sente il mondo, non è felicità, ma illuminazione, la vera strada da cercare. un saluto zenniano ;)
postato da emi il 04/03/2008 12:01
Il tossicodipendente che si è appena iniettato la dose è felice di sicuro altrimenti non prenderebbe quella roba che gli massacra il fisico e lo porta lentamente alla morte.
Io tossica non sono, beh si fumo, e anche quella è una forma di droga. Fumare mi rilassa, se sono nervosa fumo di più, fumare quando sono ansiosa mi da un senso di calma. :)
Tossica non lo sono nemmeno della vita e della felicità che ogni tanto si affaccia al mio balcone. Se la vedo questa felicità la aspiro come una sigaretta ma a differenza della sigaretta non ne cerco altra.
La felicità non la aspetto, non frugo negli eventi in cerca di felicità. Cerco di essere serena per quanto è possibile poi se una ventata di freschezza felice arriva, bene, altrimenti è lo stesso. Non voglio vivere cercando qualcosa che non esiste, gli esseri umani non sono destinati ad essere felici anche perchè sono cosi' intenti a cercare lo stato di grazia che quando arriva non se ne rendono conto e se, se ne rendono conto ne vogliono altro e altro e altro ancora non si accontentano e il non accontentarsi mette in moto un circolo vizioso e pericoloso... sono felice ora vorrei essere felice sempre non mi accontento di ora cerco ancora felicità non la trovo e ritorno ad essere infelice.
Con questo non voglio dire che bisogna accontentarsi anzi non accontentarsi è il motto della mia vita ma poi non ci si deve lamentare se non si è felici tutto il tempo. Non accontentarsi significa rischiare, mettersi in gioco e nel mettersi in gioco arrivano sofferenze, dolori, sconfitte ma anche gioie. Quando le gioie arrivano si prendono e si assaporano poi finiscono e la vita continua.
E' la serenità a cui si deve aspirare e niente altro.
Sereni per essere sani e in salute, sereni per poter vivere e fare le nostre scelte.
Basitteddu
Su Adriano Sofri e il suo commento... mi hai dato uno spunto per il prossimo post :)
postato da celia il 04/03/2008 10:34
Commentin commentino.
elle, dato che abbiamo accertato che le api sono felici, trallallero trallalà, non ci resta che trasmigrare nel corpo di una vispa Teresa, za-zà. :-)
Dona, trarre felicità dai ricordi? Non credo di esserne capace. Un paio di giorni fa però un ricordo mi ha reso felice. Rammento nitidamente che contavo grossi pacchi di banconote da cento euro. Riempivano una sala come un deposito di Paperon De' Paperoni e io usavo le cataste di banconote come poltrone. Poi la felicità è sparita perché mi sono reso conto che era solo un sogno. Oh Yeaahhhh.
mami, oh mami, oh mami mami blue, oh mami blue, dove sei mami? (Da Johnny Dorelli)
Cleide, Io son sicuro che, per ogni goccia, per ogni goccia che cadrà un nuovo fiore nascerà e su quel fiore una farfalla volerà (ancora da Johnny Dorelli).
Isy, siamo tutti tossici della felicità, pochi se ne rendono conto.
MjB, la felicità è una chimera, quindi smettiamola di pensare a noi come al Vissero felici e contenti per il resto della vita.
postato da mio capitano il 04/03/2008 09:51
Quando penso alla felicità,mi viene sempre in mente questa piccola grande poesia di Trilussa: "C'è un'ape che se posa su un bottone de rosa: lo succhia e se ne va... Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa."
Gia, la felicità è una piccola cosa,un attimo,un puntino caldo e colorato che ci rimanda alle stelle,che ci appaga e in quell'attimo ci sembra di non poter desiderare altro tanto da credere di averla trovata per sempre...e quando poi capita di rimettere i piedi per terra,eccoci ritrovarci ancora a caccia di felicità...
postato da elle il 04/03/2008 09:04
ATTIMI DI FELICITA?
Attingo felicità da piccoli gesti, da uno sguardo, da una melodia, da un? ape che si tuffa in quel fiore di pesco. Sono brevi attimi in cui tutto sembra avere un senso, per i quali hai il timore dell?abuso di una felicità così facile da provare.
Talvolta deriva da vecchi ricordi che affiorano da un immagine. L?immagine, pure essa di un tempo, nelle sfumature di un bianco e di un nero che calca i contorni. Da una piccola finestra la luce necessaria per creare magici intrecci di lane, quelle mani benedizione in anni di carestie, il volto chino, il sorriso fiero e sulle spalle anni di fatiche. Una stufa per riscaldare, cucinare, asciugare, ascoltare, per far compagnia.
Ed ecco affiorare i miei ricordi; due vecchie sedie di legno azzurre con la paglia delle sedute oramai lisa, le stesse che ridipinte dei colori dell?arcobaleno e tradizionalmente reimpagliate si trovano nella cameretta delle tue pronipoti.
Vicino alla stufa, d?estate e d?inverno, seduta sulla prima e appoggiata con braccia e volto sullo schienale della seconda hai consumato i tuoi pisolini pomeridiani. Sano divertimento nel farti solletico sotto il naso e tu a scacciare quelle fastidiose e invisibili mosche.
Gli occhiali dalle lenti spesse come il fondo di una bottiglia, appoggiati sempre in modo precario sulle gambe, il silenzio che ti avvolgeva anche in mezzo ai rumori più assordanti che nemmeno quell? apparecchio acustico così tecnologico e sofisticato è stato in grado di farti sentire.
Il lavoro a maglia sul pavimento e li accanto ?Stop? la tua rivista di sempre. Una leccata al pollice sinistro e le pagine giravano fino ad arrivare all? oroscopo in base al quale si manifestavano i tuoi acciacchi e le tue sventure.
E la stufa tua compagna di pennichella, accesa anche d?estate?perchè, d?estate, non si ha bisogno di compagnia?
E poi aprivi gli occhi, azzurri e tristi?le mani a tentoni a prendere quelle lenti, il tuo sorriso nella scoperta di avermi vicino e il bicchiere si riempiva di aranciata con uno spruzzo di merlot?proprio come piaceva a me, nonna buona.
Anche il mio commeto e' lungo (e di questo mi scuso) ma forse ci ingarbuglia meno la mente...
Perdonami o mio capitano ma per me la poesia e il ricordo sono un pozzo di felicita'
Un caro saluto
Dona
postato da Dona il 03/03/2008 15:53
io l'unica cosa che ho capito è che la felicità è un breve momento di interruzione del grigio quotidiano. Che va già bene.
postato da mami il 03/03/2008 13:26
Stimo molto Adriano Sofri ma non sono assolutamente d'accordo con la sua affermazione che so che condividi senza remore. A me pare un luogo comune e il senso di rassegnazione che lo intride non mi piace.Io credo che cavia da laboratorio è, chi cavia vuole essere.Credo che alla base della libertà ci sia la volontà.Io sono operaio perchè la mia ambizione era fare l'operaio.Se mio padre è farmacista e voglio fare il farmacista,per passione o per convenienza, faccio il farmacista. Ma posso fare l'idraulico, il panettiere o il sognatore, pur essendo mio padre farmacista.
Non sei d'accordo, lo so.:-)
postato da cleide il 03/03/2008 11:33
Stamattina ho letto due commenti, uno di Isimaro e uno di Adriano Sofri, che mi hanno fatto riflettere su chi siamo e su che diavolo ci facciamo in questa valle di lacrime. Il commento di Isimaro lo vedete, quello di Sofri, leggibile sul sito del "Foglio" di Giuliano Ferrara, dice:
"Quisque faber fortunae suae? Il figlio del presidente degli Stati Uniti fa il presidente degli Stati Uniti. Il figlio del farmacista del mio paese fa il farmacista. Il figlio del boss mafioso fa il boss mafioso. Il figlio del portuale di Genova morto sul lavoro fa il portuale di Genova morto sul lavoro."
Chi siamo, allora? Dov'è questa nostra strombazzata libertà?
Qualcuno, diciamo il solito extraterrestre estraneo ai fatti del mondo, potrebbe definirci come una sorta di topi da esperimento programmati a procurarsi determinati benefici e a evitare se possibile le scosse elettriche che li guidano lungo i percorsi del laboratorio di cui fanno le cavie. I topi credono di avere molti percorsi davanti a sé. Il laboratorio in cui fanno da cavie è vasto, ma in realtà la loro strada è già segnata. E? piuttosto facile programmare e obbligare dei topi a fare determinate azioni. A pensarci bene non è tanto difficile neppure se si tratta di topi umani.
postato da mio capitano il 03/03/2008 10:42
Buon giorno..
Beh! allora io in questo momento..
sono una tossica che ha preso della roba buonissima ed è ancora in viaggio..vediamo sino a quando..
ma in realtà non mi frega niente ..perchè ho deciso che mi godo il durante....
Cià cioa
postato da Isy il 03/03/2008 09:02
Quanto ti piace filosofeggiare.:-)
Mancano ancora due puntate per completare la quadrilogia, ti dispiace se nel frattempo non mi pongo il problema?:)
postato da cleide il 02/03/2008 19:17
Ho trovato molto interessante questo post.
Che l'assuefazione e l'appagamento sono davvero una brutta bestia.
Entri in un circolo vizioso e non c'è verso di uscirne se non dopo aver preso una bella botta.
In effetti, dovremmo guardare il mondo al contrario, smetterla di voler avere sempre la felicità massima (che arriva di rado) e cercare di trovare un equilibrio e una serenità che possono rendere la vita decisamente più sana e produttiva (per noi).
Certo è, che i picchi di gioia o di depressione, alle volte, sono difficili da eludere.
Un abbraccio.
postato da MjB il 02/03/2008 18:58
post che contengono riferimento
I. Qui in "Una malattia chiamata felicità" mi sento a mio agio...
RispondiEliminaVorrei fare una osservazione sulla definizione di felicità. Cio' aiuterà a "schematizzare" quando ben detto nel blog. Aldilà delle anche belle definizioni "metaforiche" o riferite a esseri non umani, (ma vale anche per le api).
"Per felicità si intende, si sa, qualsiasi condizione psicologica appagante basata su fondamenti solidi e diffusa su un periodo sufficientemente lungo, altrimenti dovremmo definire felice chi si spara una pasticca di ecstasy."
Valida come definizione pratica.
Se desideriamo trovare un definizione che comprenda l'insieme di "tutte le felicità", dobbiamo puntare alla sua sua origine biologico/evolutiva. In tal modo comprenderemo all'interno della sua definizione tutte le sue dinamiche (praticamente meccaniche).
Tralascerei quindi l'uso di "condizione psicologica" e "fondamenti solidi", anche se veri, per definirla mediante ciò che genera la felicità come sensazione fisica.
La Felicità è una emozione mentale transitoria di piacere che produce un momentaneo umore fisico di appagante godimento, prodotta dal cervello e altri organi, come premio al raggiungimento di una aspettativa: obiettivo generato dal desiderio, che viene percepito come conseguito. So che è troppo tecnico! Allora semplifico:
"Felicità è un umore fisico appagante, transitorio, in premio al raggiungimento di un obiettivo proveniente da desideri, inserito nella propria aspettativa."
II. Meglio: compattando usando delle "Categorie Necessarie e Sufficienti" (nozione di origine matematica) posso affermare:
RispondiEliminaFelicità = appagarsi raggiungendo una aspettativa;
La felicità come tutte le percezioni dei sensi si distingue solo in quanto variazione di uno stato umorale (rispetto quindi al prima e al dopo). E' transitoria per definizione.
Aggiungo ai lettori (addirittura!): sembra proprio che non esiste felicità possibile, al di fuori di quella della definizione. Tutti i casi che vi verranno in mente, se si interpretano correttamente i termini di derivazione evolutiva, ricadono nella mia definizione . Provare per credere...
Chi invece prende una pasticca di ecstasy (o altre droghe) è in una condizione fisica (umore di godimento?) indotta artificialmente che non si può definire felicità (se non superficialmente, confondendo il mero umore fisico con le origini mentali che producono la felicità, prodotto dell'evoluzione), non ci sono ragioni mentali nelle droghe, se non parzialmente nel desiderio/obbiettivo di penderle.
Se interessa posso darti la definizione di Amore mediante Categorie Necessarie e Sufficienti... ;-)
(Mi viene anche in mente qualcosa di specifico circa la depressione e la paura o su come essere felici più spesso possibile... )