Cos’è che dà un senso alla nostra esistenza e la rende ricca e creativa? Qual è lo Scopo – notare la maiuscola – per cui ci troviamo sulla terra? Quale sarà il futuro del mondo e degli uomini? Chiaramente sono domande basilari a cui non hanno saputo rispondere fior di filosofi, figuriamoci se possiamo credere che un semplice post risolva la questione. Comunque credo che un fatto capitatomi di recente possa farci riflettere, il che non fa mai male.
Ero andato a casa di mio nipote, il figlio della mia sorella maggiore, per aggiustargli il computer, un vecchio Pentium III che ogni tanto fa le bizze finché il qui presente Capitano non lo mette in riga con il suo tocco sapiente e delicato. Riaccompagnandomi in auto, mio nipote mi raccontava delle sue esperienze in chat. Pare che si dia da fare alla grande con quello strumento di comunicazione e pare che i suoi sforzi siano indirizzati interamente a persuadere donzelle virtuali a cedergli in temporaneo usufrutto certe regioni anatomiche di solito poco illuminate dal sole. Lo sconsiderato giovinotto si vantava di aver sedotto, tra sedili ribaltabili di automobili e luoghi affini, un numero di fanciulle da chat confinante con la dozzina. Ed elencava le sue conquiste più o meno come un reduce napoleonico declamava il suo insostituibile apporto bellico ad Austerlitz o Wagram. Lo scellerato aveva degli amici, anch’essi impegnati a usare la chat alla stessa stregua, talvolta con risultati perfino più corposi e cospicui dei suoi (leggi una maggiore collezione di scalpi femminili).
Naturalmente il vostro indegno narratore è solo un essere umano, e come tale soggetto a tutti i disdicevoli impulsi tipici dei propri simili. Ascoltando le vanterie di mio nipote, mi ha preso un’invidia manifestantesi con uno schietto verde facciale. Probabilmente mi dicevo qualcosa come: guarda sto stronzetto dall’ignoranza abissale, tromba a trecentosessanta gradi senza sforzo, come accidenti farà? Avrei preso volentieri a calci nei fondelli lo scostumato.
Poi però l’invidia è sparita di colpo, senza una ragione apparente. Ho avuto come una visione. Qui c’era mio nipote accampato dalla mattina alla sera sulla chat per copulare, in una maniera o nell’altra, con una ragazza o con un’altra. Là c’erano i suoi amici intenti nella stessa occupazione con lo stesso impegno. Ancora più in là c’erano altri ragazzi e uomini, dispiegati su decine o centinaia di chat, con lo stesso pensiero monotematico in testa. Venivano poi migliaia e migliaia di fanciulle e signore che cercavano di superare la solitudine esistenziale utilizzando lo stesso strumento di comunicazione. Mi sono reso conto che quel fenomeno era già vistoso e diffuso, ma che in futuro si sarebbe dilatato ancora di più. A un tratto la visione si è trasformata in qualcosa di più, in una rivelazione. Per cinque o dieci secondi mi è parso di sapere per filo e per segno come sarebbe stato il mondo futuro, quando computer e comunicazione virtuale si sarebbero diffusi senza limiti. Ho visto un intero pianeta che utilizzava la chat o strumenti di comunicazione simili solo e soltanto per fare sesso. Nel pianeta di quei cinque o dieci secondi la gente quasi non comunicava più nel mondo reale, nella dimensione della carne e delle ossa. Si affidava del tutto a chat e affini per procurarsi la sola cosa di cui sentiva il bisogno, cioè il sesso, giudicando questo modo di interagire più semplice, rapido ed efficace per assicurarsi la droga a buon mercato del futuro. Non si sarebbero più abbordate le ragazze per strada con scuse futili (“Non ci conosciamo già?”), ma si sarebbe attuata la stessa operazione in altre dimensioni incorporee (“Che bel nick hai!”, o più spicciativamente “Anni?… Di dove?”).
Mentre avevo questa visione, ricordo di aver pensato, per invidia o per convinzione, qualcosa che suonava come: “Che cazzo di schifo di mondo!” Ho pensato proprio così: che schifo di mondo ci aspetta.
Finito l'intermezzo contemplativo, sono tornato a chiacchierare con il mio ameno consanguineo. Gli ho detto di interessarsi pure di cose più serie, ma lui se l’è risa in stereofonia come se vaneggiassi o fossi invidioso.
Ero andato a casa di mio nipote, il figlio della mia sorella maggiore, per aggiustargli il computer, un vecchio Pentium III che ogni tanto fa le bizze finché il qui presente Capitano non lo mette in riga con il suo tocco sapiente e delicato. Riaccompagnandomi in auto, mio nipote mi raccontava delle sue esperienze in chat. Pare che si dia da fare alla grande con quello strumento di comunicazione e pare che i suoi sforzi siano indirizzati interamente a persuadere donzelle virtuali a cedergli in temporaneo usufrutto certe regioni anatomiche di solito poco illuminate dal sole. Lo sconsiderato giovinotto si vantava di aver sedotto, tra sedili ribaltabili di automobili e luoghi affini, un numero di fanciulle da chat confinante con la dozzina. Ed elencava le sue conquiste più o meno come un reduce napoleonico declamava il suo insostituibile apporto bellico ad Austerlitz o Wagram. Lo scellerato aveva degli amici, anch’essi impegnati a usare la chat alla stessa stregua, talvolta con risultati perfino più corposi e cospicui dei suoi (leggi una maggiore collezione di scalpi femminili).
Naturalmente il vostro indegno narratore è solo un essere umano, e come tale soggetto a tutti i disdicevoli impulsi tipici dei propri simili. Ascoltando le vanterie di mio nipote, mi ha preso un’invidia manifestantesi con uno schietto verde facciale. Probabilmente mi dicevo qualcosa come: guarda sto stronzetto dall’ignoranza abissale, tromba a trecentosessanta gradi senza sforzo, come accidenti farà? Avrei preso volentieri a calci nei fondelli lo scostumato.
Poi però l’invidia è sparita di colpo, senza una ragione apparente. Ho avuto come una visione. Qui c’era mio nipote accampato dalla mattina alla sera sulla chat per copulare, in una maniera o nell’altra, con una ragazza o con un’altra. Là c’erano i suoi amici intenti nella stessa occupazione con lo stesso impegno. Ancora più in là c’erano altri ragazzi e uomini, dispiegati su decine o centinaia di chat, con lo stesso pensiero monotematico in testa. Venivano poi migliaia e migliaia di fanciulle e signore che cercavano di superare la solitudine esistenziale utilizzando lo stesso strumento di comunicazione. Mi sono reso conto che quel fenomeno era già vistoso e diffuso, ma che in futuro si sarebbe dilatato ancora di più. A un tratto la visione si è trasformata in qualcosa di più, in una rivelazione. Per cinque o dieci secondi mi è parso di sapere per filo e per segno come sarebbe stato il mondo futuro, quando computer e comunicazione virtuale si sarebbero diffusi senza limiti. Ho visto un intero pianeta che utilizzava la chat o strumenti di comunicazione simili solo e soltanto per fare sesso. Nel pianeta di quei cinque o dieci secondi la gente quasi non comunicava più nel mondo reale, nella dimensione della carne e delle ossa. Si affidava del tutto a chat e affini per procurarsi la sola cosa di cui sentiva il bisogno, cioè il sesso, giudicando questo modo di interagire più semplice, rapido ed efficace per assicurarsi la droga a buon mercato del futuro. Non si sarebbero più abbordate le ragazze per strada con scuse futili (“Non ci conosciamo già?”), ma si sarebbe attuata la stessa operazione in altre dimensioni incorporee (“Che bel nick hai!”, o più spicciativamente “Anni?… Di dove?”).
Mentre avevo questa visione, ricordo di aver pensato, per invidia o per convinzione, qualcosa che suonava come: “Che cazzo di schifo di mondo!” Ho pensato proprio così: che schifo di mondo ci aspetta.
Finito l'intermezzo contemplativo, sono tornato a chiacchierare con il mio ameno consanguineo. Gli ho detto di interessarsi pure di cose più serie, ma lui se l’è risa in stereofonia come se vaneggiassi o fossi invidioso.
Dai, sei veramente speciale...gran bella storia sei riuscito a raccontare, ho perfino sorriso.Buona domenica.
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