
Vi avviso, o avventori di questo blog. Se aborrite le mutande, specie quelle delle donne, specie quelle delle giovani donne, specie quelle delle giovani donne con il potere di far salire la pressione sanguigna oltre i livelli di guardia ad alcuni reietti di noi o forse a tutti… beh, forse questo post non fa per voi e dovreste evitare di leggerlo. Qui parleremo soprattutto di mutande muliebri, che siano slip classici, culottes, o mutandine stile liceali giapponesi, firmate Roberta, infiore, Pompea o Playtex. E ci porremo, cortesi e attenti amici del blog, un fondamentale quesito a proposito di questo indumento intimo (intimo si fa per dire, come vedremo). Solleveremo un dilemma più pressante e lancinante di quello dei monologhi scespiriani. Ecco, prendete un bel respiro. Se siete pronti, io vado con Shakespeare.
Allora, le mutande che ci mostrano le adolescenti per strada (le adolescenti vere e quelle finte), sopra la vita bassa dei jeans, sono vere o no? Sono veri capi di vestiario che puoi toccare e all’occorrenza strappare trovandoti in particolari stati d’animo e avendone avute le necessarie autorizzazioni… o non lo sono? Essere o non essere? Se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli…
Insomma, ste cacchio de mutande delle guaglione moderne so’ robba ggenuina o l’ultima delle patacche rifilateci in questo agonizzante mondo di reality show?
Facciamo un passo indietro per inquadrare il problema. Orbene io sono un essere umano. Non mi catalogherei tra i più eccelsi e saggi esponenti di questo genere animale, ma dispongo di alcuni attributi dell’essere senziente se non pensante quivi evocato. Ossia sono fornito di capacità di locomozione e della facoltà di rapportarmi al mondo attraverso i cinque sensi. Il corollario della nostra allocuzione è che per strada, utilizzando uno dei suddetti sensi, posso guardarmi intorno mentre deambulo.
La domanda scontata è: cosa vedo in strada? Ma niente, le solite cose! Automobili intrappolate nel traffico, grigi palazzoni metropolitani, cassonetti di immondizia non ritirati… ah, quasi scordavo, come tutti vedo pure un mucchio di mutande. Ne visiono a decine per passeggiata, forse a centinaia. Mi riferisco, sagaci amici del blog, a quella striscia di stoffa, di spessore variabile dai due ai venti centimetri, che fuoriesce dalla vita bassa dei jeans in voga tra le adolescenti. Tra l’altro ho notato che l’occhio tende a posarsi con maggiore frequenza su quella striscia di stoffa che su altri soggetti visivi. Ho rilevato inoltre che detta osservazione è associata a fenomeni metabolici bizzarri, quali un’accentuata cadenza respiratoria e una certa fissità dello sguardo coeva di un aumento della temperatura basale. Ma basta, è già tempo della riflessione successiva.
Dunque avevo sempre pensato che le giovani mutandine che vedevo, e con esse il pizzo e i ricami quando c’erano, fossero roba vera. Cioè appartenessero a veri indumenti intimi usati dalle diaboliche adolescenti (o post-adolescenti) che li esponevano. Nessuno ha mai obiettato contro questa mia congettura e quindi l’ho considerata una verità acclarata come la sfericità della terra o la sua collocazione periferica nella Via Lattea.
Poi un giorno mi accadde di entrare in una boutique (era un negozio di abbigliamento che svendeva la merce per chiusura, cioè il solo esercizio commerciale che possono permettersi le mie tasche). Lì feci una scoperta che oso definire copernicana! Accanto ai jeans maschili che osservavo, ce n’erano alcuni riservati al gentil sesso, di quelli scoloriti o pieni dei colorati fronzoli preferiti dalle liceali… E questi jeans avevano un pezzo di stoffa cucito sulla vita bassa che simulava un paio di mutandine femminili messe in bella mostra! Anzi non si trattava nemmeno di un pezzo di stoffa cucito, ma la striscia pseudo-mutandifera era parte integrante del jeans. Scoprii in quel caso che si producevano pantaloni con annesso lembo di tessuto simile a slip da donna occhieggianti dal vestiario.
Ricordo che vacillavo con questo paio di jeans femminili in mano, ferito nelle mie più sacre convinzioni esistenziali. Nello stesso tempo mi sentivo sezionato dagli sguardi preoccupati delle commesse della boutique, le quali avevano l’aria di non aver afferrato i seri moventi scientifici cagionanti il mio disagio. Mi domandavo: vuoi vedere che in tutto questo tempo non ho mai visto un paio di vere mutande da donna, ma solo grossolani pezzi di stoffa destinati a farsi beffa di allocchi come il sottoscritto?
L’interrogativo era così pressante che, lasciati perdere i fronzoleschi jeans femminili, rivolsi la mia attenzione agli slip che ammiccavano dai pantaloni delle due commesse (ebbene anche costoro seguivano la profonda filosofia della Libera Mutanda in Libero Stato). Il mio novello interesse se possibile aggravò l’inquietudine delle commesse nei miei confronti. Ma la parte peggiore fu che - pur sbirciando le strisce di stoffa incriminate con l’ausilio delle più sofisticate tecniche da guardone - non riuscii a diradare il mistero. Non si capiva se le mutande sopra i jeans fossero vere o false. Nell’occasione considerai di sfuggita l’ipotesi di allungare una mano e palpare gli indumenti in questione onde averne preziose informazioni sulla fattura. Ma conclusi che le commesse avrebbero avuto qualche obiezione a farsi esaminare in cotal modo da un individuo febbricitante quale io dovevo apparire nella circostanza.
Da quel momento, questo imperativo interesse scientifico mi ha indotto a domandarmi, osservando le vite basse dei jeans delle adolescenti acquartierate in ogni cantone metropolitano: sono vere mutande o no, le loro?
Devo purtroppo lamentare che il prevalente atteggiamento femminile riscontrabile verso me è poco incline ad assecondare la mia sete di conoscenza. Proprio un paio di giorni fa, a una fermata d’autobus, ronzavo attorno a due ragazze scrutando, con le solite tecniche osservatorie vieppiù perfezionate dall’esperienza, il punto in cui occhieggiavano le chiare strisce di stoffa. Ebbene le due fanciulle, poco entusiaste del mio interessamento, palesavano la loro contrarietà con sguardi infastiditi, talché a un certo punto ho dovuto dichiarare la mia sconfitta e ritenere per il momento irrisolvibile il dilemma che mi angustia.
Allora, le mutande che ci mostrano le adolescenti per strada (le adolescenti vere e quelle finte), sopra la vita bassa dei jeans, sono vere o no? Sono veri capi di vestiario che puoi toccare e all’occorrenza strappare trovandoti in particolari stati d’animo e avendone avute le necessarie autorizzazioni… o non lo sono? Essere o non essere? Se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli…
Insomma, ste cacchio de mutande delle guaglione moderne so’ robba ggenuina o l’ultima delle patacche rifilateci in questo agonizzante mondo di reality show?
Facciamo un passo indietro per inquadrare il problema. Orbene io sono un essere umano. Non mi catalogherei tra i più eccelsi e saggi esponenti di questo genere animale, ma dispongo di alcuni attributi dell’essere senziente se non pensante quivi evocato. Ossia sono fornito di capacità di locomozione e della facoltà di rapportarmi al mondo attraverso i cinque sensi. Il corollario della nostra allocuzione è che per strada, utilizzando uno dei suddetti sensi, posso guardarmi intorno mentre deambulo.
La domanda scontata è: cosa vedo in strada? Ma niente, le solite cose! Automobili intrappolate nel traffico, grigi palazzoni metropolitani, cassonetti di immondizia non ritirati… ah, quasi scordavo, come tutti vedo pure un mucchio di mutande. Ne visiono a decine per passeggiata, forse a centinaia. Mi riferisco, sagaci amici del blog, a quella striscia di stoffa, di spessore variabile dai due ai venti centimetri, che fuoriesce dalla vita bassa dei jeans in voga tra le adolescenti. Tra l’altro ho notato che l’occhio tende a posarsi con maggiore frequenza su quella striscia di stoffa che su altri soggetti visivi. Ho rilevato inoltre che detta osservazione è associata a fenomeni metabolici bizzarri, quali un’accentuata cadenza respiratoria e una certa fissità dello sguardo coeva di un aumento della temperatura basale. Ma basta, è già tempo della riflessione successiva.
Dunque avevo sempre pensato che le giovani mutandine che vedevo, e con esse il pizzo e i ricami quando c’erano, fossero roba vera. Cioè appartenessero a veri indumenti intimi usati dalle diaboliche adolescenti (o post-adolescenti) che li esponevano. Nessuno ha mai obiettato contro questa mia congettura e quindi l’ho considerata una verità acclarata come la sfericità della terra o la sua collocazione periferica nella Via Lattea.
Poi un giorno mi accadde di entrare in una boutique (era un negozio di abbigliamento che svendeva la merce per chiusura, cioè il solo esercizio commerciale che possono permettersi le mie tasche). Lì feci una scoperta che oso definire copernicana! Accanto ai jeans maschili che osservavo, ce n’erano alcuni riservati al gentil sesso, di quelli scoloriti o pieni dei colorati fronzoli preferiti dalle liceali… E questi jeans avevano un pezzo di stoffa cucito sulla vita bassa che simulava un paio di mutandine femminili messe in bella mostra! Anzi non si trattava nemmeno di un pezzo di stoffa cucito, ma la striscia pseudo-mutandifera era parte integrante del jeans. Scoprii in quel caso che si producevano pantaloni con annesso lembo di tessuto simile a slip da donna occhieggianti dal vestiario.
Ricordo che vacillavo con questo paio di jeans femminili in mano, ferito nelle mie più sacre convinzioni esistenziali. Nello stesso tempo mi sentivo sezionato dagli sguardi preoccupati delle commesse della boutique, le quali avevano l’aria di non aver afferrato i seri moventi scientifici cagionanti il mio disagio. Mi domandavo: vuoi vedere che in tutto questo tempo non ho mai visto un paio di vere mutande da donna, ma solo grossolani pezzi di stoffa destinati a farsi beffa di allocchi come il sottoscritto?
L’interrogativo era così pressante che, lasciati perdere i fronzoleschi jeans femminili, rivolsi la mia attenzione agli slip che ammiccavano dai pantaloni delle due commesse (ebbene anche costoro seguivano la profonda filosofia della Libera Mutanda in Libero Stato). Il mio novello interesse se possibile aggravò l’inquietudine delle commesse nei miei confronti. Ma la parte peggiore fu che - pur sbirciando le strisce di stoffa incriminate con l’ausilio delle più sofisticate tecniche da guardone - non riuscii a diradare il mistero. Non si capiva se le mutande sopra i jeans fossero vere o false. Nell’occasione considerai di sfuggita l’ipotesi di allungare una mano e palpare gli indumenti in questione onde averne preziose informazioni sulla fattura. Ma conclusi che le commesse avrebbero avuto qualche obiezione a farsi esaminare in cotal modo da un individuo febbricitante quale io dovevo apparire nella circostanza.
Da quel momento, questo imperativo interesse scientifico mi ha indotto a domandarmi, osservando le vite basse dei jeans delle adolescenti acquartierate in ogni cantone metropolitano: sono vere mutande o no, le loro?
Devo purtroppo lamentare che il prevalente atteggiamento femminile riscontrabile verso me è poco incline ad assecondare la mia sete di conoscenza. Proprio un paio di giorni fa, a una fermata d’autobus, ronzavo attorno a due ragazze scrutando, con le solite tecniche osservatorie vieppiù perfezionate dall’esperienza, il punto in cui occhieggiavano le chiare strisce di stoffa. Ebbene le due fanciulle, poco entusiaste del mio interessamento, palesavano la loro contrarietà con sguardi infastiditi, talché a un certo punto ho dovuto dichiarare la mia sconfitta e ritenere per il momento irrisolvibile il dilemma che mi angustia.