venerdì 16 febbraio 2007

Dio mi scampi dai best seller moderni


I best seller moderni? Spesso è meglio starne alla larga, come dimostra la mia esperienza di lettura del romanzo La verità del ghiaccio di Dan Brown, l’autore del Codice Da Vinci. E’ uno dei dieci volumi da me acquistati di recente e forse non avevo tutti i torti quando mostravo maggiore propensione per le gambe della ragazza, evocate nell’articolo precedente, che per le mie corpose spese librarie.
E’ un romanzo di quasi 600 pagine e credo sia afflitto almeno da quattro difetti principali di cui due, a mio modo di vedere gravissimi. Il primo difetto è promettere una cosa e poi non mantenerla. Questa è una delle regole basilari riscontrabili nelle prime pagine dei manuali di scrittura creativa. Nelle battute iniziali di una storia un autore stabilisce una specie di patto implicito con il lettore. Ci sono alcune promesse che l’autore fa con i primi paragrafi della sua prosa e che deve mantenere in ogni caso se vuole conservare la sua credibilità letteraria. Cioè se prometti un’avventura western, il tuo romanzo deve avere cow-boy e indiani, se prometti una storia con draghi e stregoni è essenziale che ci siano fiammate ed epigoni di Gandalf, se nelle tue prime pagine garantisci love story o sangue e arena, dovrai agire di conseguenza.
Ebbene il romanzo di Brown si presenta in tutto e per tutto, dal titolo, dalla retrocopertina, dall’impostazione generale, come una storia di fantascienza alla Michael Chrichton, ossia la scoperta di una forma di vita extraterrestre nell’Artico. Quest’annuncio già ti prepara a eventuali scenari a te cari, e cioè alla possibilità che il meteorite rinvenuto contenga virus letali potenzialmente distruttivi per vita terrestre, forme di vita intelligente che vogliono impossessarsi del pianeta, una Cosa dell’Altro Mondo ostile e potente o, alla peggio, un E.T. lagnoso minacciato dai cattivissimi militari o guerrafondai yankee.
Leggi le prime cento pagine del romanzo e la vita extraterrestre (e il successivo attacco alla terra) tardano a manifestarsi. Ne leggi altre cento e poi ancora altre cento e la vicenda collegata al meteorite alieno pare quasi una sottotrama, la storia del romanzo si svolge perlopiù a Washington e tratta degli intrighi politici in vista delle elezioni presidenziali americane.
A un certo punto risulta addirittura chiaro che non c’è nessun meteorite di origine extraterrestre, e men che meno forme di vita aliene che cercano di impossessarsi della terra. Quello che c’è è una lotta di potere alla Tutti gli uomini del Presidente. Devo ammettere che giunto a questo punto, mi sono incavolato parecchio. Mi sono sentito preso in giro dall’autore. Io non volevo leggere, non in quel momento una spy story politica, ma un robusto e se possibile appassionante romanzo su una minaccia dallo spazio o sul contatto con una civiltà aliena. Mi sono incavolato perché al supermercato ho comprato una busta di prugne secche della California e dalla confezione sono uscite olive nere di Gaeta.

Il secondo grave difetto del libro di Dan Brown a mio modo di vedere era la considerevole quantità di aria fritta che conteneva. Il romanzo consta di seicento pagine, ma ha materiale solo per arrivare alle duecento. E’ incredibile la successione di pagine e pagine in cui non succede niente, in cui si interrompe la narrazione, già lenta e inconsistente di suo, con pesanti e tediosi flashback sulla solita moglie amatissima e morta o sulla ugualmente amatissima madre morta pure lei. Per andare dal punto A a quello B Brown ci mette una vita. Facciamo un esempio. Mettiamo che tu sia stato convocato dal presidente degli Stati Uniti per una comunicazione privata. Ebbene ci vogliono quattro lunghissimi capitoli, intervallati da altrettanti capitoli di una trama secondaria di cui non ti frega niente, prima che l’abulico presidente si decida a dirti “Veniamo al motivo per cui l’ho convocata”. Devi sorbirti tutta la meticolosa descrizione del viaggio in elicottero, l’ugualmente prolissa rappresentazione dell’Air Force One e delle sue meraviglie elettroniche o del vestiario finto casual del tuo illustre interlocutore. Roba che puoi schiattare di bile prima di sapere che cazzo pretende da te il primo cittadino americano.

Altro errore del libro, errore piuttosto diffuso il letteratura, è la moltiplicazione dei punti di vista da cui si racconta la storia. Invece di concentrarsi su un personaggio principale che faccia da osservatore con poche eccezioni, ecco un proliferare di angolazioni visive, un senatore intrallazzatore, la figlia mandata in Artico, la sua segretaria in bilico tra carrierismo e moralità, una perfida assistente del Presidente che sembra tratta dal telefilm “West Wing”, gente della Delta Force, il presidente stesso, direttori di Nasa o di agenzie spionistiche, un paio di scienziati e Dio sa cos’altro. Il proliferare dei punti di vista è aggravato dal fatto che la maggior parte dei personaggi non sono per nulla interessanti, almeno per me, e ti spingono a qualche cauta imprecazione quando interrompono il flusso principale della storia con la loro irritante presenza a base di aria fritta.
Procediamo con gli elementi fastidiosi, ma ammetto che questo punto potrebbe riguardare solo me. E arriviamo all’insistenza pedantesca e perfino ossessiva che Brown dedica alla descrizione di ogni giocattolo tecnologico in dotazione alle forze speciali americane, fucili che sparano pallottole di ghiaccio, slitte supersofisticate, rivelatori elettronici microscopici, postazioni alla Mission Impossible per comunicare al sicuro da intercettazioni. E baaastaaaaa. Basta con tutte queste pagine di cazzate tecnologiche, amico. Dacci un po’ dei personaggi e storie credibili. Cerca di non soffocarci con tutta questo niente tecnologico. Dacci storie vere o verosimili, dacci personaggi, dacci amore.

Ancora due riflessioni finali. Mi mancano ancora un centinaio di pagine per finire il romanzo, ma non credo che nell’ultimo scampolo di libro ci siano improvvise invasioni aliene o che Brown si metta a scrivere all’improvviso come Tolstoj.
Sono comunque contento anche quando leggo un libro che non mi è piaciuto integralmente. Perché la lettura ti offre sempre motivi di spunti e riflessioni, come è accaduto pure in questo caso e con questo post.

1 commento:

  1. Personalmente mi tengo sempre a debita distanza da questi (secondo me) pseudo-scrittori. Talmente tanto (e bene) è stato scritto nella storia della letteratura, che dedicarsi a queste letture la considero, una perdita di tempo oltre che una mancanza di rispetto per autori molto più valenti e meno presuntuosi (anche contemporanei).
    postato da medusa il 16/02/2007 13:56

    Con tutto il rispetto per le tue idee, medusa, io mi dedico o mi sono dedicato a scrivere romanzi e devo quindi leggere ogni libro moderno per capire cosa si vende, cosa si legge e perché. Cosa attira il lettore e perché. Dato che tu non hai questo problema, è chiaro che puoi dedicare tutto il tuo tempo a Dante, Flaubert e Tolstoj (tre autori che comunque ho avuto la fortuna di leggere). :-)
    postato da Mio capitano il 16/02/2007 14:47

    Ciao Capitano se un libro non mi piace non riesco ad arrivare alla fine tu invece perseveri...un po' masochista? Riguardo al libro in questione : non l'ho letto e la rertrocopertina non l'ho vista ma il titolo cmq non dice granchè, come hai fatto ad associarlo agli extra-terrestri? Buon fine settimana Franz
    postato da Angelica il 16/02/2007 15:43

    Cara Angelica, hai la memoria corta. Il libro di cui parlo è esattamente quello che mi accusi di averti fregato sulle bancarelle di Port'Alba. Forse fu un bene se non te lo feci comprare. :-)
    postato da Mio Capitano il 16/02/2007 15:53

    infatti non l'ho letto e se lo avessi comprato e non mi fosse piaciuto non credo che lo avrei portato a termine quindi sei riuscito a trovarlo a due euro poi eh? si si ora scappo davvero besos
    postato da Angelica il 16/02/2007 15:58

    Ho visto il film, ho dormito per 3 ore fin quando non mi ha svegliata il mio ragazzo!!! PS. L'hai detto ironicamente che sembro più decisa, o lo pensi davvero? Perchè dai miei ultimi post, a dire il vero, molti hanno colto particolare indecisione in me.
    postato da GiAdA il 16/02/2007 19:04

    Beh quando un libro non piace non vale la pena nemmeno arrivare alla fine!!! Ah comunque Cora non è il mio nick ma è il mio vero nome!!! A presto
    postato da Cora il 16/02/2007 20:57

    C'è anche questo nella mia libreria, ma non ho intenzione di leggerlo. Ho letto il "Codice da Vinci" e non mi è proprio dispiaciuto ma anche io, che pure non sono un'amante di gialli, a metà libro avevo capito tutto (circa). Insomma, se i personaggi sono solo tre non è difficile capire chi è il cattivo, no? Da quanto ho capito, anche questo non è un granchè, allora sta bene lì. Buon fine settimana. :o)
    postato da margot il 16/02/2007 21:47

    Mi sta quasi venendo l'idea di scrivere un piccolo manuale virtuale di scrittura creativa. Ho letto tanti di quei saggi sull'argomento dello scrivere e buttato pure qualche migliaio di pagine tra macchina da scrivere e computer... che qualcosa dovrei aver imparato sulle regole della narrativa e della scrittura in genere. Vedremo. Per ora me ne vado a mangiare e poi più tardi si fa visita alla radio della amico Reed. :-)
    postato da Manuale di scrittura il 16/02/2007 21:49

    Vivo nell'angosciosa certezza di non poter leggere tutto quello che varrebbe la pena leggere, servirebbero troppe vite. Per questo non so chi sia Dan Brown, se non un nome sulla copertina di molti libri. Un saluto.
    postato da iltov il 16/02/2007 23:37

    Piccolissima digressione sulla bellezza fisica dei libri. Non sto parlando dei contenuti, ma proprio del fascino, dell'avvenenza esteriore di un volume stampato e rilegato come si conviene. Anche un libro il cui contenuto non approvi può sedurti, esattamente come può fare una bella donna con poco cervello. Prendiamo per esempio il romanzo in cui ho parlato in questo post. E' chiaro che non ne sono rimasto soggiogato intellettualmente. Ma anche in questo momento mi dà un sottile piacere guardarlo, accarezzare la liscia sovracopertina, aprirla e passare la mano sull'elegante rilegatura, ecco, lo sto facendo in questo momento mentre scrivo ed è una bella sensazione. Apro il volume e ne faccio scorrere le pagine in fretta, ammiro la qualità superiore delle pagine, che non è quella dei libelli da due soldi, indugio con l'occhio sui bei caratteri di stampa. Tra poco riporrò questo romanzo sulla libreria e so che ogni volta che ne guarderò l'elegante profilo proverò un sottile appagamento.
    postato da L'avvenenza fisica dei libri il 17/02/2007 00:11

    Interessante recensione e interessanti punti di vista.. E' vero, a volte il titolo ci fotte indecentemente...! E' sempre un piacere leggere cio' che scrivi. Cris
    postato da Cris il 17/02/2007 00:28

    Condivido la tua analisi sui meccanismi dello scrivere, però c'è da dire che, come spesso succede, la musa ispiratrice è la vil moneta o peggio. I classici non tradiscono mai? Anche quello dipende dai gusti, ma almeno sei sicuro dell'onestà del "prodotto finito". Ciao, Capitano.
    postato da Amfortas il 17/02/2007 12:04

    I tomi oltre le 200 pagine mi fanno paura. Spesso diventano uno studio, non più un piacere. Il mio libro non sarà più di 120, credo .. se mai lo finirò .. Per pra mi aspettano 40 vasche tra l'aria toscana. Un caro saluto Capitano e trascorri felici momenti
    postato da marion il 17/02/2007 15:28

    E' invalso l'uso nella letteratura moderna, specie in quella dei best seller, di prolungare il tuo romanzo oltre ogni limite della decenza. Gli scrittori, specie quelli di successo, godono nell'incensare il proprio sfrenato ego producendo volumi a forma di doppio mattone. Nessun romanzo dovrebbe mai raggiungere o superare le 800 pagine (ma un limite molto più ragionevole è quello delle 500 pagine), anche se gli autori fossero giganti della letteratura. Davvero è una follia accatastare tante pagine tutte insieme. Si creano soltanto corpose bolle di aria fritta, di ripetizioni, ridondonze, descrizioni inutili, flashback noiosi e susperflui, dialoghi inconcludenti Come c’è il limite di velocità sulle autostrade, ci dovrebbe essere il limite, da non superare in nessuna occasione, di pagine in un romanzo. Io proporrei che quel limite invalicabile fosse di 500 pagine. D’altronde è proprio il nostro blog che ci insegna che un testo può essere sintetizzato in modo estremo senza perdere di efficacia e senza diminuire la sua qualità informativa. E’ proprio il blog che ci dimostra la prolissità estrema della letteratura moderna.
    postato da Mio Capitano il 17/02/2007 16:33

    grazie mio capitano!non sai quanto apprezzo il tuo venire a trovarmi con le tue sapienti parole.oggi ho fatto le castagnole fritte ...iii rido!al posto dell'aria fritta di cui parli tu.tene offro una.....due quante ne vuoi!!!! grazie.i.
    postato da iris il 17/02/2007 20:20

    Facciamo qualche saluto e poi una specificazione sul famoso “patto implicito” letterario” Giovanni, ti ringrazio per le belle parole, fatti sentire presto. Iris, Castagnole fritte, sembrano buone, conservamene qualcuna. :-) Marion, 120 pagine vanno bene, ed è già estremamente difficile scrivere un centinaio di belle pagine, e questo vale per chiunque. Amfortas, i classici hanno un elevato peso specifico letterario, voglio proprio dire che la singola pagina pesa, è congrua. Ciò che ne danneggia la lettura è il mutato gusto letterario dei nostri giorni. Cris, ci fotte il titolo come dici tu e spesso pure la grancassa pubblicitaria. Iltov, nessuno può leggere tutto, io purtroppo di recente ho poco tempo per aggiornarmi. Margie Margot, non ho letto il romanzo “Il codice Da Vinci”. Ho visto il film e l’ho trovato una boiata disneiana (mi spiace per il regista Ron Howard che il altre occasioni si era comportato meglio). Cora, che dire? Hai un nome molto bello, specie per chi ama gli ultimi dei Mohicani come me. Ecco la precisazione. Il “patto implicito” letterario che l’autore stipula con il lettore nelle prime pagine del suo romanzo, nell’incipit e poco oltre, non riguarda chiaramente solo i contenuti tecnici, cioè dare una storia western o una storia d’amore qualora si siano fatte determinate promesse. Il Patto Implicito è qualcosa di più vasto e articolato. L’autore promette al lettore in quella circostanza un libro scritto in un certo modo, con uno stile e una sensibilità precisi, con dei gusti e dei ritmi letterari specifici. In sostanza nelle prime pagine, con il suo modo di impostare la storia e di esprimersi, un autore fa delle anticipazioni che non deve disattendere. Liala promette un libro di Liala, Stephen King promette un libro di Stephen King, Keroruac promette Keroruac. Si potrebbe dire che l’inizio di un romanzo è una specie di trailer cinematografico; ci aiuta a capire non solo di cosa tratta un certo film, ma pure con quali mezzi e stile viene portata avanti la storia. Ciò in cui concordano tutti i manuali di scrittura creativa è che un autore dovrebbe tagliarsi una mano, ma non tradire il patto implicito che stipula con il lettore. Di conseguenza se io compro un romanzo in cui mi si promette un meteorite con forme di vita di origine extraterrestre ritrovato in Artico, io pretendo che quel meteorite sia un vero meteorite e non una bufala per fregare l’acquirente sprovveduto di un libro.
    postato da Mio Capitano il 17/02/2007 21:48

    Ciao Mio Capitano,ti ringrazio per aver espresso il tuo rammarico per Artur.Sono certa che se si fosse rimesso,avresti avuto modo di scoprire una mente eccelsa con la quale confrontarsi. Buon fine settimana!!! Ciao!!
    postato da vitty il 17/02/2007 22:50

    ciao, io ho solo letto "il codice da vinci" e mi è piaciuto, l?ho letto solo per non restare indietro alla moda, e mi è piaciuto... non ho visto il film... i film tratti da romanzi belli li rovinano completamente... anche se ci saranno eccezioni... ma questa è un?altra storia... un abbraccio. a presto Tali
    postato da tali il 18/02/2007 19:42

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