Marco Pantani pedala nel gruppo dei ciclisti che lottano per vincere questo Tour de France del 1998. E’ la tappa più dura della competizione ciclistica più importante del mondo, quella che prevede la scalata della vetta del Galibier. Pantani ha un notevole ritardo in classifica dalla maglia gialla Jan Ullrich e in più è penalizzato dalla lunga tappa a cronometro finale, dove secondo ogni previsione perderà altri preziosi minuti dal potente tedesco che già una volta lo ha umiliato in questo tipo di gara contro il tempo. Oggi è la sua ultima e unica occasione per far sì che un italiano torni a vincere il Tour a oltre trent’anni dall’ultimo successo tricolore di Felice Gimondi.
Però anche il tempo si è accanito contro l’esile Marco Pantani. Piove, cioè nevica, e fa freddo. Più si sale e più il tempo peggiora. Gli elicotteri addetti alle riprese aeree sono incatenati a terra dal maltempo. Ormai le figure dei ciclisti sono sempre meno nitide e tutto lascia pensare che un banco di gelida foschia più denso degli altri possa inghiottire da un momento all’altro il gruppo di testa. Le condizioni meteorologiche avverse a detta di tutti gli esperti sono favorevoli alla ben più possente corporatura della maglia gialla della competizione ciclistica.
Oggi tutto congiura contro il campione di Cesenatico, del resto nessuno credeva sul serio che potesse vincere il Tour dopo aver dominato il Giro d’Italia suscitando un entusiasmo che in Italia non si vedeva dai tempi in cui le vittorie ciclistiche impedivano le rivoluzioni. Vincere Tour e Giro nello stesso anno? Assurdo, come potrebbe il pur simpatico Pirata, eguagliare un’impresa riuscita solo a un pugno di assi come il Campionissimo Coppi o il Cannibale Eddy Merckx?
Anche le immagini trasmesse dalla televisione mostrano che la tappa è segnata. Il gruppo è dominato dalla sicura pedalata del tedesco Ullrich, che fa l’andatura torreggiando anche fisicamente sugli avversari, mentre Marco Pantani si vede e non si vede, una figuretta sparuta e timida seminascosta nel gruppo dei gregari. La pioggia rinforza via via che si sale sulla vetta alpina, una bruma che sa di inverno ammanta le riprese televisive come se fosse un filtro fotografico. A tratti scrosci di nevischio ti sferzano la faccia intirizzita frustati da raffiche di vento maligno. Quale luglio, questo pare il più carognesco gennaio! Tutti davanti o dentro gli schermi televisivi sembrano pensare la stessa cosa: mi spiace, Marco, ci hai tentato, ma questa non è proprio la giornata per te, questo non è il Tour per te, cerca di pedalare in difesa e vedi se riesci a conservare la tua attuale posizione, perché un secondo posto al Giro di Francia è comunque un eccellente risultato.
Però ecco a un tratto che accade qualcosa che ribalta ogni nera previsione. Una sparuta sagoma esce dal gruppo e lancia in una sola volta la sua sfida alla montagna, alle intemperie e agli uomini. Il Pirata scatta danzando sui pedali con la caratteristica andatura che lo rende simile a un ballerino con un senso sublime del ritmo.
Pantani va su.
Pantani va e nessuno riesce a stargli dietro.
Ulrich cede dopo poche pedalate. Leblanc non ci tenta proprio di stargli dietro. Gli altri corridori fanno la sola cosa che gli è consentita, guardare e magari ammirare o imprecare.
Pantani va su sconfiggendo la tempesta in un modo che fa battere forte il tuo cuore.
Pantani sale come un angelo nella bufera.
Non la sentiamo, noi che siamo davanti al televisore… non la sentono nemmeno i corridori che arrancano sul massiccio alpino, ma ci deve essere una musica sottile che echeggia nella tempesta di neve, una musica che scandisce ogni pedalata di Pantani e gli permette di danzare in quel modo sulla bicicletta.
Ho visto due nazionali di calcio vincere il campionato del mondo contro ogni pronostico e superando ogni avversità, anche e soprattutto quella rappresentata dai giornalisti italiani, ho visto il grandissimo Milan di Arrigo Sacchi e Van Basten assicurarsi l’accoppiata Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale due volte, ho visto Maradona giocare a Napoli come se fosse il messaggero divino che molti ancora lo ritengono in questa città, ho visto la strabiliante Olanda di Johan Cruijff dare spettacolo come una squadra di extraterrestri, ho visto Pietro Mennea vincere la medaglia d’oro olimpica nei 200 metri dopo una spettacolare rimonta sul rettilineo finale che affrontò da ultimo o quasi. E poi Carl Lewis, Bjiorn Borg, Steffi Graf, Mark Spitz, Ray Sugar Leonard, Nadia Comaneci e i fratelli Abbagnale commentati da un Giampiero Galeazzi più pazzo di un drogato o più drogato di un pazzo….
Eppure nessuna impresa sportiva mi ha mai dato una gioia così perfetta, inattesa, duratura, perfino imbarazzante nelle sue manifestazioni, come quella conferitami dal capolavoro di Marco Pantani al Tour del 98. Nessun sorriso sportivo, lo so, supererà mai quello che mi sentivo sulle labbra quando Marco scattò nelle nebbie tempestose del Galibier, facendo il vuoto dietro e danzando sulla bicicletta come un essere sovrannaturale, un Fred Astaire della pedalata. La gioia perfetta che provavo era temperata soltanto dal dramma in cui piombò il tedesco Ullrich, lanciatosi all’inseguimento del folletto di Cesenatico e schiantato dal ritmo forsennato dell’antagonista. Vedere la maglia gialla arrancare sulla bicicletta, distrutto nel fisico e nell’animo, vanamente spronato e sostenuto dai suoi compagni di squadra, baciato dal suo luogotenente Riis come se fosse il figlio prediletto caduto in disgrazia, dava tutta la misura della grandezza dell’impresa del Pirata in quel freddissimo giorno di luglio al Tour.
Non credo che proverò mai più una gioia così totale e piena per un’impresa sportiva.
Però anche il tempo si è accanito contro l’esile Marco Pantani. Piove, cioè nevica, e fa freddo. Più si sale e più il tempo peggiora. Gli elicotteri addetti alle riprese aeree sono incatenati a terra dal maltempo. Ormai le figure dei ciclisti sono sempre meno nitide e tutto lascia pensare che un banco di gelida foschia più denso degli altri possa inghiottire da un momento all’altro il gruppo di testa. Le condizioni meteorologiche avverse a detta di tutti gli esperti sono favorevoli alla ben più possente corporatura della maglia gialla della competizione ciclistica.
Oggi tutto congiura contro il campione di Cesenatico, del resto nessuno credeva sul serio che potesse vincere il Tour dopo aver dominato il Giro d’Italia suscitando un entusiasmo che in Italia non si vedeva dai tempi in cui le vittorie ciclistiche impedivano le rivoluzioni. Vincere Tour e Giro nello stesso anno? Assurdo, come potrebbe il pur simpatico Pirata, eguagliare un’impresa riuscita solo a un pugno di assi come il Campionissimo Coppi o il Cannibale Eddy Merckx?
Anche le immagini trasmesse dalla televisione mostrano che la tappa è segnata. Il gruppo è dominato dalla sicura pedalata del tedesco Ullrich, che fa l’andatura torreggiando anche fisicamente sugli avversari, mentre Marco Pantani si vede e non si vede, una figuretta sparuta e timida seminascosta nel gruppo dei gregari. La pioggia rinforza via via che si sale sulla vetta alpina, una bruma che sa di inverno ammanta le riprese televisive come se fosse un filtro fotografico. A tratti scrosci di nevischio ti sferzano la faccia intirizzita frustati da raffiche di vento maligno. Quale luglio, questo pare il più carognesco gennaio! Tutti davanti o dentro gli schermi televisivi sembrano pensare la stessa cosa: mi spiace, Marco, ci hai tentato, ma questa non è proprio la giornata per te, questo non è il Tour per te, cerca di pedalare in difesa e vedi se riesci a conservare la tua attuale posizione, perché un secondo posto al Giro di Francia è comunque un eccellente risultato.
Però ecco a un tratto che accade qualcosa che ribalta ogni nera previsione. Una sparuta sagoma esce dal gruppo e lancia in una sola volta la sua sfida alla montagna, alle intemperie e agli uomini. Il Pirata scatta danzando sui pedali con la caratteristica andatura che lo rende simile a un ballerino con un senso sublime del ritmo.
Pantani va su.
Pantani va e nessuno riesce a stargli dietro.
Ulrich cede dopo poche pedalate. Leblanc non ci tenta proprio di stargli dietro. Gli altri corridori fanno la sola cosa che gli è consentita, guardare e magari ammirare o imprecare.
Pantani va su sconfiggendo la tempesta in un modo che fa battere forte il tuo cuore.
Pantani sale come un angelo nella bufera.
Non la sentiamo, noi che siamo davanti al televisore… non la sentono nemmeno i corridori che arrancano sul massiccio alpino, ma ci deve essere una musica sottile che echeggia nella tempesta di neve, una musica che scandisce ogni pedalata di Pantani e gli permette di danzare in quel modo sulla bicicletta.
Ho visto due nazionali di calcio vincere il campionato del mondo contro ogni pronostico e superando ogni avversità, anche e soprattutto quella rappresentata dai giornalisti italiani, ho visto il grandissimo Milan di Arrigo Sacchi e Van Basten assicurarsi l’accoppiata Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale due volte, ho visto Maradona giocare a Napoli come se fosse il messaggero divino che molti ancora lo ritengono in questa città, ho visto la strabiliante Olanda di Johan Cruijff dare spettacolo come una squadra di extraterrestri, ho visto Pietro Mennea vincere la medaglia d’oro olimpica nei 200 metri dopo una spettacolare rimonta sul rettilineo finale che affrontò da ultimo o quasi. E poi Carl Lewis, Bjiorn Borg, Steffi Graf, Mark Spitz, Ray Sugar Leonard, Nadia Comaneci e i fratelli Abbagnale commentati da un Giampiero Galeazzi più pazzo di un drogato o più drogato di un pazzo….
Eppure nessuna impresa sportiva mi ha mai dato una gioia così perfetta, inattesa, duratura, perfino imbarazzante nelle sue manifestazioni, come quella conferitami dal capolavoro di Marco Pantani al Tour del 98. Nessun sorriso sportivo, lo so, supererà mai quello che mi sentivo sulle labbra quando Marco scattò nelle nebbie tempestose del Galibier, facendo il vuoto dietro e danzando sulla bicicletta come un essere sovrannaturale, un Fred Astaire della pedalata. La gioia perfetta che provavo era temperata soltanto dal dramma in cui piombò il tedesco Ullrich, lanciatosi all’inseguimento del folletto di Cesenatico e schiantato dal ritmo forsennato dell’antagonista. Vedere la maglia gialla arrancare sulla bicicletta, distrutto nel fisico e nell’animo, vanamente spronato e sostenuto dai suoi compagni di squadra, baciato dal suo luogotenente Riis come se fosse il figlio prediletto caduto in disgrazia, dava tutta la misura della grandezza dell’impresa del Pirata in quel freddissimo giorno di luglio al Tour.
Non credo che proverò mai più una gioia così totale e piena per un’impresa sportiva.
commenti
RispondiEliminaBellissimo questo ricordo, Capitano. Sulla trasmissione televisiva non mi pronunicio, perchè non l'ho vista, ma ho letto cose orribili. Peraltro, l'aspetto che hanno messo in luce, quello del drogato, è il più appetibile per l'audience... Ciao.
postato da Amfortas il 23/02/2007 11:30
Lo sport può essere sporco quanto si vuole, disonesto, guidato e falso, ma certe imprese non possono non entusiasmare. C'è da togliersi il cappello davanti a certi campioni. P.S. Come tuo personale correttore di bozze: Eddy Merckx. Ciao.
postato da medusa il 23/02/2007 12:02
Una cosa che diceva Pantani era che lui non aveva fatto niente di diverso dagli altri corridori. Se vinceva, era perché era il più forte. Ricordo la dolcezza infinita delle sue interviste del dopo corsa, la sua parola pacata, il suo sorriso. Quel suo arrampicarsi sulle parole e sui discorsi, quel suo far temere che da un momento all'altro si strangolasse con i suoi stessi tortuosi discorsi e quel suo poi riuscire a chiudere ogni commento con un colpo di coda geniale. Era vero che nell'ultima parte della sua carriera era molto nervoso anche nelle interviste.
postato da Mio Capitano il 23/02/2007 12:34
Ho Pantani nel cuore. Da sempre. Sentir parlare di lui, rivederlo in vecchie immagini, leggere le sue imprese, mi ferisce. Ogni volta. In tutto questo polverone. In tutto questo maliconico ricordare. Mi immergo. Vedo una strada. In montagna. Con l'asfalto crettolato. Una bianca striscia consumata, nel mezzo. Un dirupo tra le gole. In piedi sui pedali c'è ancora un uomo con la bandana .. . Ho seguito Marco, ovunque. Sulle strade. Sulle piazze. Con gli occchi attaccati al video. O su per i monti, sulla mia bici, col fiatone, la mia testa china incollata al manubrio. L'ho seguito con tutta la mia passione. Tante volte, ho pianto. L'ho fatto nel 1998. A casa, e a Cesenatico per le strade. Ho pianto anche dopo quel giallo. Cosi splendente. Cosi caldo. Le emozioni provate. Non le cancello. Neanche fra secoli. Da quel giorno, cerco Marco sulle bici, quelle degli altri. Lo cerco sui colori dei monti in estate. Lo cerco tra tra le onde del mare, infrante su un azzuro grattacielo. Cerco Marco in cento mille volti, in cento e mille storie. Cerco e non lo trovo. Perchè l'ho dentro al cuore .. . Si, come tu dici, Marco parlava con una semplicità che veniva dalla strada. Con una voce umile e aggraziata. Un uomo fragile e grande. Un campione. Quello di tutti noi. Grazie Capitano. Questo post ti fa onore. Un abbraccio
postato da marion il 23/02/2007 13:54
Sto organizzando una scalata sullo Stelvio con Marion. La staccherò, le farò mangiare la polvere. Penso che non sia importante il fatto che io scali la vetta alpina in Harley-Davidson e lei con la sua amata bicicletta da corsa. :-)
postato da Mio Capitano il 23/02/2007 15:33
Sarebbe fantastico. Chissà che pezzo che ci scriviamo, poi quando si torna. Magari mi dai anche uno strappo in moto .. . Ah, misà che in discesa mi stacchi !!
postato da marion il 23/02/2007 17:28
torno al vecchio indirizzo.
postato da giada il 23/02/2007 17:54
Ragazzi, ma soprattutto ragazze, cerchiamo di darci una mossa con i commenti. Vi prometto che il prossimo post parlerà di amore e che non vi deluderà. Ora sforzatevi di rendere onore all'eroico Marco. :-)
postato da Mio Capitano il 23/02/2007 19:07
Un racconto entusiasmante. Aggiungerei una brevissima lista di trepidazioni: la finale del 1985 tra Lendl e McEnroe al Roland Garros; la medaglia d'oro di Patrizio Oliva alle Olimpiadi del 1980. Su tutto, però, resto fedele a Italia-Brasile del 1982. Verso il Pirata ho sentimenti di autentica, umana compassione. Chi ha barato, per me, resta, però, sempre e comunque un farabutto. Anche da morto. Mi importa poco che sia stato vittima di una consuetudine. Si chiami Pantani o Bettino Craxi. Impopolarmente Oblomov.
postato da Oblomov il 23/02/2007 21:56
Oblomov, il verbo barare riferito a Pantani pare eccessivo, ma si può comunque utilizzare ritenendolo opportuno. Il termine "farabutto" sembra davvero fuori luogo. Io non lo utilizzerei mai. Ci sono alcuni tipi di sport in cui devi fare certe cose se vuoi competere alla pari con gli altri; l'alternativa sarebbe ritirarti e dedicarti a qualche altra attività, e questa probabilmente è l’unica scelta che dovrebbe fare chi vuole essere onesto al cento per cento (non si parla solo di ciclismo, ma di praticamente tutto lo sport professionistico, senza esclusione alcuna, dall’atletica, al nuoto, per non parlare dello sci di fondo… anche nel calcio è così, ma lì perlomeno devi essere pure capace di saper trattare bene una palla). Pantani faceva quello che faceva e fanno tuttora gli altri ciclisti e atleti, alcuni sono più furbi o accorti e non si fanno prendere, altri si fanno beccare. Alcuni sono più forti psicologicamente e, pur essendo stati presi e squalificati, non si fanno smontare e continuano a vivere. Altri sono più vulnerabili sotto questo aspetto e viaggiano verso l'autodistruzione. Pantani era fragile nella psiche, perché era un bravo ragazzo. Era senza alcun dubbio un bravo ragazzo di periferia, buono, perfino ingenuo. E non ce l'ha fatta a reagire ai suoi indiscutibili errori, perché qui nessuno dice che drogarsi o doparsi nello sport sia una bella cosa. Infine mi preme dimostrare che Pantani vinceva perché era più forte e bravo degli altri, perché sapeva soffrire di più sui pedali. Perché aveva un gran cuore (non solo in senso di coraggio, dato che registrava 38 battiti al minuto in condizioni di riposo). Nessuno pensi che, pur con qualche aiuto illecito, scalare il Galibier sotto la bufera sia una passeggiata. Ci vuole coraggio, ci vuole capacità di soffrire. Ci vuole perfino eroismo. Il tedesco Ulrich fu stroncato nel giorno di tregenda di cui si parla nel post, annegò dentro le raffiche di neve, perì nel freddo e nel buio di quella vetta alpina. Ed era uno nato nella Germania dell’Est che sicuramente si dopava a livello più sofisticato di chicchessia. Arrivò al traguardo piangendo, era un uomo che dentro non aveva niente, aveva profuso ogni oncia di energia e coraggio, ogni grammo della sua anima in quella tappa maledetta per lui. Intervistata credo in una Domenica Sportiva, Carolina Morace disse che avrebbe abolito tutti gli sport dove la fatica è estrema, dal ciclismo, allo sci di fondo, a corse come la maratona, perché, sosteneva, è assolutamente obbligatorio drogarsi per partecipare a quelle discipline. Non c’è niente che si possa fare per evitarlo. Negli ultimi anni io sono diventato perfino più pessimista di così. Penso che si dovrebbe abolire quasi tutto lo sport professionistico, con pochissime eccezioni, perché è un campo della vita altamente diseducativo, dove domina la menzogna a ogni livello. Non riesco più a vedere una gara di atletica o ciclismo perché ho la certezza assoluta che ogni partecipante si droga. Non mi sfiora nemmeno il più piccolo dubbio. In ogni modo Pantani, questo è il mio giudizio definitivo su lui, è stato un eroe sui pedali, uno che ci ha fatto sognare soffrendo. Uno che ha sacrificato se stesso sulla bicicletta. Era un commento lungo, ma penso che valesse la pena di farlo.
postato da L'eroico Pantani e lo sport professionistico il 23/02/2007 22:40
ciao, viaggio ,quando posso tra blog sempre nuovi,e il tuo mi è apparso interessante a partire dal titolo,poi entro e trovo il grande marco,,, e con sottofondo la canzone di riccardo maffoni scritta per un uomo in fuga, che avrò ascoltato mille volte e quest'ultima mentre ti scrivo.ciao
postato da illogico il 23/02/2007 22:53
Scusami, "Capitano". Non voglio tediare, apparire ancora più petulante di quanto già non sia. Riassumo. A rischio di presunzione. Forse ci ispira un senso differente dell'etica. Ed è giusto. E' concetto assai labile. Continuo a definire "bravi ragazzi" o, più largamente, "brave persone" o, ancora, "eroi" altro da chi qui hai tratteggiato. Eroe è chi oppone un piglio di giustizia contro un atto - o un sistema - ingiusto. Brava persona chi, ogni singolo giorno che Dio manda in terra, non vince - né gli interessa vincere - ad ogni costo. Magari rinunciando alla competizione. Dello sport professionistico non ne so nulla. Resta il senso di compassione. Non riesco ad andare oltre. Pardon.
postato da Oblomov il 23/02/2007 23:43
Non si può è vero offuscare la grandezza di un atleta che allo sport ha dato tanto! Specialmente quando in quell'ambiente è uso comune assumere certi farmaci...evidentemente a qualcuno ha dato noia....la disperazione poi ha fatto il resto,consegnandolo a quel mondo di disperati che trovano un effimero conforto in quella polvere bianca..... Un caro saluto Mio Capitano! Ciao!
postato da vitty il 24/02/2007 10:01
Piccola riflessione per Oblomov. Gli eroi non esistono. In nessun campo. Mai. Io uso questo termine perché è comodo e espressivamente efficace. L'eroismo è qualcosa di diverso da come viene normalmente percepito. E ritengo pure che la tua definizione di questa caratteristica umana sia (è una mia opinione) non adeguata. Gli eroi non ci sono, Ci sono uomini. E' sempre stato così nella storia. Ho commesso una piccola imprecisione nel post. Dicendo che nessuna impresa sportiva mi ha reso felice come quella grandissima di Pantani al Tour. In effetti ce n'è un'altra sullo stesso livello a cui ho dedicato perfino un post "La più grande partita di tutti i tempi". Ecco l'indirizzo: http://penultimi.blog.tiscali.it/yx2411518/ Oltre alla bellezza in sé di questa partita, quel giorno mi sentii come se fosse arrivato il Messia Calcistico che aspettavo da anni (Arrigo Sacchi), che dimostrò che le squadre italiane, che fino ad allora, e anche dopo, giocavano arroccate in difesa, specie all'estero, potevano fare il gioco più offensivo e ardito di tutti i tempi... contro il parere di illustri critici alla Gianni Brera. :-) Infine una nota al mio personale correttore di bozze. Non sono sicurissimo che i battiti di Pantani in condizioni di riposo fossero 38 al minuto. Ho sentito più volte precisare questo punto da Davide Cassani, ma non metterei la mano sul fuoco sui dati che ho riferito. Sono tuttavia certo che il cuore di Pantani aveva un numero di battiti inferiori a quelli già bassissimi di Coppi.
postato da Mio Capitano il 24/02/2007 11:31
Scusa se non commento il post, in fatto di ciclismo sono rimasta a Fausto Coppi, non che allora me ne importasse molto ma bisognava fare il tifo o per Coppi o per Bartali. Qualche sera fa mi sono sentita molto competente quando una partecipante di "Ci vuol essere milionario" non aveva mai sentito il nome di Binda e appena appena quello di Girardengo, ma vabbe', è questione di età. Noah e Erri De Luca hanno cantato bene quella meravigliosa canzone. A me le vecchie canzoni napoletane piacciono moltissimo e un ex blogger ha provveduto a mandarmi le migliori registrazioni così che adesso posso ascoltarle quando più mi pare. Ciao Capitan Simpatico, buona domenica.
postato da ariela il 24/02/2007 15:27
ciao buon we
postato da arteeparte il 24/02/2007 16:23
Per Oblomov, due parole, forse tre. Tu confondi l'eroismo con l'ideaLismo. Sono due concetti assolutamente estranei. Anche se per certi versi, simili. Per Pantani, eroismo voleva dire sofferenza. Rinuncia. Coerenza, se vuoi. Lui era uno coerente. Uno che andava in bici come nessuno sapeva fare. Andare in bici a livelli professionistici, non è fare come fare una passeggiata tra i campi in estate, non è come fare una corsetta di un'ora la sera, o cinquanta vasche due volte la settimana. Fare professionismo, in qualsiasi diciplina, richiede sacrificio estremo. E grande, grandissima sofferenza. Credimi. Io corro in bici. Sp cosa significhi. Nel ciclismo, come nella maratona, si soffre. Non si fatica. Si Soffre. Duramente. E' un mondo di rinuncie e di compromessi. Con se stessi, per primo. Pantani non ha retto al confronto con il compromesso da pagare, per il successo. Il suo animo fragile si è rotto. Spezzato. Illuso dietro agli ideali infranti. Doparsi è un male. Oscuro. Assurdo. Che uccide lo sport. Ma per farlo, a certi livelli, è quasi necessario. Lo dico con amarezza. Ma questo è. Nel ciclismo forse si dovrebbero accorciare le tappe. Proporre circuiti meno impegnativi. O, non so cosa. Ma la gente sulle strade pretende lo spettacolo. E c'è sempre un prezzo da pagare per le emozioni. Un saluto Capitano, la foto è bellissima. Non ricordo dov'è, forse il monumento al Pirata sul Colle del Fauniera? Un'altra cosa. Pantani era il più forte di tutti. Doping incluso. Era un bravo ragazzo, un campione vero. Ed è un eroe. Un'ultima cosa e tolgo davvero il disturbo. Il ciclismo è proprio uno sport maschile. Le donne si sono appartate in silenzio. Senza fare commenti. Ciò mi inorgoglisce ancor di più. Grazie Capitano, sei stato eccezionale. Un caro saluto
postato da marion il 24/02/2007 20:01
Caro Oblomov, mi chiedevo se tu scrivessi certe cose per anticonformismo estremo. Scusa se mi scaldo. Farabutto, dal vocabolario di italiano è -individuo malvagio, capace di ogni più bassa azione-. Il rispetto è una dote che molti non possiedono. un saluto
postato da marion il 24/02/2007 20:13
Onore a MARCO!!!
postato da Solomania il 25/02/2007 03:50
Marion, il monumento della foto dovrebbe essere situato a Cesenatico. Solomania, grazie per il tuo attestato a favore del protagonista di questo post. Ariela, presumo che tu tenessi per Coppi contro Bartali. Certo che tempi straordinari! Vedo che hai citato pure Girardengo. E allora ricordando la splendida canzone di De Gregori che forse non hai sentito, dico, vai Girardengo, vai grande campione!... vitty, concordo con quanto hai detto, cara vitty, un saluto all'albero degli amici sul tuo blog. illogico, purtroppo non visualizzo questo riccardo maffoni, scusami.
postato da Mio Capitano il 25/02/2007 10:46
Ciao Pantaniiiiiiiiiiiiiii! Tu in cielo e noi qui a pedalare, pedalare, in salita, in salita! Mica giusto! Buona domenica Capy!
postato da matrix il 25/02/2007 12:13
Tra l'altro la fiction passata poco tempo fa sulla rai è davvero qualcosa di raccapricciante...offensivo nei confronti di una persona che non c'è più....una vera merda maleodorante!!
postato da filmaker_84 il 25/02/2007 12:47
ciao, buona domenica
postato da arteeparte il 25/02/2007 12:51
Per Marion Perchè ti inorgoglisce il fatto che le donne si siano appartate in silenzio? Ti piace l'idea che tu sia una delle poche che possa competere con gli uomini? Nel mio caso mi sono appartata, non perchè non vada in bicicletta, ma perchè so poco di Pantani...Perchè qui si parla di Pantani no?! Bellissimo il resoconto del Capitano, ricordo anch'io la sua classica andatura , Perderlo è stato triste ma è stata solo, terribilmente, colpa sua. Vado...
postato da Paola il 25/02/2007 14:20
Dopotutto, si parla sempre di eroi... come dici tu stesso... e la "bufera" può esser quella di un Tour de France ma anche quella di una vita... Mi piace leggere le tue pagine... può sembrare strano e fuori luogo... ma per un motivo particolare: perché hai memoria. Non badi solo ai fatti contingenti del qui e ora, insomma, ma porti con te un bagaglio di emozioni che, sebbene appartengano al passato, sono ancora vive, curate, custodite con amore. Questo mi piace. Con il tempo (a diciott'anni appena compiuti non si può certo dire di avere una gran strada alle spalle) spero di diventare anch'io così... Un bacione, mioCapitano :D ps: virtuale o reale? credo che nei nostri piccoli microcosmi stiamo vivendo uno smarrimento terribile... come si può coniugare il desiderio di essere eroi con l'aspirazione a una vita tranquilla? Sono due facce della stessa medaglia... noi... (bel post, comunque!)
postato da Laura il 25/02/2007 14:52
Rispondo a Paola L'unica cosa che mi inorgoglisce è andare in bici. Indipendente che ci siano uomini o donne. Mi dispiace che tu abbia frainteso. Quello che cerco in bici è l'equilibrio, non la competizione. Si, è vero si parla di Pantani. Ma, in realtà, la sua storia è lo spunto, il punto di partenza per altri argomenti .. . Credo che, la colpa non stia sempre e solo da una parte. La colpa più grande di Marco è stata la sua debolezza. ti auguro una buona giornata.
postato da marion il 25/02/2007 16:48
Non sono un'appassionata di ciclismo e non posso cimentarmi in commenti che riguardano Pantani e le sue imprese...leggendo il tuo post però,un pò mi dispiace non avere il ricordo vivo di quel momento,che come lo descrivi tu è più eccome di entusiasmante!!! Pantani nel momento in cui non è servito più a nessuno è stato lasciato estremamente solo,e questa è la cosa con tristezza che di lui ricordo... ciao ragazzo:))
postato da elle il 25/02/2007 18:27
elle, ciao a te, ragazza, di Marco ho il nitido ricordo di ragazzo ingenuo che dava di sé nelle interviste del dopocorsa, quando tutti, da vecchie glorie come Gimondi, a telecronisti come De Zan, ad amici come Davide Cassani, a giornalisti come Candido Cannavò, lo guardavano con il sorriso che avrebbero dedicato a un figlio, a un fratello, a un amico del cuore, a quel bravo ragazzo della porta accanto che era. Marion, si è passati a parlare d'altro come era inevitabile, anche se il mio proposito era quello di fissare l'attenzione sulle emozioni uniche che Marco Pantani donava andando su come solo lui sapeva fare. Laura, brava ragazza, è così che si dice! Tieniti stretti i tuoi diciotto anni (e questa era la mia banalità della settimana). :-) Paola, curioso di vederti andare in bicicletta. Curioso perfino di vederti gonfiare una gomma sgonfia. milena, domenica è sempre domenica. Filmaker, avevo già segnalato le magagne del film televisivo sul Pirata. Matrix, pedalaaaaaaaaa, ma poi qunado arrivi in cima è tutta discesaaaaa!!!!!!1
postato da Capitan Franz il 25/02/2007 18:57
Ciao, mi dispiace che non riesca a leggere, eppure mi sembra strano, ho aperto il post e si legge benissimo...non capisco! Comunque grazie per essere passato...:-) UN BACIONE
postato da GiAdA il 28/02/2007 16:44
Pantani che pedalava in salita era il riscatto di chi non era più abituato a sognare. Ma il tubolare è di soli 8mm e si cade e quando si cade tutti si gettano addosso alla vittima. Paga per tutti e muore solo a Le Rose il giorno degli "innamorati", scrivendo "la rosa rossa è la più contata". Ciao Pirata. Grazie per averlo ricordato anche tu. Enrico
postato da enricocer il 02/03/2007 01:07