lunedì 4 giugno 2007

Il mio papà era quasi un grand'uomo


Ho letto un post sul padre di una blogger che tra l’altro stimo molto e trovo simpatica e intelligente. Il padre di questa signora è stato una persona importante, ha frequentato intellettuali e perfino presidenti della Repubblica. Ha avuto importanti riconoscimenti culturali, sempre pienamente meritati per la sua opera e la sua creatività, ha ispirato tesi di laurea. Per contrappasso mi è venuto da pensare al mio papà. Mi sono sentito quasi come nel monologo del signor Gi di Giorgio Gaber. (“Ah, Il mio papà è molto importante. / Il mio papà no. / Il mio papà è forte, sano e intelligente. / Il mio papà è debole, malaticcio e un po’ scemo. / Il mio papà ha tre lauree e parla perfettamente cinque lingue. / Il mio papà ha fatto la terza elementare e parla in dialetto, ma poco perché tartaglia.”)
Il mio papà ha fatto la quarta o la quinta elementare, non si è mai capito e a questo punto credo che non lo si capirà mai, e ha fatto tanta di quella fame che probabilmente il periodo più bello della sua vita dovette essere quando, nell'ultima guerra mondiale, fu imbarcato giovanissimo su un cacciatorpediniere in qualità di sottocuoco. Quello fu forse il solo momento della sua giovinezza in cui poté mangiare come si deve. Il mio papà era rozzo, ignorante, qualche volta violento e negli ultimi anni della sua vita beveva troppo. Non ne ho un buon ricordo, non sono mai voluto andare sulla sua tomba.

Ma magari se il mio papà avesse potuto mangiare un po' di più quando era ragazzo su una desolata montagna napoletana (raccontava spesso che aveva un pezzetto di formaggio ottenuto chissà come, ma che non lo mangiava perché non avrebbe potuto procurarsene un altro, se lo metteva su una spalla e lo annusava prima di addentare il pane, diceva che in quel modo il pane era molto più saporito)… Se avesse potuto andare a scuola, se avesse potuto leggere qualche buon libro, se fosse vissuto lontano da padri padroni e da gente che pareva uscita dal libro Cristo si è fermato a Eboli. Se avesse avuto a che fare con persone con una parvenza di sensibilità umana (uno zio di mio padre accecava i canarini perché diceva che così cantavano meglio, e la cosa davvero impressionante non era questa, quanto il fatto che in un certo paesino di montagna tutti sembravano considerare lecita quella pratica, non ci trovavano nulla di anormale o di disumano). Se avesse potuto scrivere poesie invece che abbrutirsi nel cercare un tozzo di pane su sentieri con pendenze da cima Coppi. Se non l’avesse annientato la miseria più nera (una sorella di mio padre era ridotta così a mal partito che nel dopoguerra comprò un biglietto di sola andata per l’America, si sobbarcò un viaggio in nave di diverse settimane in mezzo a sconosciuti, lei che non si era mai allontanata da casa, e… andò a sposare una persona vista solo in fotografia, come nel film con Alberto Sordi e Claudia Cardinale, vivendo in un mondo di alieni di cui non capiva la lingua e soprattutto le abitudini di vita).

Se il mio papà avesse potuto andare al liceo e magari pure all’università. Se avesse potuto giocare di più a pallone, lui che era un ottimo mediano. Se avesse potuto pensare che i ricchi non erano i Signori, cioè una specie umana superiore e raffinata a cui lui non era degno di paragonarsi (sino alla fine degli anni Settanta faceva sempre precedere l’appellativo “signor”, pronunciato con reverenza, quando parlava dei suoi datori di lavoro anche in privato, diceva Signor con la maiuscola e soprattutto non usava l'articolo, diceva "ho visto Signor Questo" oppure "Signor Quello mi ha detto"). Se un giorno non fosse stato investito da una macchina avendo amputato l’alluce. Se non avesse considerato una fortuna quell’incidente dato che gli procurò circa duecentomila lire dell’epoca, cioè quanto bastava per sistemare meglio le cose per la sua numerosa famiglia. Se non avesse avuto un fratello che si faceva dare del “voi” dalla moglie e dai figli... se, se, se, se-se-se-se-se.
Insomma, se il mio papà fosse vissuto in un posto un po’ diverso e avesse fatto esperienze un po’ differenti… forse anche lui sarebbe diventato un grand’uomo. Forse sarebbe diventato un intellettuale, un grande giocatore di pallone, qualcuno su cui scrivere articoli o magari libri, e forse io ne avrei avuto un ricordo migliore.

1 commento:

  1. Ciao,ho letto con molto interesse questo tuo post,sincero e coraggioso. Si coglie in te il desiderio di ritrovare in qualche modo un rapporto che non deve essere stato facile e tuoi molti "se" lo dimostrano! Certamente le condizioni esterne condizionano molto la vita delle persone ed anche la cultura certamente ha un contributo importante anche se poi si incontrano persone super laureate ma super ignoranti umanamente e povere di spirito. Donare la vita non è certamente facile perchè non basta quel famoso momento che da il via ad un incontro che poi diventa vita, è necessario una continuità che va avanti per anni ed anni, non sempre facili e non esenti da errori! Però poi si capisce che anche gli errori dei genitori servono in qualche modo, anche se non sempre è facile superarli.
    In questo post c'è il tuo desiderio profondo di andare oltre tutto per salvare l'essenziale che è sempre un profondo riconoscimento a chi ci ha messo al mondo.

    Un carissimo saluto.

    Ciao.

    berardo

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